Da Aprile del 24/03/2006
Originale su http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=1610
Illegittime decisioni quelle della Commissione Alpi Hrovatin
di Roberto Scardova
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Bisognerà riflettere dell’uso che la maggioranza ha fatto, in questa legislatura, delle Commissioni parlamentari di indagine. La Mitrokin, la Telekom Serbia, la Alpi-Hrovatin. Piedi di porco per scardinare le missioni istituzionali affidate dalla Camera e dal Senato, terreni di scontro e polemica politica anziché di ricerca e dibattito. Strumenti per imporre verità preconfezionate, mortificando fatti, testimonianze, documenti acquisiti. Per questa strada si è giunti ad infangare la memoria dei due colleghi del tg3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio ormai dodici anni fa.
Definiti, senza vergogna, “giornalisti in vacanza”: e vittime di un agguato casuale, di banditi alla ricerca di qualche magro bottino. La relazione approvata dalla maggioranza di centro-destra ignora e stravolge anni di inchieste giudiziarie, sentenze di Corti d’ Assise, ed anche dichiarazioni di testimoni che alla stessa Commissione hanno descritto, per averlo verificato direttamente, come Ilaria e Miran stessero conducendo una approfondita inchiesta su traffici di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia. La domanda è: perché? Perchè negare l’ evidenza – il lavoro programmato da Ilaria sin da prima di partire per la Somalia, le interviste realizzate, le immagini girate da Miran sui luoghi ove armi e rifiuti venivano sbarcati – e sostenere una tesi mortificante?
La risposta è una sola: i traffici criminali verso la Somalia, attivi gia’ ai tempi del governo di Siad Barre, proseguiti negli anni novanta talvolta con la copertura degli aiuti ai popoli sottosviluppati, continuano anche oggi. E ne sono protagonisti gli stessi personaggi che Ilaria avrebbe denunciato, coi servizi annunciati al Tg3 ma, purtroppo, mai realizzati. Personaggi potentissimi, oggi come allora: che hanno saputo passare indenni attraverso le inchieste avviate da numerose procure – ma tutte archiviate.
Anche questa è una bella domanda. Come mai sono state insabbiate sempre- sempre – le inchieste sulle vendite illegali di armi alla Somalia ed agli altri Paesi africani devastati dalle guerre e dagli scontri di fazione? Come mai non sono mai giunte al dibattito di un Tribunale le indagini che i magistrati di Milano, La Spezia, Venezia, Torre Annunziata,Roma, Bari, Asti, Reggio Calabria hanno condotto portando alla luce il sistematico invio in Africa di milioni di tonnellate di sostanze tossiche, e di rifiuti radioattivi?
Perchè chi ne ha parlato è stato ridotto al silenzio, ed i giudici che se ne sono occupati spesso sollevati dai propri ruoli? Sembrava orientata a far luce su tutto questo, la Commissione Alpi-Hrovatin. Ed invece ha ben presto deviato dal proprio percorso, giungendo a scegliere quali proprie principali fonti di informazione proprio quei personaggi, e quegli uffici, che avrebbero dovuto essere sottoposti agli esami più rigorosi. Uccidere Ilaria e Miran fu facile, maledettamente facile. E fu facile, per gli uomini che allora dirigevano i nostri servizi segreti in Somalia, trasmettere informative depistanti.
Era stato facile anche per gli altri omicidi di italiani verificatisi laggiù, e rimasti misteriosi. Come quello del maresciallo Li Causi, un ufficiale del servizio segreto Sismi, che a Mogadiscio aveva appunto il compito di scoprire chi continuava a fornire armi alle fazioni che sparavano contro la missione militare italiana.
Quello di monsignor Colombo, vescovo di Mogadiscio, assassinato nella stessa chiesa ove tuonava contro chi avvelenava il mare, le donne ed i bambini.
Quello della crocerossina che si chiedeva dove andavano a finire i medicinali spediti dall’Italia, e introvabili negli ospedali. Quello di madre Annalena Tonelli, uccisa come Ilaria, mentre si occupava di aiutare i più diseredati. Questi, e tanti altri: tutti omicidi definiti casuali, attribuiti a pazzi o banditi di strada.
Tutti delitti per cui in realtà si è rinunciato a fare luce, a cercarne il filo sottile capace di ricondurli ad un unico movente, ad un unico teatro, che comincia in Somalia ed arriva sino qui, in Italia. Il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, ha ricordato nei giorni scorsi Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, la giornalista del Corriere della Sera assassinata in Afghanistan. Di entrambe ha detto che “ la Repubblica deve loro un particolare ringraziamento, per come hanno onorato la professione giornalistica sacrificandosi in nome della verità”.
