Da Tibereide del 23/12/2002
Originale su http://www.militari.org/2002/carlini.htm
Il caso emblematico del Colonnelo Carlini, militare ostaggio delle istituzioni
di Maria Lina Veca
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La Somalia sembra ormai lontana ed irreale… così come sembrano lontane ed irreali le accuse che furono rivolte in un passato prossimo, che sembra invece assai remoto, a Franco Carlini, tenente colonnello dei Bersaglieri, nome in codice "Quercia 1", già comandante dell'Ambasciata italiana a Mogadiscio fino al 10 marzo 1994. Fu "sbattuto" in prima pagina nel giugno 1997 dal racconto di un somalo che lo indicava come assassino e violentatore di un bambino di 13 anni, racconto che si inseriva, all'epoca, in una campagna denigratoria del comportamento dei militari italiani impegnati nella missione IBIS 2 in Somalia (basti ricordare le famose foto finite sulla copertina di Panorama).
Il caso del colonnello Carlini, fin dal primo momento, apparve come una gigantesca "bufala", senza alcun riscontro obiettivo, orchestrata ai danni di un ufficiale integerrimo e decorato per fini che, a tutt'oggi, ci sfuggono.
Carlini finì nel “tritacarne” di un’accusa - eclatante quanto imprecisa, abietta quanto inverosimile - formulata da un somalo che era stato suo dipendente durante la missione.
Ne uscì soltanto nell’aprile del 2001 con il provvedimento di archiviazione del giudice Salvini che, nel chiudere il caso, lanciò il suo “J’accuse” contro le istituzioni che - lo dichiarò apertamente - “non hanno collaborato con la Magistratura”, "per negligenza o altro".
Il caso Carlini, lo abbiamo considerato particolarmente interessante in quanto emblematico del rapporto fra informazione e giustizia, nel senso di segnalare quel sottile ed inquietante confine fra ricerca dello scoop ed etica della professione giornalistica. Lo abbiamo considerato emblematico anche nella capacità di rivelare l’ipocrisia di parte dell’istituzione militare, ormai priva di un’identità precisa e perciò impaurita degli sbalzi d’umore della pubblica opinione, confusa fra il vecchio modello e il nuovo stile “buonista” del “soldato di pace”, pronta a sacrificare e ad abbandonare chi non risponde ai nuovi schemi, chi non si uniforma.
“La giustizia non esiste e la legge non è uguale per tutti – scriveva un giovane bersagliere a Carlini - quello che è certo è che un uomo, un militare decorato, è lì, da anni, senza che le istituzioni abbiano mosso un solo dito per alleviargli il peso di 'infamanti accuse, che lo hanno consumato giorno per giorno. Addirittura, una delibera del COIR sul tema, che fu portata all'attenzione del COCER, ebbe come risposta che del caso Carlini “non si era a conoscenza.”
Ma dove è finito il Colonnello Carlini, ora che la sua vicenda si è conclusa con l’archiviazione?
Lo avevamo lasciato nel Museo di Castel Sant’Angelo e ci eravamo chiesti perché un militare operativo e superdecorato giacesse (è il caso di dirlo) in un Museo, dove, peraltro, si scoprì che la Difesa non aveva titolo di operare.
Da voci che girano, abbiamo poi appreso che perfino il Presidente della Repubblica, massima autorità dello Stato, si è interessato alla storia e al possibile futuro di questo valoroso militare, auspicando il suo impiego in reparti operativi o in missioni all’estero.
Questo ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo.
E infatti, ci risulta che il Colonnello è stato destinato, nella primavera del 2002, alla Cecchignola e, quindi, in Bosnia.
Perfetto, tutto bene, tutto risolto… Non tanto, perché ci risulta anche che dalla Bosnia il Carlini è rientrato, così come è arrivato, perché “in esubero”.
Ma come è possibile? Non sarebbe stato forse umiliante per qualunque persona , ma soprattutto per chi ha già subito il peso di una vicenda tanto grave, risultare in esubero e rientrare il giorno dopo l’arrivo, perché nessuno è riuscito a trovare ad un militare super-operativo un posto adeguato nella missione? Non lo si poteva sapere prima della partenza, che Carlini era in esubero?
