Da La Repubblica del 11/02/1998
Originale su http://www.repubblica.it/online/fatti/fontana/fontana/fontana.html
Chiusa l'inchiesta sull'eversione nera a cavallo degli anni Sessanta e Settanta
Strage di Piazza Fontana spunta un agente Usa
Nella sentenza-ordinanza del giudice Salvini ricostruita la "Strategia della tensione"
di Giovanni Maria Bellu
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ROMA - Era considerata la fantasia più folle dei dietrologi. C'era chi ci rideva sopra, negli anni '70: sembrava impossibile che il servizio segreto di un paese alleato, potesse essere dietro le stragi. Da qualche iorno quell'ipotesi è contenuta in un atto giudiziario: David Carret, ufficiale della U.S. Navy, uomo della Cia in Italia, è sotto inchiesta a Milano per spionaggio politico militare, concorso nella strage di piazza Fontana (Milano, dicembre 1969) e in altri attentati avvenuti in quegli anni.
E' stato il giudice istruttore Guido Salvini a decidere di inviare i documenti relativi a Carret alla collega Grazia Pradella, titolare dell'inchiesta sulla strage di Milano. L'ha fatto a conclusione della sua inchiesta sull' eversione nera. Un lavoro monumentale, cominciato nel luglio del 1988, che ha prodotto 92 faldoni, 60.000 pagine di documenti e si è sviluppato in 463 interrogatori.
In questi dieci anni, il giudice Salvini ha riscritto alcune delle parti più oscure della nostra storia del dopoguerra. Non solo in chiave colpevolista: dagli accertamenti (e la loro organizzazione ieri l'ha sottolineato) emergono tra l'altro elementi a favore della tesi della "legittimità" della rete Gladio. Purtroppo la prescrizione di molti reati non rende giustizia al lavoro svolto dal magistrato. Hanno resistito all'usura del tempo solo i reati più gravi, e lo spionaggio politico-militare è uno di questi. Salvini ha così rinviato a giudizio il responsabile italiano della rete informativa Nato-Usa, Sergio Minetto, e l'agente pentito Carlo Digilio. Con loro, sono chiamati a comparire dinanzi ai giudici anche due nomi storici dell'eversione nera: Yves Guerin Serac e Stefano Delle Chiai
Dal lavoro del giudice Salvini, dai riscontri incrociati a ciascuna dichiarazione dei pentiti, emerge che le organizzazioni eversive di quegli anni - La Fenice, Avanguardia nazionale, Ordine nuovo - non erano che le truppe di trincea d'un esercito occulto, teleguidato da esponenti degli apparati dello Stato e legato alla Cia.
In questo scenario, la strage di piazza Fontana diventa qualcosa di più di un attentato terroristico. Dice uno dei testimoni più autorevoli di questa storia, Vincenzo Vinciguerra: "La strage del dicembre '69 doveva essere il detonatore che avrebbe consentito a determinate autorità politiche e militari la proclamazione dello Stato d'emergenza". Il piano non riuscì: l'allora presidente del Consiglio Mariano Rumor, contrariamente a quanto i neofascisti e i loro alleati si attendevano, dopo la strage di piazza Fontana non proclamò lo "stato d'emergenza", atto essenziale per l'instaurazione di un regime autoritario. E si decise di fargliela pagare. L'occasione fu offerta, il 17 maggio del 1973, da una sua visita alla questura di Milano. Gianfranco Bertoli (sedicente anarchico, ma legato ai Servizi e ai fascisti) lanciò una bomba tra la folla. Rumor non ebbe conseguenze, ma morirono quattro persone.
Ed ecco quanto ha raccontato il pentito Digilio a proposito dei giorni precedenti l'attentato alla questura: "...Il capitano Carret si mostrò preoccupatissimo, e disse che poteva finire male. Aggiunse che se fosse stata effettivamente colpita una così alta personalità dello Stato, le indagini sarebbero state molto approfondite con il rischio di mettere allo scoperto l'intera struttura e di venire a sapere tutto quello che era avvenuto, anche in passato, compresi gli attentati e il progetto di golpe degli anni 1969-1979". Ma i Servizi americani non solo "sapevano": agivano. Ancora Digilio sulla strage di piazza Fontana e il golpe: "In seguito il capitano Carret mi confermò che quello era stato il progetto ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come Rumor".