Parole nobilissime: e non c’è chi non le abbia avvertite come una bruciante sconfessione delle conclusioni cui era pervenuta, pochi giorni prima, la Commissione parlamentare che proprio la Camera aveva istituito perché indagasse sulla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e scoprisse chi e cosa aveva impedito di accertare la verità sulla loro morte. Siamo a questo, dunque: il Presidente della Camera obbligato a prendere le distanze da un organo cui egli stesso aveva dato vita, perché non solo non è stato capace di accertare nulla, ma e’ pervenuto a conclusioni indecenti. Dove i colpevoli sono le stesse vittime, e vengono ritenuti depistatori quei giornalisti di tante testate che hanno con pazienza ricercato la verità. Il futuro Parlamento, chissà, forse vorrà porre rimedio a questo nuovo scandalo. Gli elementi non mancano.
Sebbene non ne abbia tenuto alcun conto, la Commissione aveva ascoltato a Roma il sultano di Bosaso, Abdullahi Muse Bogor, la persona che Ilaria e Miran avevano intervistato pochi giorni prima di essere assassinati. Ebbene: Bogor ha rivelato che Ilaria gli chiese del traffico di armi, delle navi della flotta Schifco, dei rifiuti tossici interrati sotto l’asfalto della strada Garoe Bosaso. Domande e risposte che a noi non sono mai pervenute, perché diverse cassette girate da Miran sono scomparse.
La Commissione possedeva dunque conferma della generosa attivita’ professionale svolta dai nostri due colleghi in quelle difficili condizioni, aveva forti elementi per stabilire che chi li ha ammazzati era mosso da un movente preciso. La minoranza di centro-sinistra ha provato invano, nelle ultime settimane, a frenare la deriva imposta alla Commissione, a riportare il lavoro dei deputati sulla strada della correttezza istituzionale ed investigativa. Non c’è riuscita, ed ha dovuto approvare una propria relazione di minoranza.
Resta il rammarico di considerare che, forse, la memoria di Iraria e Miran, e quella di tutti gli altri giornalisti vittime del proprio impegno professionale avrebbe meritato fosse condotta una battaglia ben più ferma da parte delle forze politiche che da sempre si battono per l’informazione libera, e denunciano le scandalose ruberie,le vere e proprie Tangentopoli nascoste dietro gli aiuti al Terzo Mondo. Egualmente, il lavoro della Commissione ha prodotto abbastanza novità perche’ possa ripartire l’inchiesta giudiziaria, e perché chi ha volutamente ignorato le rivelazioni di Bogor debba risponderne dinanzi al Parlamento ed al Paese.
Definiti, senza vergogna, “giornalisti in vacanza”: e vittime di un agguato casuale, di banditi alla ricerca di qualche magro bottino. La relazione approvata dalla maggioranza di centro-destra ignora e stravolge anni di inchieste giudiziarie, sentenze di Corti d’ Assise, ed anche dichiarazioni di testimoni che alla stessa Commissione hanno descritto, per averlo verificato direttamente, come Ilaria e Miran stessero conducendo una approfondita inchiesta su traffici di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia. La domanda è: perché? Perchè negare l’ evidenza – il lavoro programmato da Ilaria sin da prima di partire per la Somalia, le interviste realizzate, le immagini girate da Miran sui luoghi ove armi e rifiuti venivano sbarcati – e sostenere una tesi mortificante?
La risposta è una sola: i traffici criminali verso la Somalia, attivi gia’ ai tempi del governo di Siad Barre, proseguiti negli anni novanta talvolta con la copertura degli aiuti ai popoli sottosviluppati, continuano anche oggi. E ne sono protagonisti gli stessi personaggi che Ilaria avrebbe denunciato, coi servizi annunciati al Tg3 ma, purtroppo, mai realizzati. Personaggi potentissimi, oggi come allora: che hanno saputo passare indenni attraverso le inchieste avviate da numerose procure – ma tutte archiviate.
Anche questa è una bella domanda. Come mai sono state insabbiate sempre- sempre – le inchieste sulle vendite illegali di armi alla Somalia ed agli altri Paesi africani devastati dalle guerre e dagli scontri di fazione? Come mai non sono mai giunte al dibattito di un Tribunale le indagini che i magistrati di Milano, La Spezia, Venezia, Torre Annunziata,Roma, Bari, Asti, Reggio Calabria hanno condotto portando alla luce il sistematico invio in Africa di milioni di tonnellate di sostanze tossiche, e di rifiuti radioattivi?
