Da Antimafia200 del 26/03/2006
Calogero Mannino, un onore da 7500 euro
di Salvo Vitale
Articolo presente nelle categorie:
Un paragrafo del libro, a pag. 142, è intitolato “Un anonimo palermitano sul delitto Lima e la strage di Capaci”. In esso si fa riferimento a un testo anonimo che circolava a Palermo dopo le stragi del ’92 , secondo il quale Mattarella e Mannino avrebbero deciso di ridimensionare la corrente siciliana di Andreotti, accordandosi con Cosa Nostra. In particolare Mannino avrebbe contattato Totò Riina e chiesto il sostegno elettorale dei corleonesi per alcuni candidati democristiani, offrendo in cambio la possibilità, per i latitanti, di regolarizzare la propria posizione, la garanzia di riprendere il controllo dei beni, la possibilità di gestire i futuri grandi appalti in Sicilia. Gli omicidi, prima di Salvo Lima, che non aveva fatto fede agli impegni promessi, e poi di Giovanni Falcone, che aveva individuato alcuni passaggi di queste oscure trame, sarebbero stati il corollario dello sciagurato accordo, che avrebbe visto coinvolti anche i servizi segreti : “secondo l’anonimo, scrive Santino, i servizi segreti sarebbero intervenuti a difesa del capitale mafioso, la strage di Capaci non avrebbe avuto altro movente che l’azione di Falcone contro il riciclaggio del denaro sporco. Le autorità giudiziarie potrebbero scoprire ogni cosa se solo avessero la volontà e la capacità di cercare”. La citazione di alcuni passaggi di questa lettera, che non è pubblicata nel testo integrale, porta Santino a concludere: “Come in ogni scritto anonimo menzogne e verità si mescolano, e come in ogni scritto anonimo proveniente più o meno direttamente da ambienti mafiosi o in qualche modo collegabili con essi, il testo contiene messaggi che i destinatari del documento, specificamente indicati in un lungo elenco, dovrebbero decodificare. Può essere un’indicazione di piste valide oppure un’accorta operazione di depistaggio o tutte e due insieme”. Il libro si occupa ancora di Mannino a pag. 159, nel paragrafo “Una stella caduta: l’ex ministro Mannino”, che, dopo la caduta di Lima diventa “l’uomo più potente della D.C. siciliana”, sino a quando, il 13 febbraio del 1995 viene incriminato per concorso in associazione mafiosa e arrestato. Il suo processo ha subito l’ultimo rinvio al prossimo aprile, qualche giorno fa, in attesa che entrino in vigore i benefici della legge “Pecorella” sull’inappellabilità: “Alla fine di questa storia, leggiamo sul “La Repubblica” del 3 marzo 2006, il processo per mafia a Calogero Mannino verrà chiuso presto e l’unico ad essere condannato sarà il sociologo Umberto Santino”.
Ma torniamo ai fatti: nel 1998, circa un anno dopo la pubblicazione del libro, Mannino cita in giudizio, per diffamazione, Santino, sostenendo che egli faceva sue, nel libro, le denunce dell’anonimo: il giudice unico del Tribunale di Palermo, il 15 maggio 2001 condanna Santino al pagamento di un risarcimento di 10 milioni più 5 milioni di riparazione pecuniaria per avere “diffamato” Calogero Mannino. Santino presenta appello e, quattro anni dopo, il 7 novembre 2005, con sentenza notificata il 1° febbraio 2006, la Sezione prima civile della Corte d’appello di Palermo rigetta il ricorso condannando Santino al pagamento di 7.500 euro. La sentenza non ha lasciato contento nessuno dei due contendenti, che si riservano di presentare appello: Mannino, che forse intende appellarsi, perché ha visto deprezzato il suo onore e ritenuta inammissibile la sua richiesta di risarcimento di 100.000 euro più 25.000 come riparazione pecuniaria, Santino perché ritiene che “questioni del genere in cui sono in gioco la libertà di ricerca e d’informazione e l’onorabilità delle persone, dovrebbero essere decise da appositi giurì d’onore e avere sanzioni diverse dal risarcimento monetario.
E’ davvero singolare che l’onore venga considerato come un genere da supermercato. C’è da chiedersi inoltre quale danno sia stato arrecato a personaggi che hanno continuato la loro carriera politica o si apprestano a riprenderla, nonostante il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie concluse o in corso”. E’ chiaro il riferimento al “ritorno in campo” di Mannino, che è candidato, alle prossime elezioni nazionali nell’UDC, al numero due, dopo Cuffaro.
