Da Corriere della Sera del 06/06/2006
DAI NAR A NESSUNO TOCCHI CAINO
Mambro: Sergio ha chiuso i suoi conti Lavorerà anche per i parenti delle vittime
di Giovanni Bianconi
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ROMA — Di condanne per omicidio ne ha più d'una. E non solo per «concorso morale» come Sergio D'Elia, ma per partecipazione diretta ai delitti firmati dai Nuclei armati rivoluzionari, formazione neofascista guidata da lei, Francesca Mambro, e dal marito Valerio Fioravanti. Terroristi «neri» che hanno incontrato il «rosso» D'Elia nella vita successiva, quando la coppia era ancora in carcere e lui offrì loro di lavorare per «Nessuno tocchi Caino», l'associazione contro la pena di morte legata al partito radicale. Ora D'Elia è diventato deputato, e Francesca Mambro commenta sommessamente le polemiche che ne sono derivate: «Con tutto il rispetto e la comprensione verso chi ha il pieno diritto di non ascoltarmi, mi sento di dire una sola cosa alla vedova dell'agente per il cui omicidio è stato condannato: credo che Sergio, come parlamentare, potrà rappresentare anche lei meglio di tanti altri, perché conosco il suo impegno e anche il carico di dolore che si porta dentro; pure per i danni e i guasti che ha provocato in passato, che ovviamente non è paragonabile a quello di chi è stato colpito personalmente e ha tutto il diritto di non sentirsi rappresentato».
Perfino in questi giorni che si ricominciava a parlare di amnistia, racconta la Mambro, stavano studiando insieme qualche provvedimento che non si fermasse alla riduzione del numero di detenuti: «Bisognerebbe trovare una soluzione affinché accanto all'interruzione dei processi ci si preoccupi anche di chi ha subito il reato e da quei processi attendeva giustizia; qualche forma di tutela delle vittime, insomma». Le stesse di cui parla chi si scandalizza dell'elezione di un ex dirigente di Prima linea a Montecitorio: «Mi pare che ci sia una certa tendenza a cavalcare "a orologeria" il dolore delle vittime. Come se ne sono occupati prima, quelli che ora protestano? I politici, dico: perché si ricordano di chi è stato ucciso solo quando prende la parola o entra nelle cronache un ex terrorista? Come mai la destra ha lasciato alla sinistra il compito di candidare al Parlamento i familiari delle persone colpite?».
In questi anni Mambro e Fioravanti hanno incontrato qualche parente di alcune persone che loro hanno ucciso. «Qualcuno ci ha perdonato cristianamente, e noi abbiamo accettato solo in quei termini. Non c'entrano le ideologie né la politica, sono percorsi individuali e riservati, che tali devono rimanere». Ecco perché su questo argomento il racconto della ex combattente dei Nar si ferma qui, con una sola aggiunta: «Noi non abbiamo cercato nessuno, per rispetto, anche perché domandare significherebbe caricare altri della responsabilità di risponderti, magari con un "no", e ci mancherebbe che poi uno fa pure la vittima. Ma a chi ci pone domande abbiamo il dovere di rispondere. Essere dimenticati per noi sarebbe meglio, ma non possiamo». Certo non chiede di essere dimenticato chi si candida alla Camera dei deputati, come D'Elia. Una scelta che la Mambro spiega così: «Lui ha chiesto allo Stato che l'aveva condannato di poter riacquistare i diritti civili, e lo Stato glieli ha concessi. A quel punto Sergio è stato messo in lista, ma non come reduce di una stagione. Lui non era scappato, né s'è sottratto alla pena, ha chiuso i conti con lo Stato e ne ha accettato le leggi. Non è uno di quelli che sostiene che il progetto rivoluzionario è fallito, dice che era semplicemente sbagliato. Non ha scritto libri toccanti né proposto discorsi commoventi. E soprattutto non s'è presentato per il suo passato remoto ma per quello più recente e per il presente; per l'attività che ha svolto e che svolge contro la pena di morte nel mondo».
È stato quello che ha fatto incontrare il «rosso» e i «neri», i quali di carcere e di politica fatta con le armi hanno parlato e parlano molto poco tra loro. Si conobbero quando D'Elia aderì, insieme a tanti altri di destra e di sinistra, al comitato «E se fossero innocenti?» che metteva in dubbio la colpevolezza di Mambro e Fioravanti nella strage di Bologna, unica condanna all'ergastolo contestata dai due. Poi arrivò la proposta di collaborare (dalla prigione) alla rivista di «Nessuno tocchi Caino», infine direttamente con l'associazione quando ci fu la possibilità di uscire dal carcere. Lavorare contro la pena capitale nel mondo sembra una sorta di contrappasso per chi una volta pensava di avere il diritto di dare la morte: «È un altro modo di provare a risarcire», commenta la Mambro. L'altro giorno in Iran è stata annullata la condanna a morte di Nazanin, una ragazza diciassettenne accusata di aver ucciso l'uomo che voleva violentarla; l'ex terrorista e gli altri s'erano spesi molto a diffondere appelli e raccogliere firme: «È stata una vittoria».