Archeologia giudiziaria? Una storia vecchia? Il dubbio viene. Anche leggendo - all'inizio della sentenza-ordinanza - i rilievi polemici del giudice Salvini sullo "scarsissimo" sostegno avuto in questi anni dal tribunale di Milano. Ma questo stesso dubbio cade quando si scopre che in tempi molto recenti (nel 1995) il fiduciario della Cia a Milano, Carlo Rocchi, è stato sorpreso mentre era impegnato a raccogliere notizie sull'inchiesta. Un'inchiesta che faceva, e fa ancora, paura. Al punto che gli eredi degli stragisti di ieri pensavano di far fuori il capitano del Ros Massimo Giraudo, uno dei principali collaboratori del giudice milanese.
E' stato il giudice istruttore Guido Salvini a decidere di inviare i documenti relativi a Carret alla collega Grazia Pradella, titolare dell'inchiesta sulla strage di Milano. L'ha fatto a conclusione della sua inchiesta sull' eversione nera. Un lavoro monumentale, cominciato nel luglio del 1988, che ha prodotto 92 faldoni, 60.000 pagine di documenti e si è sviluppato in 463 interrogatori.
In questi dieci anni, il giudice Salvini ha riscritto alcune delle parti più oscure della nostra storia del dopoguerra. Non solo in chiave colpevolista: dagli accertamenti (e la loro organizzazione ieri l'ha sottolineato) emergono tra l'altro elementi a favore della tesi della "legittimità" della rete Gladio. Purtroppo la prescrizione di molti reati non rende giustizia al lavoro svolto dal magistrato. Hanno resistito all'usura del tempo solo i reati più gravi, e lo spionaggio politico-militare è uno di questi. Salvini ha così rinviato a giudizio il responsabile italiano della rete informativa Nato-Usa, Sergio Minetto, e l'agente pentito Carlo Digilio. Con loro, sono chiamati a comparire dinanzi ai giudici anche due nomi storici dell'eversione nera: Yves Guerin Serac e Stefano Delle Chiai
Dal lavoro del giudice Salvini, dai riscontri incrociati a ciascuna dichiarazione dei pentiti, emerge che le organizzazioni eversive di quegli anni - La Fenice, Avanguardia nazionale, Ordine nuovo - non erano che le truppe di trincea d'un esercito occulto, teleguidato da esponenti degli apparati dello Stato e legato alla Cia.
In questo scenario, la strage di piazza Fontana diventa qualcosa di più di un attentato terroristico. Dice uno dei testimoni più autorevoli di questa storia, Vincenzo Vinciguerra: "La strage del dicembre '69 doveva essere il detonatore che avrebbe consentito a determinate autorità politiche e militari la proclamazione dello Stato d'emergenza". Il piano non riuscì: l'allora presidente del Consiglio Mariano Rumor, contrariamente a quanto i neofascisti e i loro alleati si attendevano, dopo la strage di piazza Fontana non proclamò lo "stato d'emergenza", atto essenziale per l'instaurazione di un regime autoritario. E si decise di fargliela pagare. L'occasione fu offerta, il 17 maggio del 1973, da una sua visita alla questura di Milano. Gianfranco Bertoli (sedicente anarchico, ma legato ai Servizi e ai fascisti) lanciò una bomba tra la folla. Rumor non ebbe conseguenze, ma morirono quattro persone.
Ed ecco quanto ha raccontato il pentito Digilio a proposito dei giorni precedenti l'attentato alla questura: "...Il capitano Carret si mostrò preoccupatissimo, e disse che poteva finire male. Aggiunse che se fosse stata effettivamente colpita una così alta personalità dello Stato, le indagini sarebbero state molto approfondite con il rischio di mettere allo scoperto l'intera struttura e di venire a sapere tutto quello che era avvenuto, anche in passato, compresi gli attentati e il progetto di golpe degli anni 1969-1979". Ma i Servizi americani non solo "sapevano": agivano. Ancora Digilio sulla strage di piazza Fontana e il golpe: "In seguito il capitano Carret mi confermò che quello era stato il progetto ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come Rumor".
Archeologia giudiziaria? Una storia vecchia? Il dubbio viene. Anche leggendo - all'inizio della sentenza-ordinanza - i rilievi polemici del giudice Salvini sullo "scarsissimo" sostegno avuto in questi anni dal tribunale di Milano. Ma questo stesso dubbio cade quando si scopre che in tempi molto recenti (nel 1995) il fiduciario della Cia a Milano, Carlo Rocchi, è stato sorpreso mentre era impegnato a raccogliere notizie sull'inchiesta. Un'inchiesta che faceva, e fa ancora, paura. Al punto che gli eredi degli stragisti di ieri pensavano di far fuori il capitano del Ros Massimo Giraudo, uno dei principali collaboratori del giudice milanese.
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