La sentenza riporta alcune motivazioni facilmente contestabili e non ci si può esimere dal sospetto che dietro di essa ci sia stata l’intenzione di punire “politicamente” Santino per la sua lunga attività di studioso “non di regime”: vi si legge infatti: “non vi è agli atti nessuna prova della notorietà del testo anonimo”; Santino è scambiato più volte per “giornalista”, gli si addebita di non avere rispettato “il principio di verità in assenza di una definitiva valutazione in sede penale delle circostanze riportate” e si parla solo di “diritto di cronaca”. In pratica la ricerca storica è scambiata per cronaca e il giudizio dello storico, secondo il quale la lettera anonima comprendeva “verità e menzogne” viene scambiato per una distorta opinione giornalistica. Va detto che il testo venne a suo tempo mandato a 35 personaggi pubblici, era già stato pubblicato integralmente su riviste come “Umanità nova (12 luglio 92), “Antimafia,” n°2 del 1992 e sul libro di Galasso “La mafia politica” (1993): di questi Mannino ha citato in giudizio solo Alfredo Galasso, al quale ha chiesto due miliardi, e Umberto Santino.
In un “Appello per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”, sottoscritto da centinaia di giornalisti e intellettuali e diffuso dopo le sentenze contro Santino, contro Claudio Riolo, (citato in giudizio da Musotto e condannato a pagare 118 milioni) e contro Giovanni Impastato, condannato a pagare 1.500 euro al legale di Badalamenti per avergli dato dell’ “imbecille”, (dopo che costui si era permesso di infangare la memoria di suo fratello Peppino), leggiamo: “Questi fatti non rappresentano casi isolati, ma si inquadrano in una preoccupante tendenza generale alla limitazione del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” garantito dall’art. 21 della nostra Costituzione. Negli ultimi anni, parallelamente a un preoccupante processo di concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, gli attacchi dei poteri forti alla libertà d’informazione e di opinione si sono moltiplicati e ciò è tanto più grave in quanto esponenti della prima e della seconda repubblica, coinvolti a torto o a ragione in procedimenti penali, cercano di far pagare il conto delle loro “sfortune” a chi esercita per professione o per impegno antimafia il diritto di cronaca o di critica”.
Non si possono non citare a riguardo le 200 e più denunce fatte dalla titolare della Distilleria Antonina Bertolino nei confronti di Telejato, a causa dei suoi servizi sull’inquinamento da questa causato.
Le principali organizzazioni della società civile (Arci, Libera), si sono mobilitate in favore di Santino e chiedono l’approvazione di una nuova legislazione in materia di diffamazione, onde eliminare una prassi “che vede l’uso della giustizia civile come il terreno privilegiato per rivalse e ritorsioni”. Chi vuole sostenere economicamente Santino, oltre che la campagna per la libertà di stampa, può inviare il suo contributo al c.c 10690907 intestato al Centro Impastato, via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo.
Ma torniamo ai fatti: nel 1998, circa un anno dopo la pubblicazione del libro, Mannino cita in giudizio, per diffamazione, Santino, sostenendo che egli faceva sue, nel libro, le denunce dell’anonimo: il giudice unico del Tribunale di Palermo, il 15 maggio 2001 condanna Santino al pagamento di un risarcimento di 10 milioni più 5 milioni di riparazione pecuniaria per avere “diffamato” Calogero Mannino. Santino presenta appello e, quattro anni dopo, il 7 novembre 2005, con sentenza notificata il 1° febbraio 2006, la Sezione prima civile della Corte d’appello di Palermo rigetta il ricorso condannando Santino al pagamento di 7.500 euro. La sentenza non ha lasciato contento nessuno dei due contendenti, che si riservano di presentare appello: Mannino, che forse intende appellarsi, perché ha visto deprezzato il suo onore e ritenuta inammissibile la sua richiesta di risarcimento di 100.000 euro più 25.000 come riparazione pecuniaria, Santino perché ritiene che “questioni del genere in cui sono in gioco la libertà di ricerca e d’informazione e l’onorabilità delle persone, dovrebbero essere decise da appositi giurì d’onore e avere sanzioni diverse dal risarcimento monetario.
