Da Aprile del 06/07/2006

Caso Abu Omar. In manette Mancini, vice del controspionaggio e il generale Pignero.Concorso nel sequestro dell'imam di Viale Jenner e abuso di potere

Colpo al cuore del Sismi

di Andrea Santini

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Servizi segreti, spie e dintorniServizi Segreti italiani
Il caso dell’imam Abu Omar, sequestrato da un commando della Cia a Milano il 17 gennaio 2003, e da tempo scomparso in Egitto, è arrivato al cuore del Sismi. La magistratura milanese ha firmato l’ordine di arresto per due dirigenti del servizio segreto. Un colonnello, all’epoca responsabile dei centri del Nord Italia, e attualmente direttore della prima Divisione, e un generale, all’epoca direttore della prima Divisione, e quindi suo superiore. Il colonnello è stato arrestato nella sua abitazione in nord Italia, mentre il generale è agli arresti domiciliari per motivi di salute. Contemporaneamente il gip ha firmato quattro ordinanze di custodia cautelare nei confronti al altrettanti cittadini americani, tre agenti della Cia e uno ufficiale dell’aeroporto militare nella base Usa di Aviano.

Non è ancora chiaro il ruolo dei due uomini del Sismi nella vicenda. Le imputazioni riguardano il sequestro di persona con l’aggravante dell’abuso dei poteri inerenti la qualità di pubblico ufficiale, reato che modificherebbe una serie di accuse che originariamente riguardavano 22 agenti della Cia, vale a dire tutto il gruppo coinvolto nel rapimento dell’Imam, attualmente latitanti e per i quali era stata avanzata richiesta di estradizione, negata dall’allora ministro della giustizia Castelli. Finora, oltre all’emissione delle ordinanze di custodia cautelare, è stata effettuata una perquisizione al quotidiano “Libero” e nelle abitazioni del vice direttore Alberto Farina e di un redattore, dove sono stati sequestrati i rispettivi computer. Abbastanza poco per capire quale sia il livello istituzionale che può essere toccato.

Ci troviamo infatti in una situazione abbastanza kafkiana. Finora il governo Berlusconi, chiamato in causa, ha sempre negato di essere stato al corrente dell’operazione Cia. Lo stesso direttore del Sismi, il generale Pollari, si è sempre chiamato fuori, criticando anzi pesantemente di operazioni americane di “extraordinary rendition” portate in terra straniera. Nello stesso tempo un rapporto al Parlamento europeo, redatto dal senatore svizzero Dick Marty, analizzando voli e rotte di aerei americani, stabiliva che in Europa le operazioni di sequestri mirati erano state molte, che sette Paesi europei erano coinvolti, e che tra questi c’era anche l’Italia. Di più, sosteneva che le zone di atterraggio in Romania e Polonia venivano utilizzate per la vicinanza ai luoghi di detenzione clandestina. Contemporaneamente l’allora ministro degli esteri Martino mandava un messaggio cifrato, dicendo che chi portava avanti le richieste di chiarificazione con gli Stati Uniti non aveva idea dei danni internazionali e di alleanza che avrebbe provocato. Se non sapeva niente, come poteva prevedere danni?

Insomma, una di quelle faccende pelose e indefinite in cui tutti quelli che potrebbero essere coinvolti preferiscono fare gli struzzi e tenere la testa sotto la sabbia. Il problema è che la nuova iniziativa della magistratura milanese ha fatto saltare il coperchio, e prima si viene a sapere quanto il guasto sia profondo o limitato più le istituzioni, anche quelle che vivono di segretezza, hanno da guadagnare. Perché una cosa è quando le istituzioni si muovono ufficialmente, altra è quando ad essere investiti di responsabilità clandestine sono “gli amici degli amici”. C’è un episodio illuminante nella storia repubblicana, e riguarda Amintore Fanfani. Fanfani non era amico degli amici. Era un leader della Dc, ma aveva sostenuto Matte e la sua politica energetica e aveva sostenuto l’ingresso dei socialisti nel centro sinistra. Così, quando venne alla luce Stay behind, vale a dire la Gladio in funzione anticomunista, fu tra quelli che si sorpresero: “Perché – disse - non ne sapevo nulla?” Appunto, non era considerato “amico”.

L’iniziativa della procura di Milano, se si ferma ai livelli sinora toccati, potrebbe prefigurare una situazione simile. Vale a dire che il capo della sezione italiana della Cia si sarebbe rivolto non all’istituzione, ma agli amici. Una di quelle situazioni in cui qualcuno non sa, qualcuno mette la testa sotto la sabbia per non vedere, pur sapendo come vanno le cose nel mondo. Se invece c’è del marcio in Danimarca, saranno i giudici a stabilirlo, aggirando le pavidità politiche, e tutti, fuorché quelli coinvolti, avranno da guadagnarne.

Del resto, sembra che anche la risposta del mondo politico si attenga a questo schema. Stupore in alcuni ambienti del centro destra, attacco diretto ai magistrati da parte di altri ambienti, sempre del centro destra, attacchi agli Stati Uniti da alcuni ambienti del centro sinistra, ma anche silenzi. Insomma, amici, struzzi, non amici. Il problema, tuttavia, non può risolversi in questa maniera, almeno a livello politico. E’ necessario giungere ad una chiarezza di fondo, se si vuole impostare un progetto di pulizia che non sia sospettato di strumentalizzazioni. Perché una cosa è condividere gli ideali americani, altra è essere a libro paga della Cia.

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