Perchè chi ne ha parlato è stato ridotto al silenzio, ed i giudici che se ne sono occupati spesso sollevati dai propri ruoli? Sembrava orientata a far luce su tutto questo, la Commissione Alpi-Hrovatin. Ed invece ha ben presto deviato dal proprio percorso, giungendo a scegliere quali proprie principali fonti di informazione proprio quei personaggi, e quegli uffici, che avrebbero dovuto essere sottoposti agli esami più rigorosi. Uccidere Ilaria e Miran fu facile, maledettamente facile. E fu facile, per gli uomini che allora dirigevano i nostri servizi segreti in Somalia, trasmettere informative depistanti.
Era stato facile anche per gli altri omicidi di italiani verificatisi laggiù, e rimasti misteriosi. Come quello del maresciallo Li Causi, un ufficiale del servizio segreto Sismi, che a Mogadiscio aveva appunto il compito di scoprire chi continuava a fornire armi alle fazioni che sparavano contro la missione militare italiana.
Quello di monsignor Colombo, vescovo di Mogadiscio, assassinato nella stessa chiesa ove tuonava contro chi avvelenava il mare, le donne ed i bambini.
Quello della crocerossina che si chiedeva dove andavano a finire i medicinali spediti dall’Italia, e introvabili negli ospedali. Quello di madre Annalena Tonelli, uccisa come Ilaria, mentre si occupava di aiutare i più diseredati. Questi, e tanti altri: tutti omicidi definiti casuali, attribuiti a pazzi o banditi di strada.
Tutti delitti per cui in realtà si è rinunciato a fare luce, a cercarne il filo sottile capace di ricondurli ad un unico movente, ad un unico teatro, che comincia in Somalia ed arriva sino qui, in Italia. Il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, ha ricordato nei giorni scorsi Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, la giornalista del Corriere della Sera assassinata in Afghanistan. Di entrambe ha detto che “ la Repubblica deve loro un particolare ringraziamento, per come hanno onorato la professione giornalistica sacrificandosi in nome della verità”.
Parole nobilissime: e non c’è chi non le abbia avvertite come una bruciante sconfessione delle conclusioni cui era pervenuta, pochi giorni prima, la Commissione parlamentare che proprio la Camera aveva istituito perché indagasse sulla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e scoprisse chi e cosa aveva impedito di accertare la verità sulla loro morte. Siamo a questo, dunque: il Presidente della Camera obbligato a prendere le distanze da un organo cui egli stesso aveva dato vita, perché non solo non è stato capace di accertare nulla, ma e’ pervenuto a conclusioni indecenti. Dove i colpevoli sono le stesse vittime, e vengono ritenuti depistatori quei giornalisti di tante testate che hanno con pazienza ricercato la verità. Il futuro Parlamento, chissà, forse vorrà porre rimedio a questo nuovo scandalo. Gli elementi non mancano.
Sebbene non ne abbia tenuto alcun conto, la Commissione aveva ascoltato a Roma il sultano di Bosaso, Abdullahi Muse Bogor, la persona che Ilaria e Miran avevano intervistato pochi giorni prima di essere assassinati. Ebbene: Bogor ha rivelato che Ilaria gli chiese del traffico di armi, delle navi della flotta Schifco, dei rifiuti tossici interrati sotto l’asfalto della strada Garoe Bosaso. Domande e risposte che a noi non sono mai pervenute, perché diverse cassette girate da Miran sono scomparse.
La Commissione possedeva dunque conferma della generosa attivita’ professionale svolta dai nostri due colleghi in quelle difficili condizioni, aveva forti elementi per stabilire che chi li ha ammazzati era mosso da un movente preciso. La minoranza di centro-sinistra ha provato invano, nelle ultime settimane, a frenare la deriva imposta alla Commissione, a riportare il lavoro dei deputati sulla strada della correttezza istituzionale ed investigativa. Non c’è riuscita, ed ha dovuto approvare una propria relazione di minoranza.
Resta il rammarico di considerare che, forse, la memoria di Iraria e Miran, e quella di tutti gli altri giornalisti vittime del proprio impegno professionale avrebbe meritato fosse condotta una battaglia ben più ferma da parte delle forze politiche che da sempre si battono per l’informazione libera, e denunciano le scandalose ruberie,le vere e proprie Tangentopoli nascoste dietro gli aiuti al Terzo Mondo. Egualmente, il lavoro della Commissione ha prodotto abbastanza novità perche’ possa ripartire l’inchiesta giudiziaria, e perché chi ha volutamente ignorato le rivelazioni di Bogor debba risponderne dinanzi al Parlamento ed al Paese.
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