Da Gazzetta del Mezzogiorno del 01/01/2005
Il rapimento Sossi
di Nicola Mascellaro
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La sera del 18 aprile, Mario Sossi, 42 anni, sostituto procuratore di Genova, sta per entrare nel portone di casa quando viene fermato da tre giovani e costretto a salire su un furgone. L'azione si svolge sotto gli occhi del portiere dell'abitazione del magistrato che lancia subito l'allarme: Mario Sossi è stato rapito. Il giorno successivo, arriva puntuale, il volantino: Un nucleo armato delle BR ha arrestato e rinchiuso in un carcere del popolo, il sostituto procuratore Mario Sossi. Perché proprio Sossi? Due motivi. Il primo è politico: si vuole dimostrare che le BR hanno raggiunto una tale efficienza e potenzialità da essere capaci di arrivare a colpire fino al ‘cuore dello Stato’. Il secondo, riguarda la personalità del magistrato: Sossi è considerato un "duro"... un persecutore fanatico di tutte le organizzazioni di sinistra in generale, per le sue mani sono passate le prime indagini sulle BR; il sequestro Gadolla; l'arresto del nipote di Palmiro Togliatti e in ultimo, ha sostenuto l'accusa contro la banda '22 ottobre' di Mario Rossi, l'assassinio del fattorino Alessandro Floris, il quale, condannato all'ergastolo, gli grida in faccia: Sossi fascita, sei il primo della lista! Iniziano le ricerche. Vengono trovate le auto utilizzate per il rapimento, ma di Sossi, nessuna traccia. Passano i giorni e si comincia a temere per la vita del magistrato. Il 23 aprile una foto ed un messaggio di Sossi fanno tirare un respiro di sollievo alla famiglia. Nel messaggio, il sostituto procuratore, invita la procura di Genova a far cessare le ricerche... sono inutili e dannose.
Lo stesso giorno, i fascisti di 'Ordine nero', seminano bombe a Milano, Lecco, in Umbria, Sicilia e Calabria.
Il 27, nuovo messaggio: In cambio della liberazione di Mario Sossi, vogliamo la scarcerazione della banda '22 ottobre'. Immediata la reazione del Governo: Ogni trattativa con i criminali è assurda, risponde il ministro dell'Interno Emilio Taviani. E ordina di riprendere le ricerche. Nel frattempo, la moglie di Mario Sossi invia suppliche al Papa e chiede, al Presidente della Repubblica, di intervenire... sono stata abbandonata, ed il marito, in un nuovo messaggio, ribadisce: Lo Stato mi ha lasciato privo di tutela, esponendomi a gravi rischi personali... non sono soltanto io responsabile dei miei errori. Il presidente Leone risponde: La dignità dello Stato va salvaguardata!
L'altalena di messaggi e posizioni continua per giorni mentre si accavallano un susseguirsi drammatico di avvenimenti. Le Brigate rosse devastano sezioni e circoli di partiti a Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna e Monza; i neofascisti invece agiscono per lo più nel Mezzogiorno: a Catania, Cagliari, Salerno, Napoli e Roma ma non disdegnano Brescia, Bologna e soprattutto Savona. Il 4 maggio, il Questore di Genova istituisce un premio di 20 milioni per chi farà ritrovare il procuratore rapito. Il 5, le BR inviano una nuova foto e rinnovano le loro deliranti richieste. Poi, a poco a poco, sotto i pressanti appelli della moglie di Mario Sossi, qualche magistrato comincia a suggerire... se non sia meglio lasciare libero un delinquente piuttosto che sacrificare la vita di un galantuomo.
L'8 maggio, 72 magistrati genovesi firmano un documento durissimo e lo consegnano al ministro Taviani che è a Genova, insieme a Fanfani, per la campagna referendaria: Vale più la vita umana di qualsiasi persona che il prestigio dello Stato, tanto più che tale prestigio non è da difendere adesso ma occorreva difenderlo prima. Bisogna salvare Sossi a tutti i costi. E Taviani, che pure è genovese, è inflessibile: Il Governo resta per il NO al patteggiamento con i criminali.
