Da Inter Press Service del 31/07/2006

Media - Somalia

“Chiunque può ucciderti…”

di Joyce Mulama

NAIROBI, 27 luglio 2006 (IPS) - Martin Adler, 2006; Kate Peyton, 2005; Duniya Muhyadin Nur, 2005; Abdullahi Madkeer, 2003; Ahmed Kafi Awale, 2000; Marcello Palmisano, 1995; Miran Krovatin, 1994; Ilaria Alpi, 1994; Pierre Anceaux, 1994; Jean-Claude Jumel, 1993; Hansi Krauss, 1993; Hosea Maina, 1993; Dan Eldon, 1993; Anthony Macharia, 1993*.

La lista dei giornalisti uccisi in Somalia dopo la caduta del dittatore Muhammad Siad Barre nel 1991 contiene 14 nomi. E rischia di aumentare, visto che il paese è sull’orlo di un nuovo conflitto su larga scala, dopo il fallimento dei colloqui tra il governo ad interim e le milizie islamiche riunite sotto il nome di Unione delle Corti Islamiche (Uic).

Le rischiose condizioni dei reporter rendono anche molto difficile raccontare i fatti, in una parte del mondo che dovrebbe essere al centro dell’attenzione dei media, per il suo presunto ruolo nella guerra al terrorismo - e per il suo potenziale di destabilizzazione per gli altri paesi dell’Africa orientale.

“No, no, no, non adesso. Magari tra qualche anno, ma non oggi né domani”, ha esclamato Xan Rice, giornalista del quotidiano britannico “The Guardian”, intervistato dall’IPS sull’eventualità di tornare in Somalia entro breve.

Rice ha assistito all’uccisione di Martin Adler, un freelance svedese colpito da un cecchino non identificato il 23 gennaio 2006 nella capitale somala di Mogadiscio mentre scriveva su una manifestazione dell’Uic.

“È estremamente difficile lavorare sul posto”, ha aggiunto Rice. “Ogni volta che sei in contatto con qualche rappresentante del settore pubblico, sei in pericolo, un pericolo reale. Chiunque può ucciderti: non sai chi lo farà, o da che parte arriverà il proiettile”.

Per i reporter locali che non possono permettersi il lusso di un biglietto per uscire dalla Somalia, la situazione è anche peggiore.

“C’è una costante violazione dei diritti dei giornalisti somali. Ogni anno, diversi giornalisti vengono arrestati, imprigionati, torturati e anche uccisi”, ha detto all’IPS un reporter locale da Mogadiscio.

Di conseguenza, “pochissimi giornalisti osano scrivere articoli di critica, che non sono graditi ai pezzi grossi. (E) devono subire l’ira di chi si dice insoddisfatto dei loro articoli”.

I giornalisti locali possono essere presi di mira anche se scrivono per la stampa internazionale, ha spiegato il reporter di Mogadiscio. Per questo cercano di evitare di firmare gli articoli, e di impedire che la loro identità venga rivelata come fonte d’informazione.

L’Unione nazionale dei giornalisti somali (NUSOJ) traccia un quadro analogo nel suo “Rapporto annuale sulla libertà di stampa” 2005.

“Sebbene un ampio spettro di media, sia della stampa sia elettronici, sopravviva, oggi tutti i media somali lottano per continuare ad esistere”, si legge nel documento.

“Solo quest’anno, l’Unione nazionale dei giornalisti somali ha monitorato, indagato e riportato oltre 15 casi di reporter assassinati, giornalisti arrestati, istituzioni dei media sospese e costanti intimidazioni contro i giornalisti”.

Al tempo del rapporto 2005, la NUSOJ aveva constatato la presenza di 17 stazioni radio e di 60 quotidiani in Somalia, così come di oltre 200 siti web che fornivano informazioni sul paese. Secondo l’Unione, questi siti web operavano prevalentemente dall’estero.

Mentre i colpevoli di omicidi e di abusi verso i giornalisti sfuggono molte volte alla condanna, secondo l’organizzazione di difesa dei diritti umani Amnesty International, ci sono anche casi in cui vengono processati.

In un messaggio alla NUSOJ della scorsa settimana, in occasione della prima assemblea generale dell’unione, Amnesty ha encomiato l’Unione per aver creato dei sistemi per raccogliere informazioni e riferire di casi in contrasto con la libertà dei media.

“Questo processo, sostenuto dalle organizzazioni internazionali per la libertà dei media, ha avuto senz’altro successo in diverse occasioni. Le autorità in molti casi hanno ascoltato le lamentele ed erano aperte alla discussione, hanno indagato sulle denuncie di abusi e sembra abbiano adottato delle misure per porvi rimedio”, ha aggiunto Amnesty.

Ciononostante, le preoccupazioni sulla libertà di stampa in Somalia sono destinate ad aumentare con i resoconti delle prime schermaglie tra il governo di transizione guidato dal presidente Abdullahi Yusuf e i militanti islamici.

E questo dopo l’arrivo, il 20 luglio, delle truppe etiopi a Baidoa, in sostegno dell’amministrazione di Yusuf. Il governo ad interim ha la propria sede in questa città del centro-sud, essendosi dimostrato troppo debole per stabilirsi a Mogadiscio.

Sembra che l’Etiopia abbia dispiegato le sue truppe anche nella città sud-occidentale di Waajid, e abbia assunto il controllo della pista d’atterraggio locale. Per molto tempo i rapporti tra Etiopia e Somalia sono stati difficili: i due paesi sono entrati in guerra alla fine degli anni ’70 per il controllo della regione di Ogaden, una zona dell’Etiopia che Addis Abeba teme che i militanti islamici possano protestare.

La presenza delle forze etiopi ha portato ad un brusco stop nei negoziati tra il governo della Somalia e l’Uic, che avrebbero dovuto proseguire nella capitale sudanese. I militanti islamici minacciano adesso la “jihad”, o guerra santa, contro l’Etiopia.

I colloqui erano stati avviati dopo che i militanti avevano preso il controllo di Mogadiscio il mese scorso, dai leader della fazione, che sembra siano finanziati dagli Stati Uniti. Gli Usa sospetterebbero infatti della presenza di possibili legami tra l’Uic e Al Qaeda.

I leader dell’Uic negano tali legami, dichiarando che vogliono solo ripristinare la legge e l’ordine in Somalia. Il paese è stato alla mercé dei leader delle fazioni rivali sin dalla caduta di Siad Barre, rimanendo senza un governo per più di dieci anni. L’amministrazione Yusuf si è instaurata solo nel 2004, in Kenya.

Oltre ad aver preso Mogadiscio dopo circa cinque mesi di combattimenti, l’Uic ha stabilito il controllo nella maggior parte della Somalia meridionale, e sembra voglia puntare su Baidoa.

Negli ultimi mesi, secondo le Nazioni Unite, sono state cancellate centinaia di vite umane, con oltre 17.000 sfollati a causa del conflitto.

*I nomi si trovano sul sito web del Comitato per la tutela dei giornalisti di New York.

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