Da Corriere della Sera del 27/06/2006
Il plauso dei moderati delle Corti Islamiche
«L'Italia ha convinto gli Usa a non intervenire in Somalia»
Ma i radicali attaccano Roma, «Potenza coloniale»
di Massimo A. Alberizzi
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NAIROBI (KENIA) - E’ stata la lunga mano di Al Qaeda ad assassinare venerdì scorso, durante la manifestazione antiamericana a Mogadiscio, il giornalista svedese Martin Adler. Fonti solitamente ben informate, hanno spiegato al Corriere che l’omicida è Ali Issa, un ragazzo del clan Haberghidir/Saad e del sottoclan Rer Hilowle. Altre due persone sono state arrestate per l’omicidio, ma sembrano estranee ai fatti. Ali Issa invece è ancora a piede libero, ben protetto dalla rete terrorista. Parente di uno dei signori della guerra che hanno combattuto contro le corti islamiche, Abdi Hassan Awale “Qabdid” ex capo della polizia, ha abbandonato il suo clan per entrare nello stretto entourage di Abu Talha Al Sudani. Sudanese, come spiega il nome stesso, Abu Talha è considerato dagli americani il proconsole di Osama Bin Laden in Somalia, l’uomo che portava le valigette piene di denaro ai capi locali di Al-Ittihat tra cui Shek Hassan Daher Aweis, l’estremista appena eletto alla carica di presidente della Shura, il parlamento islamico.
Miliziani delle Corti Islamiche (Reuters)
SANTONE ESTREMISTA - Shek Hassan è un radicale duro e puro, devoto ad Allah. Ricercato dagli americani, che l’hanno definito una mente del terrorismo internazionale, ieri in un’intervista telefonica alle agenzie internazionali ha ribadito che la Somalia diventerà uno stato strettamente islamico, che gli Stati Uniti non devono entrare nelle faccende del suo Paese e che lui non ha legami con il terrorismo. Una frecciata il santone estremista, il cui fratello Ahmed predica a Londra, l’ha rivolta alle due potenze coloniali Italia e Gran Bretagna: “Non ci hanno mai permesso di governare con il Corano, Ora spero che vogliano sostenere uno stato islamico”. Gli ha risposto a distanza l’inviato speciale del nostro governo per la Somalia Mario Raffaelli: «A noi interessa che i somali risolvano le loro differenze con il dialogo e non con la guerra. Nostro compito è facilitare la riconciliazione. Poi scelgano loro il tipo di governo che desiderano. Comunque ritengo che la popolazione somala non sia particolarmente contenta di essere governata secondo la sharia». Abdirahman Osman, il portavoce di Shek Sharif Shek Ahmed, il volto moderato e conciliante degli nuovi padroni di Mogadiscio, non ha dubbi: “L’Italia sta giocando un ruolo importante e fondamentale. Gli americani e gli etiopi vorrebbero intervenire militarmente contro i gruppi estremisti. Sarebbe un errore che farebbe precipitare di nuovo la Somalia nel caos e ricombatterebbe i radicali. Per fortuna Raffaelli li ha convinti a fermarsi. In Somalia i sentimenti antiamericani e antietiopici sono fortissimi”.
PROGETTO DI COOPERAZIONE - Nella sua ex colonia l’Italia sta finanziando un progetto di cooperazione del valore di 2 milioni di euro per sostenere il dialogo e il processo di riconciliazione a livello locale in sei regioni meridionali. Per la prima volta dopo 14 anni senza Stato, senza polizia, senza banche, senza tribunali, i somali, contro grandi interessi privati, cercano di ricostruire infrastrutture scomparse. Il programma ha l’obiettivo di ricomporre la frantumazione sociale che si è prodotta in questi lunghi e tragici anni di guerra civile. Intende ridurre il livello di tensione tra i clan, invitando capi tradizionali, politici, gruppi religiosi, donne, giovani e intellettuali a riunirsi per dar vita a amministrazioni locali, applicando i principi della Costituzione transitoria approvata nell’ottobre del 2004.