Il giorno dopo, il 9 maggio, nel carcere di Alessandria, tre detenuti si barricano nell'infermeria con undici ostaggi e intimano: o ci lasciate andare o facciamo una strage e, per dimostrare che fanno sul serio, uccidono subito il medico dell'Istituto penale. Il dilemma è atroce: cedere o decidere per un'azione di forza? Ed anche qui, la legge non cede. Nel pomeriggio del 10, i Carabinieri avranno ragione dei banditi, ma sarà pagato un prezzo troppo alto: il medico, due Carabinieri e due banditi saranno uccisi; altre 20 persone resteranno ferite.
Nella notte, i neo fascisti, compiono una serie di attentati dinamitardi a Bologna, Ancona, Milano e nel catanzarese. I giornali sembrano bollettini di guerra. Il Paese, sembra in guerra. La gente si sente frustrata, ricattata e impotente. Lo Stato è assente, il Governo è impegnato su tutte le piazze d'Italia per gli ultimi discorsi sul Referendum.
Il 14 maggio, Mario Sossi, scrive direttamente al Presidente della Repubblica invocando la liberazione della banda '22 ottobre' mediante l'applicazione della legge Valpreda per casi eccezionali come il suo. Ma Leone ripete il 'no'.
Il 16, a Milano, agenti della Guardia di Finanza alla ricerca dei rapitori di Rossi di Montelera, suonano alla porta di un signorile appartamento e si ritrovano faccia a faccia con l'uomo più ricercato d'Italia: Luciano Liggio, la lepre di Montelera. Un colpo di fortuna fatto passare, più tardi, per una brillante azione dei militi. Con la stessa occasionalità, i Carabinieri troveranno, in giugno, a Bergamo, il deposito postale destinato al macero.
Il 18, esattamente un mese dopo il rapimento di Sossi, i brigatisti inviano un ultimatum: Se entro 48 ore non saranno liberati i componenti il gruppo '22 ottobre', Mario Sossi verrà giustiziato.
Alle 14.15 del 20 maggio, la Corte d'Assise d'appello di Genova, decide di concedere la libertà provvisoria agli otto detenuti della banda. Contemporaneamente, il Ministro dell'Interno, ordina ai Carabinieri di circodare il carcere di Marassi allo scopo d'impedirne la scarcerazione mentre, il procuratore generale di Genova, Francesco Coco, impugna l'ordinanza con un ricorso alla Cassazione che, ovviamente, non potrà fare in tempo a decidere prima che scada l'ultimatum. Che succederà ora? L'attesa è spasmodica. La città di Genova è setacciata giorno e notte da 4000 agenti delle forze dell'ordine, ma di Sossi e dei suoi rapitori, nessuna traccia. Poi, alle 11 della sera del 23 maggio, Sossi viene rilasciato alla periferia di Milano dove, con tutta calma, ferma un taxi, si fa condurre alla stazione e prende il primo treno per Genova. Nella notte, è a casa.
Abbiamo liberato Sossi - si legge nel comunicato dei brigatisti che lo stesso magistrato porta in tasca - perché è stato raggiunto l'obiettivo prefisso: sviluppare al massimo le contraddizioni all'interno e tra i vari organi dello Stato.
Anche in questa occasione, la Gazzetta, pur senza 'schierarsi' fra favorevoli o contrari allo 'scambio', ospita diversi articoli del giudice Vincenzo Binetti palesemente favorevole a qualunque azione pur di salvare la vita di un essere umano... dal sistema costituzionale, comunque lo si voglia intraprendere - scrive Binetti - almeno una conclusione si ricava senza ombre di dubbio: che la dignità delle istituzioni dello Stato e la vita della persona umana rappresentano valori di rango primario che, a tutto concedere, si collocano quanto meno sullo stesso piano. Di qui, la necessità di evitare ogni preferenza anticipata che, se mai, dovrebbe ricorrere a vantaggio della persona umana ove si accolga la concezione secondo cui la Costituzione pone l'uomo al centro dell'ordinamento, come fine ultimo e mai come mezzo dell'azione statuale. Certo, v'è il pericolo che in futuro iniziative assurde e criminose vengano in qualche modo incoraggiare da un cedimento dello Stato, ma v'è anche il pericolo, ben più concreto e attuale, che un innocente sia sacrificato per un evento assai meno certo e probabilmente scongiurabile con altre iniziative, parimenti ferme, che lo Stato potrebbe assumere in seguito.