E’ davvero singolare che l’onore venga considerato come un genere da supermercato. C’è da chiedersi inoltre quale danno sia stato arrecato a personaggi che hanno continuato la loro carriera politica o si apprestano a riprenderla, nonostante il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie concluse o in corso”. E’ chiaro il riferimento al “ritorno in campo” di Mannino, che è candidato, alle prossime elezioni nazionali nell’UDC, al numero due, dopo Cuffaro.
La sentenza riporta alcune motivazioni facilmente contestabili e non ci si può esimere dal sospetto che dietro di essa ci sia stata l’intenzione di punire “politicamente” Santino per la sua lunga attività di studioso “non di regime”: vi si legge infatti: “non vi è agli atti nessuna prova della notorietà del testo anonimo”; Santino è scambiato più volte per “giornalista”, gli si addebita di non avere rispettato “il principio di verità in assenza di una definitiva valutazione in sede penale delle circostanze riportate” e si parla solo di “diritto di cronaca”. In pratica la ricerca storica è scambiata per cronaca e il giudizio dello storico, secondo il quale la lettera anonima comprendeva “verità e menzogne” viene scambiato per una distorta opinione giornalistica. Va detto che il testo venne a suo tempo mandato a 35 personaggi pubblici, era già stato pubblicato integralmente su riviste come “Umanità nova (12 luglio 92), “Antimafia,” n°2 del 1992 e sul libro di Galasso “La mafia politica” (1993): di questi Mannino ha citato in giudizio solo Alfredo Galasso, al quale ha chiesto due miliardi, e Umberto Santino.
In un “Appello per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia”, sottoscritto da centinaia di giornalisti e intellettuali e diffuso dopo le sentenze contro Santino, contro Claudio Riolo, (citato in giudizio da Musotto e condannato a pagare 118 milioni) e contro Giovanni Impastato, condannato a pagare 1.500 euro al legale di Badalamenti per avergli dato dell’ “imbecille”, (dopo che costui si era permesso di infangare la memoria di suo fratello Peppino), leggiamo: “Questi fatti non rappresentano casi isolati, ma si inquadrano in una preoccupante tendenza generale alla limitazione del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” garantito dall’art. 21 della nostra Costituzione. Negli ultimi anni, parallelamente a un preoccupante processo di concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, gli attacchi dei poteri forti alla libertà d’informazione e di opinione si sono moltiplicati e ciò è tanto più grave in quanto esponenti della prima e della seconda repubblica, coinvolti a torto o a ragione in procedimenti penali, cercano di far pagare il conto delle loro “sfortune” a chi esercita per professione o per impegno antimafia il diritto di cronaca o di critica”.
Non si possono non citare a riguardo le 200 e più denunce fatte dalla titolare della Distilleria Antonina Bertolino nei confronti di Telejato, a causa dei suoi servizi sull’inquinamento da questa causato.
Le principali organizzazioni della società civile (Arci, Libera), si sono mobilitate in favore di Santino e chiedono l’approvazione di una nuova legislazione in materia di diffamazione, onde eliminare una prassi “che vede l’uso della giustizia civile come il terreno privilegiato per rivalse e ritorsioni”. Chi vuole sostenere economicamente Santino, oltre che la campagna per la libertà di stampa, può inviare il suo contributo al c.c 10690907 intestato al Centro Impastato, via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
GIALLI D'ITALIA
Gardini e i padrini
Due colpi esplosi dalla sua pistola. Le pressioni degli uomini di Riina. E il legame con l'uccisione di Borsellino. Ecco perché è stata riaperta l'inchiesta sulla morte
Gardini e i padrini
Due colpi esplosi dalla sua pistola. Le pressioni degli uomini di Riina. E il legame con l'uccisione di Borsellino. Ecco perché è stata riaperta l'inchiesta sulla morte
di Lorenzo C. su LorenzoC del 01/02/2004
News in archivio
Strage dei Georgofili
Grasso: «Il "papello" di Riina è ancora sul tappeto. La politica dica cosa vuol fare»
Grasso: «Il "papello" di Riina è ancora sul tappeto. La politica dica cosa vuol fare»
su Liberazione del 27/05/2007
Un servizio dell'Espresso: dopo le indagini su Calcestruzzi la procura di Caltanissetta chiede alla Dia di esaminare il caso
L'ombra della mafia su Gardini riaperta l'inchiesta sul suicidio
L'ombra della mafia su Gardini riaperta l'inchiesta sul suicidio
su La Repubblica del 11/08/2006
su Affari Italiani del 17/07/2006
In biblioteca
di Benny Calasanzio
Aliberti Editore, 2012
Aliberti Editore, 2012