Subito dopo sono arrivate le polemiche per la nomina di D'Elia a deputato-segretario della Camera: «Il vespaio era prevedibile, e questo significa che la ferita è ancora aperta. L'errore, forse, è stato anche quello di non averla sanata prima, e di ricondurre tutto al dolore delle vittime o alla mancanza di sensibilità dei carnefici». Invece? «Invece la questione è più ampia. Già molto tempo fa provammo a dire che era sbagliato ridurre tutto a uno scontro generazionale tra destra e sinistra. Perché è vero che destra e sinistra si sparavano addosso, ma tutti e due sparavano su poliziotti e carabinieri. Allora la pacificazione non può avvenire solo tra "rossi" e "neri", ma deve passare anche attraverso il dialogo con la terza parte chiamata in gioco e che subiva il nostro attacco». Forse nasce anche da lì lo smarrimento della vedova dell'agente ucciso dai terroristi di Prima linea di fronte all'elezione di D'Elia, alla quale Francesca Mambro prova ancora a ripetere, sottovoce: «Sergio non strumentalizzerà il suo ruolo, lui è uno che davvero si occupa di quelli che stanno peggio».
Perfino in questi giorni che si ricominciava a parlare di amnistia, racconta la Mambro, stavano studiando insieme qualche provvedimento che non si fermasse alla riduzione del numero di detenuti: «Bisognerebbe trovare una soluzione affinché accanto all'interruzione dei processi ci si preoccupi anche di chi ha subito il reato e da quei processi attendeva giustizia; qualche forma di tutela delle vittime, insomma». Le stesse di cui parla chi si scandalizza dell'elezione di un ex dirigente di Prima linea a Montecitorio: «Mi pare che ci sia una certa tendenza a cavalcare "a orologeria" il dolore delle vittime. Come se ne sono occupati prima, quelli che ora protestano? I politici, dico: perché si ricordano di chi è stato ucciso solo quando prende la parola o entra nelle cronache un ex terrorista? Come mai la destra ha lasciato alla sinistra il compito di candidare al Parlamento i familiari delle persone colpite?».
In questi anni Mambro e Fioravanti hanno incontrato qualche parente di alcune persone che loro hanno ucciso. «Qualcuno ci ha perdonato cristianamente, e noi abbiamo accettato solo in quei termini. Non c'entrano le ideologie né la politica, sono percorsi individuali e riservati, che tali devono rimanere». Ecco perché su questo argomento il racconto della ex combattente dei Nar si ferma qui, con una sola aggiunta: «Noi non abbiamo cercato nessuno, per rispetto, anche perché domandare significherebbe caricare altri della responsabilità di risponderti, magari con un "no", e ci mancherebbe che poi uno fa pure la vittima. Ma a chi ci pone domande abbiamo il dovere di rispondere. Essere dimenticati per noi sarebbe meglio, ma non possiamo». Certo non chiede di essere dimenticato chi si candida alla Camera dei deputati, come D'Elia. Una scelta che la Mambro spiega così: «Lui ha chiesto allo Stato che l'aveva condannato di poter riacquistare i diritti civili, e lo Stato glieli ha concessi. A quel punto Sergio è stato messo in lista, ma non come reduce di una stagione. Lui non era scappato, né s'è sottratto alla pena, ha chiuso i conti con lo Stato e ne ha accettato le leggi. Non è uno di quelli che sostiene che il progetto rivoluzionario è fallito, dice che era semplicemente sbagliato. Non ha scritto libri toccanti né proposto discorsi commoventi. E soprattutto non s'è presentato per il suo passato remoto ma per quello più recente e per il presente; per l'attività che ha svolto e che svolge contro la pena di morte nel mondo».
È stato quello che ha fatto incontrare il «rosso» e i «neri», i quali di carcere e di politica fatta con le armi hanno parlato e parlano molto poco tra loro. Si conobbero quando D'Elia aderì, insieme a tanti altri di destra e di sinistra, al comitato «E se fossero innocenti?» che metteva in dubbio la colpevolezza di Mambro e Fioravanti nella strage di Bologna, unica condanna all'ergastolo contestata dai due. Poi arrivò la proposta di collaborare (dalla prigione) alla rivista di «Nessuno tocchi Caino», infine direttamente con l'associazione quando ci fu la possibilità di uscire dal carcere. Lavorare contro la pena capitale nel mondo sembra una sorta di contrappasso per chi una volta pensava di avere il diritto di dare la morte: «È un altro modo di provare a risarcire», commenta la Mambro. L'altro giorno in Iran è stata annullata la condanna a morte di Nazanin, una ragazza diciassettenne accusata di aver ucciso l'uomo che voleva violentarla; l'ex terrorista e gli altri s'erano spesi molto a diffondere appelli e raccogliere firme: «È stata una vittoria».
Subito dopo sono arrivate le polemiche per la nomina di D'Elia a deputato-segretario della Camera: «Il vespaio era prevedibile, e questo significa che la ferita è ancora aperta. L'errore, forse, è stato anche quello di non averla sanata prima, e di ricondurre tutto al dolore delle vittime o alla mancanza di sensibilità dei carnefici». Invece? «Invece la questione è più ampia. Già molto tempo fa provammo a dire che era sbagliato ridurre tutto a uno scontro generazionale tra destra e sinistra. Perché è vero che destra e sinistra si sparavano addosso, ma tutti e due sparavano su poliziotti e carabinieri. Allora la pacificazione non può avvenire solo tra "rossi" e "neri", ma deve passare anche attraverso il dialogo con la terza parte chiamata in gioco e che subiva il nostro attacco». Forse nasce anche da lì lo smarrimento della vedova dell'agente ucciso dai terroristi di Prima linea di fronte all'elezione di D'Elia, alla quale Francesca Mambro prova ancora a ripetere, sottovoce: «Sergio non strumentalizzerà il suo ruolo, lui è uno che davvero si occupa di quelli che stanno peggio».
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