Purtroppo non siamo riusciti a raggiungere il Colonnello per chiedere chiarimenti a lui, direttamente. Ultimamente si è chiuso in un totale mutismo, è difficile contattarlo.
La disillusione e l’infinita amarezza della vicenda evidentemente cominciano a pesare troppo. Ma ricordiamo un colloquio avuto tempo fa con Carlini… ci disse: "Sa, alcuni generali mi hanno mandato a dire che loro del mio caso non sono informati, in quanto non leggono i giornali. Quest'affermazione è stata ribadita anche di fronte a centinaia di persone durante un’assemblea dei Cobar e Cocer (rappresentanze di categoria dell'esercito) dove qualcuno ha rappresentato il caso Carlini e si è sentito rispondere che i generali non sono tenuti a leggere il giornale. Già, in passato, un giornalista del Corriere della Sera, parlando di un Generale di corpo d'armata, si era chiesto cosa mai potesse leggere la sera questo Generale: Pinocchio, Agata Christie o l'Annuario dei Generali…" Affermazioni che ci fecero sorridere, seppure amaramente… eppure qualche voce ci ha raggiunto in questi ultimi giorni per dirci che c’è poco da ridere, perché il Colonnello Carlini è, adesso, nuovamente inquisito, da una Procura Militare.
E perché mai?
Proprio perché qualche generale si è ritenuto oggetto di diffamazione continuata ed aggravata per essere stato “accusato” di non leggere i giornali o di leggere Pinocchio. Sembra un racconto di fantascienza, un gioco al massacro: ma è mai possibile che la vittima, il perseguitato, colui che è stato ingiustamente umiliato, diventi, in questo scenario surreale di generali offesi e di lettori di Pinocchio, l’accusato, l’eterno colpevole?
Forse il posto per i soldati dello stampo di Carlini è oggi soltanto questo, l’aula di un tribunale, o, nel migliore dei casi, un museo? Ma a chi è servito davvero il caso Carlini? Ci risuonano in mente le parole che il colonnello pronunciò quando iniziammo ad occuparci della sua vicenda: "…sarebbe molto grave, se qualcuno avesse detto, scritto, o anche solamente pensato, che il caso Carlini, eclatante ma falso, sia servito a coprire altri fatti meno eclatanti ma veri..."
Il caso del colonnello Carlini, fin dal primo momento, apparve come una gigantesca "bufala", senza alcun riscontro obiettivo, orchestrata ai danni di un ufficiale integerrimo e decorato per fini che, a tutt'oggi, ci sfuggono.
Carlini finì nel “tritacarne” di un’accusa - eclatante quanto imprecisa, abietta quanto inverosimile - formulata da un somalo che era stato suo dipendente durante la missione.
Ne uscì soltanto nell’aprile del 2001 con il provvedimento di archiviazione del giudice Salvini che, nel chiudere il caso, lanciò il suo “J’accuse” contro le istituzioni che - lo dichiarò apertamente - “non hanno collaborato con la Magistratura”, "per negligenza o altro".
Il caso Carlini, lo abbiamo considerato particolarmente interessante in quanto emblematico del rapporto fra informazione e giustizia, nel senso di segnalare quel sottile ed inquietante confine fra ricerca dello scoop ed etica della professione giornalistica. Lo abbiamo considerato emblematico anche nella capacità di rivelare l’ipocrisia di parte dell’istituzione militare, ormai priva di un’identità precisa e perciò impaurita degli sbalzi d’umore della pubblica opinione, confusa fra il vecchio modello e il nuovo stile “buonista” del “soldato di pace”, pronta a sacrificare e ad abbandonare chi non risponde ai nuovi schemi, chi non si uniforma.