Le inchieste successive, appureranno che il rapimento di Mario Sossi, venne eseguito personalmente, da 'capi storici' delle BR: Renato Curcio, Alberto Franceschini e Pietro Bertolazzi condannati, dopo un lungo processo fra il '78 e '79, a 15 anni di reclusione ciascuno per solo questo primo capitolo della loro lunga storia.
Lo stesso giorno, i fascisti di 'Ordine nero', seminano bombe a Milano, Lecco, in Umbria, Sicilia e Calabria.
Il 27, nuovo messaggio: In cambio della liberazione di Mario Sossi, vogliamo la scarcerazione della banda '22 ottobre'. Immediata la reazione del Governo: Ogni trattativa con i criminali è assurda, risponde il ministro dell'Interno Emilio Taviani. E ordina di riprendere le ricerche. Nel frattempo, la moglie di Mario Sossi invia suppliche al Papa e chiede, al Presidente della Repubblica, di intervenire... sono stata abbandonata, ed il marito, in un nuovo messaggio, ribadisce: Lo Stato mi ha lasciato privo di tutela, esponendomi a gravi rischi personali... non sono soltanto io responsabile dei miei errori. Il presidente Leone risponde: La dignità dello Stato va salvaguardata!
L'altalena di messaggi e posizioni continua per giorni mentre si accavallano un susseguirsi drammatico di avvenimenti. Le Brigate rosse devastano sezioni e circoli di partiti a Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna e Monza; i neofascisti invece agiscono per lo più nel Mezzogiorno: a Catania, Cagliari, Salerno, Napoli e Roma ma non disdegnano Brescia, Bologna e soprattutto Savona. Il 4 maggio, il Questore di Genova istituisce un premio di 20 milioni per chi farà ritrovare il procuratore rapito. Il 5, le BR inviano una nuova foto e rinnovano le loro deliranti richieste. Poi, a poco a poco, sotto i pressanti appelli della moglie di Mario Sossi, qualche magistrato comincia a suggerire... se non sia meglio lasciare libero un delinquente piuttosto che sacrificare la vita di un galantuomo.
L'8 maggio, 72 magistrati genovesi firmano un documento durissimo e lo consegnano al ministro Taviani che è a Genova, insieme a Fanfani, per la campagna referendaria: Vale più la vita umana di qualsiasi persona che il prestigio dello Stato, tanto più che tale prestigio non è da difendere adesso ma occorreva difenderlo prima. Bisogna salvare Sossi a tutti i costi. E Taviani, che pure è genovese, è inflessibile: Il Governo resta per il NO al patteggiamento con i criminali.
Il giorno dopo, il 9 maggio, nel carcere di Alessandria, tre detenuti si barricano nell'infermeria con undici ostaggi e intimano: o ci lasciate andare o facciamo una strage e, per dimostrare che fanno sul serio, uccidono subito il medico dell'Istituto penale. Il dilemma è atroce: cedere o decidere per un'azione di forza? Ed anche qui, la legge non cede. Nel pomeriggio del 10, i Carabinieri avranno ragione dei banditi, ma sarà pagato un prezzo troppo alto: il medico, due Carabinieri e due banditi saranno uccisi; altre 20 persone resteranno ferite.
Nella notte, i neo fascisti, compiono una serie di attentati dinamitardi a Bologna, Ancona, Milano e nel catanzarese. I giornali sembrano bollettini di guerra. Il Paese, sembra in guerra. La gente si sente frustrata, ricattata e impotente. Lo Stato è assente, il Governo è impegnato su tutte le piazze d'Italia per gli ultimi discorsi sul Referendum.