CORTI ISLAMICHE - Le corti islamiche, che ora hanno preso il nome di Somali Islamic Courts Congress (SICC), non sono un organismo omogeneo. All’interno si confrontano radicali e moderati. Ma non solo. La divisione avviene anche su linee claniche. Insomma un agglomerato di correnti, fazioni e gruppi tra cui è difficile districarsi. Per di più le alleanze cambiano in continuazione a seconda degli interessi (soprattutto economici) del momento. «Grazie alla mediazione dell’’Italia - conferma Abdirahaman – abbiamo aperto un canale di dialogo con il Governo Federale di Transizione. Certo, con il presidente Abdullahi Yussuf abbiamo differenze di vedute. Ci divide soprattutto una cosa: lui vuole una forza di peacekeeping, noi siamo contrari perché riteniamo che una presenza straniera rafforzi gli estremisti. Confidiamo in Raffaelli, che sta convincendo Abdullahi a lasciar perdere».
LEGATI AD AL QAEDA - Il nocciolo di tutta la matassa somala ruota intorno al gruppo di uomini, soprattutto arabi, pachistani e afgani, ma anche somali, che gli americani ritengono siano legati ad Al Qaeda e al terrorismo internazionale e che vogliono a ogni costo catturare. Nonostante tutti ufficialmente neghino, la loro presenza nella capitale somala viene ammessa e confessata, quando si promette all’interlocutore di non citare la fonte. «Certo – ripete al telefono da Mogadiscio uno dei pochi osservatori neutrali – ce n’è un gruppo nella casa di Abukar Omar Addane, il più importante finanziatore degli estremisti islamici». Prima della vittoria degli islamici gli americani avevano consegnato ai signori della guerra la lista di persone, presunti terroristi da arrestare, che hanno trovato rifugio in Somalia. L’elenco, segreto, non è stato mai ufficializzato e l’ambasciata americana a Nairobi in proposito tiene un imbarazzato riserbo. Le promesse di consegnarlo ai giornalisti non sono state mantenute.
LA LISTA - Secondo fonti del Corriere quella lista comprende - oltre ad Al Sudani, Shek Hassan Daher Aweis e Fazul Arun, l’uomo che ha organizzato nel 1998 gli attentati contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar Es Salaam e nel 2002 contro un albergo frequentato da israeliani a Mombasa - una ventina di persone. Tra le altre Sheikh Abdirahman Ubaydi, Sudanese, Sheikh Abiibakar Sadig, marocchino, Sheik Issa Mohamed , keniota trapiantato in Somaliland, Jaber Sheik Elbaneh, accusato di aver attaccato la nave da guerra americana Cole ormeggiata nel porto di Aden in Yemen, Sheik Salah Ahmed Abdalla (Nabhaani), uno yementa che avrebbe partecipato attivamente alla battaglia di Mogadiscio di maggio, Salah Mohamed Salah e Abdallah Abdallah, somali, aiutanti di Fazul Arun. Quest’ultimo avrebbe organizzato, assieme a un suo seguace anch’egli ricercato, l’attacco qualche settimana fa contro un posto di polizia del TFG, vicino alla capitale provvisoria Baidoa.
Miliziani delle Corti Islamiche (Reuters)
SANTONE ESTREMISTA - Shek Hassan è un radicale duro e puro, devoto ad Allah. Ricercato dagli americani, che l’hanno definito una mente del terrorismo internazionale, ieri in un’intervista telefonica alle agenzie internazionali ha ribadito che la Somalia diventerà uno stato strettamente islamico, che gli Stati Uniti non devono entrare nelle faccende del suo Paese e che lui non ha legami con il terrorismo. Una frecciata il santone estremista, il cui fratello Ahmed predica a Londra, l’ha rivolta alle due potenze coloniali Italia e Gran Bretagna: “Non ci hanno mai permesso di governare con il Corano, Ora spero che vogliano sostenere uno stato islamico”. Gli ha risposto a distanza l’inviato speciale del nostro governo per la Somalia Mario Raffaelli: «A noi interessa che i somali risolvano le loro differenze con il dialogo e non con la guerra. Nostro compito è facilitare la riconciliazione. Poi scelgano loro il tipo di governo che desiderano. Comunque ritengo che la popolazione somala non sia particolarmente contenta di essere governata secondo la sharia». Abdirahman Osman, il portavoce di Shek Sharif Shek Ahmed, il volto moderato e conciliante degli nuovi padroni di Mogadiscio, non ha dubbi: “L’Italia sta giocando un ruolo importante e fondamentale. Gli americani e gli etiopi vorrebbero intervenire militarmente contro i gruppi estremisti. Sarebbe un errore che farebbe precipitare di nuovo la Somalia nel caos e ricombatterebbe i radicali. Per fortuna Raffaelli li ha convinti a fermarsi. In Somalia i sentimenti antiamericani e antietiopici sono fortissimi”.