“La giustizia non esiste e la legge non è uguale per tutti – scriveva un giovane bersagliere a Carlini - quello che è certo è che un uomo, un militare decorato, è lì, da anni, senza che le istituzioni abbiano mosso un solo dito per alleviargli il peso di 'infamanti accuse, che lo hanno consumato giorno per giorno. Addirittura, una delibera del COIR sul tema, che fu portata all'attenzione del COCER, ebbe come risposta che del caso Carlini “non si era a conoscenza.”
Ma dove è finito il Colonnello Carlini, ora che la sua vicenda si è conclusa con l’archiviazione?
Lo avevamo lasciato nel Museo di Castel Sant’Angelo e ci eravamo chiesti perché un militare operativo e superdecorato giacesse (è il caso di dirlo) in un Museo, dove, peraltro, si scoprì che la Difesa non aveva titolo di operare.
Da voci che girano, abbiamo poi appreso che perfino il Presidente della Repubblica, massima autorità dello Stato, si è interessato alla storia e al possibile futuro di questo valoroso militare, auspicando il suo impiego in reparti operativi o in missioni all’estero.
Questo ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo.
E infatti, ci risulta che il Colonnello è stato destinato, nella primavera del 2002, alla Cecchignola e, quindi, in Bosnia.
Perfetto, tutto bene, tutto risolto… Non tanto, perché ci risulta anche che dalla Bosnia il Carlini è rientrato, così come è arrivato, perché “in esubero”.
Ma come è possibile? Non sarebbe stato forse umiliante per qualunque persona , ma soprattutto per chi ha già subito il peso di una vicenda tanto grave, risultare in esubero e rientrare il giorno dopo l’arrivo, perché nessuno è riuscito a trovare ad un militare super-operativo un posto adeguato nella missione? Non lo si poteva sapere prima della partenza, che Carlini era in esubero?
Purtroppo non siamo riusciti a raggiungere il Colonnello per chiedere chiarimenti a lui, direttamente. Ultimamente si è chiuso in un totale mutismo, è difficile contattarlo.
La disillusione e l’infinita amarezza della vicenda evidentemente cominciano a pesare troppo. Ma ricordiamo un colloquio avuto tempo fa con Carlini… ci disse: "Sa, alcuni generali mi hanno mandato a dire che loro del mio caso non sono informati, in quanto non leggono i giornali. Quest'affermazione è stata ribadita anche di fronte a centinaia di persone durante un’assemblea dei Cobar e Cocer (rappresentanze di categoria dell'esercito) dove qualcuno ha rappresentato il caso Carlini e si è sentito rispondere che i generali non sono tenuti a leggere il giornale. Già, in passato, un giornalista del Corriere della Sera, parlando di un Generale di corpo d'armata, si era chiesto cosa mai potesse leggere la sera questo Generale: Pinocchio, Agata Christie o l'Annuario dei Generali…" Affermazioni che ci fecero sorridere, seppure amaramente… eppure qualche voce ci ha raggiunto in questi ultimi giorni per dirci che c’è poco da ridere, perché il Colonnello Carlini è, adesso, nuovamente inquisito, da una Procura Militare.
E perché mai?
Proprio perché qualche generale si è ritenuto oggetto di diffamazione continuata ed aggravata per essere stato “accusato” di non leggere i giornali o di leggere Pinocchio. Sembra un racconto di fantascienza, un gioco al massacro: ma è mai possibile che la vittima, il perseguitato, colui che è stato ingiustamente umiliato, diventi, in questo scenario surreale di generali offesi e di lettori di Pinocchio, l’accusato, l’eterno colpevole?
Forse il posto per i soldati dello stampo di Carlini è oggi soltanto questo, l’aula di un tribunale, o, nel migliore dei casi, un museo? Ma a chi è servito davvero il caso Carlini? Ci risuonano in mente le parole che il colonnello pronunciò quando iniziammo ad occuparci della sua vicenda: "…sarebbe molto grave, se qualcuno avesse detto, scritto, o anche solamente pensato, che il caso Carlini, eclatante ma falso, sia servito a coprire altri fatti meno eclatanti ma veri..."
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