Da La Stampa del 14/07/2006
VENT'ANNI DOPO: DA GIOVANI RIVOLUZIONARI SENZA MEZZI AD ESERCITO IN PIENA REGOLA: 3.000 MILIZIANI, 12.000 FINACHEGGIATORI, BLINDATI, MISSILI E MORTAI
Ascesa di Hezbollah. L’esercito dei puri voluto da Khomeini
di Mimmo Candito
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QUANDO Khomeini li aveva fatti partire per la loro missione rivoluzionaria, nei primi anni Ottanta, quel manipolo di pasdaran in viaggio sgangherato per Beirut aveva una bandiera che il vecchio ayatollah gli ha consegnato severo: «La strada di Gerusalemme passa per il Libano». Vent'anni dopo, sembrano le parole che oggi Ahmadinejad dice quando da Teheran chiama «la rivolta di tutti i popoli dell'Islam» come percorso obbligato per «la distruzione dell'entità sionista»; ma l'approssimativa imbarcata di giovani rivoluzionari di quel tempo lontano, le nere barbe furenti di misticismo, le povere uniformi di grezzo panno verde, il kalashnikov e poco più nelle mani, è diventata ora un vero e proprio esercito di 3.000 miliziani in armi, 12.000 fiancheggiatori, e una linea di fuoco retta da carri armati, blindati di trasporto truppe, batterie di mortai e Katyusha, montagne di missili di fabbricazione iraniana. E se nel primo giorno di battaglia, l'altro ieri, questa «banda di terroristi» ha ammazzato 8 soldati israeliani e preso 2 prigionieri, vuol dire allora che la guerra in corso sarà pure asimmetrica, ma è guerra vera, e non è detto che il suo risultato sia scontato già, e facile. Al tempo dello sbarco di quel primo manipolo di «rivoluzionari di Dio» (la fetta più incontrollabile dei rivoluzionari professionali), il Libano è traversato dal lungo massacro interetnico e interreligioso che ha già fatto più di 100 mila morti ma non ha risolto il braccio di ferro nel quale Israele e la Siria si stanno misurando, sulle spalle disgraziate dei libanesi e sulla pelle dell'ambizione «nazionalista» dei palestinesi. Hezbollah appare solo un piccolo volenteroso gruppo militante, che punta a fare adepti nella disastrata minoranza sciita ma non senza speranze: rinserrati nelle baracche della periferia misera di Beirut, costretti alla fuga dagli israeliani che hanno preso il controllo del Libano meridionale, gli sciiti libanesi sono infatti un terreno di coltura fertile per la propaganda dei pasdaran, anche perchè questa propaganda è accompagnata da una politica sociale molto coinvolgente (scuole e ambulatori gratuiti, assistenza e sussidi a larghe mani) e da un'affascinante donazione di armi che spingono alla vendetta anche il più renitente dei profughi. Hezbollah, il Partito di Dio, lavora con la strategia del ragno, tesse una tela che sempre più s'allarga e s'infittisce e si stende a controllare il territorio. Come con i miliziani sunniti di Hamas, anche con gli sciiti di Hezbollah il gioco d'Israele è quello del supporto a distanza, nella convinzione che i nemici del mio nemico sono miei amici; e poichè l'uomo da battere è Arafat, anche quegli assatanati in panno verde e barba lunga che fanno concorrenza al vecchio leader dell'Olp possono andar bene. Solo che il gioco si fa pesante, Hezbollah aiuta a far saltare in aria americani e francesi, dirotta aerei, occupa sempre più lo spazio politico (non più soltanto militare) della scena libanese. E quando questa spinta si fa insostenibile, perchè costa troppo in termini di soldati di Tsahal ammazzati, Tel Aviv ordina il rientro delle truppe dal Libano e consegna - presume di consegnare - il controllo della fascia di sicurezza lungo la frontiera ai miliziani di quella che pomposamente viene chiamata l'Armée du Sud Liban ma che è un'accozzaglia di cristiani, di sciiti, e di qualche sunnita, votati alla divisa per necessità di fame da saziare, ma pronti a squagliarsi alle prime vere difficoltà sul terreno. Ecco, la vera nascita di Hezbollah non è il giorno dell'arrivo nella valle della Bekaa dopo lo scombinato viaggio da Teheran; no, è in quel 22 maggio del 2000 (quasi vent'anni dopo il loro viaggio missionario) quando l'Asl si sgretola definitivamente, migliaia di soldati del generale Lahad s'ammassano ai valichi israeliani di Biranit e Turnus chiedendo la carità di un accesso per loro e per le loro famiglie cenciose che gli stanno attaccate addosso, e sui villaggi di Hula, di Qantara, di Bint Jel, ora senza nemmeno sparare un colpo la bandiera gialla del «Partito di Dio» sventola superba e vittoriosa. I fortini rinserrati dell'Als, Kaba, Hula, Markhaba, vengono abbandonati al loro destino, migliaia di libanesi sciamano attraverso il valico di Beit Yahun e riprendono possesso del loro territorio. Quel giorno il ragno ha completato il proprio lavoro, e la storia del Medio Oriente cambia. Forse non cambia nelle analisi raccolte degli studiosi che guardano alle strategie internazionali come a una partita di lungo periodo, ma certamente cambia nell'immaginario dei popoli dell'Islam, che per la prima volta vedono, «leggono», la ritirata di Tsahal e la liberazione del Libano meridionale come la dimostrazione che Israele può essere sconfitto sul campo. Basta resistergli e combatterlo; appunto, combatterlo. Il partito della rassegnazione, o comunque del negoziato, viene fronteggiato ora da quelle immagini che la stazione televisiva degli Hezbollah - Al Manar - manda in onda a tutte le ore e diventa nella intera Umma, dall'Atlantico all'oceano Indiano, il messaggio della rivoluzione che può vincere. Hezbollah oggi ha 2 ministri nel governo di Beirut e 23 deputati nel suo parlamento; è ancora un apparato militare ma è anche una forza politica. Che fa politica nazionale libanese ma fa, soprattutto, politica «nazionale» islamica. Una politica che nel nome di Allah crede sempre che la strada per Gerusalemme passi davvero attraverso il Libano, ma lo crede guardando al futuro con occhi e orecchie ben aperti verso tutto quello che la teocrazia iraniana suggerisce da laggiù. La Siria, in un angolo, osserva e aspetta; in un Medio Oriente sempre più inquieto e insicuro,i giochi si stanno rimescolando. Dal pantano iracheno s'allargano onde che vanno destabilizzando ogni progetto possibile, c'è sempre una guerra che ricomincia.