Il 14 maggio, Mario Sossi, scrive direttamente al Presidente della Repubblica invocando la liberazione della banda '22 ottobre' mediante l'applicazione della legge Valpreda per casi eccezionali come il suo. Ma Leone ripete il 'no'.
Il 16, a Milano, agenti della Guardia di Finanza alla ricerca dei rapitori di Rossi di Montelera, suonano alla porta di un signorile appartamento e si ritrovano faccia a faccia con l'uomo più ricercato d'Italia: Luciano Liggio, la lepre di Montelera. Un colpo di fortuna fatto passare, più tardi, per una brillante azione dei militi. Con la stessa occasionalità, i Carabinieri troveranno, in giugno, a Bergamo, il deposito postale destinato al macero.
Il 18, esattamente un mese dopo il rapimento di Sossi, i brigatisti inviano un ultimatum: Se entro 48 ore non saranno liberati i componenti il gruppo '22 ottobre', Mario Sossi verrà giustiziato.
Alle 14.15 del 20 maggio, la Corte d'Assise d'appello di Genova, decide di concedere la libertà provvisoria agli otto detenuti della banda. Contemporaneamente, il Ministro dell'Interno, ordina ai Carabinieri di circodare il carcere di Marassi allo scopo d'impedirne la scarcerazione mentre, il procuratore generale di Genova, Francesco Coco, impugna l'ordinanza con un ricorso alla Cassazione che, ovviamente, non potrà fare in tempo a decidere prima che scada l'ultimatum. Che succederà ora? L'attesa è spasmodica. La città di Genova è setacciata giorno e notte da 4000 agenti delle forze dell'ordine, ma di Sossi e dei suoi rapitori, nessuna traccia. Poi, alle 11 della sera del 23 maggio, Sossi viene rilasciato alla periferia di Milano dove, con tutta calma, ferma un taxi, si fa condurre alla stazione e prende il primo treno per Genova. Nella notte, è a casa.
Abbiamo liberato Sossi - si legge nel comunicato dei brigatisti che lo stesso magistrato porta in tasca - perché è stato raggiunto l'obiettivo prefisso: sviluppare al massimo le contraddizioni all'interno e tra i vari organi dello Stato.
Anche in questa occasione, la Gazzetta, pur senza 'schierarsi' fra favorevoli o contrari allo 'scambio', ospita diversi articoli del giudice Vincenzo Binetti palesemente favorevole a qualunque azione pur di salvare la vita di un essere umano... dal sistema costituzionale, comunque lo si voglia intraprendere - scrive Binetti - almeno una conclusione si ricava senza ombre di dubbio: che la dignità delle istituzioni dello Stato e la vita della persona umana rappresentano valori di rango primario che, a tutto concedere, si collocano quanto meno sullo stesso piano. Di qui, la necessità di evitare ogni preferenza anticipata che, se mai, dovrebbe ricorrere a vantaggio della persona umana ove si accolga la concezione secondo cui la Costituzione pone l'uomo al centro dell'ordinamento, come fine ultimo e mai come mezzo dell'azione statuale. Certo, v'è il pericolo che in futuro iniziative assurde e criminose vengano in qualche modo incoraggiare da un cedimento dello Stato, ma v'è anche il pericolo, ben più concreto e attuale, che un innocente sia sacrificato per un evento assai meno certo e probabilmente scongiurabile con altre iniziative, parimenti ferme, che lo Stato potrebbe assumere in seguito.
Le inchieste successive, appureranno che il rapimento di Mario Sossi, venne eseguito personalmente, da 'capi storici' delle BR: Renato Curcio, Alberto Franceschini e Pietro Bertolazzi condannati, dopo un lungo processo fra il '78 e '79, a 15 anni di reclusione ciascuno per solo questo primo capitolo della loro lunga storia.
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