PROGETTO DI COOPERAZIONE - Nella sua ex colonia l’Italia sta finanziando un progetto di cooperazione del valore di 2 milioni di euro per sostenere il dialogo e il processo di riconciliazione a livello locale in sei regioni meridionali. Per la prima volta dopo 14 anni senza Stato, senza polizia, senza banche, senza tribunali, i somali, contro grandi interessi privati, cercano di ricostruire infrastrutture scomparse. Il programma ha l’obiettivo di ricomporre la frantumazione sociale che si è prodotta in questi lunghi e tragici anni di guerra civile. Intende ridurre il livello di tensione tra i clan, invitando capi tradizionali, politici, gruppi religiosi, donne, giovani e intellettuali a riunirsi per dar vita a amministrazioni locali, applicando i principi della Costituzione transitoria approvata nell’ottobre del 2004.
CORTI ISLAMICHE - Le corti islamiche, che ora hanno preso il nome di Somali Islamic Courts Congress (SICC), non sono un organismo omogeneo. All’interno si confrontano radicali e moderati. Ma non solo. La divisione avviene anche su linee claniche. Insomma un agglomerato di correnti, fazioni e gruppi tra cui è difficile districarsi. Per di più le alleanze cambiano in continuazione a seconda degli interessi (soprattutto economici) del momento. «Grazie alla mediazione dell’’Italia - conferma Abdirahaman – abbiamo aperto un canale di dialogo con il Governo Federale di Transizione. Certo, con il presidente Abdullahi Yussuf abbiamo differenze di vedute. Ci divide soprattutto una cosa: lui vuole una forza di peacekeeping, noi siamo contrari perché riteniamo che una presenza straniera rafforzi gli estremisti. Confidiamo in Raffaelli, che sta convincendo Abdullahi a lasciar perdere».
LEGATI AD AL QAEDA - Il nocciolo di tutta la matassa somala ruota intorno al gruppo di uomini, soprattutto arabi, pachistani e afgani, ma anche somali, che gli americani ritengono siano legati ad Al Qaeda e al terrorismo internazionale e che vogliono a ogni costo catturare. Nonostante tutti ufficialmente neghino, la loro presenza nella capitale somala viene ammessa e confessata, quando si promette all’interlocutore di non citare la fonte. «Certo – ripete al telefono da Mogadiscio uno dei pochi osservatori neutrali – ce n’è un gruppo nella casa di Abukar Omar Addane, il più importante finanziatore degli estremisti islamici». Prima della vittoria degli islamici gli americani avevano consegnato ai signori della guerra la lista di persone, presunti terroristi da arrestare, che hanno trovato rifugio in Somalia. L’elenco, segreto, non è stato mai ufficializzato e l’ambasciata americana a Nairobi in proposito tiene un imbarazzato riserbo. Le promesse di consegnarlo ai giornalisti non sono state mantenute.
LA LISTA - Secondo fonti del Corriere quella lista comprende - oltre ad Al Sudani, Shek Hassan Daher Aweis e Fazul Arun, l’uomo che ha organizzato nel 1998 gli attentati contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar Es Salaam e nel 2002 contro un albergo frequentato da israeliani a Mombasa - una ventina di persone. Tra le altre Sheikh Abdirahman Ubaydi, Sudanese, Sheikh Abiibakar Sadig, marocchino, Sheik Issa Mohamed , keniota trapiantato in Somaliland, Jaber Sheik Elbaneh, accusato di aver attaccato la nave da guerra americana Cole ormeggiata nel porto di Aden in Yemen, Sheik Salah Ahmed Abdalla (Nabhaani), uno yementa che avrebbe partecipato attivamente alla battaglia di Mogadiscio di maggio, Salah Mohamed Salah e Abdallah Abdallah, somali, aiutanti di Fazul Arun. Quest’ultimo avrebbe organizzato, assieme a un suo seguace anch’egli ricercato, l’attacco qualche settimana fa contro un posto di polizia del TFG, vicino alla capitale provvisoria Baidoa.
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