Da La Repubblica del 17/10/2006

I ragazzi di Via Pal insorgono

Un classico e la rivolta del ‘56

Nelle scuole ungheresi il capolavoro di Molnar è un testo d´obbligo: i protagonisti sono dei quattordicenni proprio come gli studenti della rivoluzione di Budapest.
Imre Nagy, che era un gran tifoso di calcio, restò fino all´ultimo un comunista e soffrì terribilmente
Krusciov avrebbe detto: "Se una decina di scrittori fossero stati fucilati non sarebbe accaduto proprio nulla"

di Adriano Sofri

Vi ricordate l´espressione «fare l´einstand»? Sono i fratelli Pasztor, grandi e grossi e prepotenti, a fare l´einstand al piccolo Nemecsek, portandogli via tutto il suo patrimonio di biglie. «L´einstand è anche una dichiarazione di guerra, un´espressione breve e categorica per proclamare il diritto del più forte...». Quarant´anni dopo l´uscita dei Ragazzi della via Pal di Ferenc Molnar, l´Unione Sovietica aveva fatto l´einstand all´intera Ungheria, ai suoi macchinari, al suo uranio, al suo grano e al suo popolo. E quando, altri dieci anni dopo, il suo popolo ne ebbe abbastanza e si ribellò, l´Urss lo schiacciò coi carri armati, senza neanche dichiarare la guerra, simulando di ritirarsi e di lasciare gli ungheresi liberi di decidere di sé. Con l´inganno più sfrontato: i grandi capi russi che sorridevano e mentivano ai legittimi governanti ungheresi, che li invitavano a negoziare e a cenare nelle loro basi per saltar loro addosso, imprigionarli e poi passarli per le armi. I ragazzi della via Pal si battono per conservare il loro campo, la loro via Gluck, e sperimentano la spavalderia dei più grossi, l´amarezza delle delazioni e dei tradimenti, la tentazione della slealtà: e però alla fine anche i più grossi rendono l´onore delle armi ai piccoli e intrepidi, anche le spie e i rinnegati tornano contriti sui propri passi, anche gli strateghi dei colpi bassi riconoscono il vero valore. La guerra sarà perduta per tutti - là dove c´era la segheria ora arriverà un casermone d´affitto, addirittura di tre piani! - ma sarà stata cavalleresca e avrà insegnato ai reduci ad affrontare la lotta e la vita, nella memoria del soldatino-capitano coraggioso, il biondino Nemecsek Erno. Nella repressione della rivoluzione ungherese del 1956, al contrario, solo infamia e brutalità.
Quando scoppiò la Rivoluzione ungherese, io avevo quattordici anni. Non punibile, qualunque cosa ne avessi pensato. Mi ricordo l´impressione che mi fece. Ho ancora la mia copia, nei Capolavori stranieri per la gioventù, Marzocco, 1949: dunque avevo sette anni. Avevo già letto il libro Cuore. Cuore è del 1886, La via Pal del 1907. Boka somigliava a Garrone, Nemecsek somigliava alla Piccola vedetta lombarda. Anche lui stava di vedetta, su un albero dell´Orto Botanico. Cuore è, dopo Pinocchio, il libro italiano più tradotto nel mondo. I ragazzi della via Pal è il libro ungherese più tradotto. Nelle scuole ungheresi è un testo dell´obbligo. Nei Ragazzi della via Pal ci sono delazioni, colpi bassi, prepotenze, ma alla fine prevale una solidarietà cameratesca. Si capiva che la vita è una lotta - anzi, una guerra - ma non al punto di non riconoscersi, gli uni agli altri, l´onore delle armi. Anche i ginnasiali della via Pal hanno quattordici anni. E nel ‘56 molti protagonisti della rivoluzione d´Ungheria erano ragazzi di 12, 13, 14 anni, e poco più. Coetanei di Boka e del piccolo Nemecsek. Non era facile rendersene conto, allora.
Anche da questo punto di vista la ribellione di Budapest fu misconosciuta. Quando toccò al Sessantotto, non si pensò che c´era già stata una rivolta di giovani, dall´altro lato della cortina, dove nessuno avrebbe scommesso un soldo sulla possibilità di ribellione; e che quella ribellione di giovani e giovanissimi era venuta con tanto anticipo sulla nostra; e che il nemico che si era trovata di fronte, la nomenklatura comunista, era propriamente una gerontocrazia. Primi, il 23 ottobre, sotto la statua di Petöfi, erano venuti gli studenti e gli scolari, poi gli operai, anche loro coi più giovani in prima fila, e i soldati, quasi coetanei di quegli studenti, in una ripetizione del 1848. Tra i famosi «Sedici punti» degli studenti del Circolo Petöfi l´ultimo convocava addirittura un «parlamento della gioventù»: «... Hanno deciso di convocare a Budapest sabato 27 ottobre un parlamento della gioventù al quale tutti i giovani del paese parteciperanno con propri delegati».
Libertà e socialismo furono le bandiere di quella ribellione: rinnegato con tutto il cuore il socialismo nella sua contraffazione sovietica, risorto quello dei consigli operai, sogno ricorrente di autogoverno dei lavoratori. Si tagliò via dal tricolore la falce e il martello. Erano simboli della dittatura.
La «bandiera col buco» era la vera. Ma non si volle rinunciare né alla solidarietà sociale, né alla fraternità del lavoro. Si cercò un´ennesima Terza via. La terza via segue come un´ombra fiera e desolata la storia della sinistra. Negli anni della guerra fredda era, prima che una inclinazione politica, una costrizione morale: occorreva dimostrare che si poteva essere contro il comunismo senza cadere nelle grinfie del nemico capitalista. Il ricatto dell´aut-aut era la vera forza dell´oligarchia comunista.
L´Ungheria non sfuggiva a quella tenaglia, e anzi la sentì più stretta sopra di sé. Il Cremlino e la nomenclatura ungherese potevano ammettere gli «errori» della linea politica e della sua gestione - Krusciov aveva appena tenuto il suo rapporto al XX congresso - ma alla condizione che fuori dal Partito e dall´obbedienza all´Urss non ci fosse se non tradimento, rinnegamento, resa al nemico. Occorreva dimostrare che non era necessariamente così, che il comunismo era un falso comunismo, che dalla parte dei rivoltosi c´era il vero socialismo.
Significativamente, gli operai arrivarono all´appuntamento del primo giorno solo al tramonto, alla fine del turno di lavoro: vennero a vedere di che cosa si trattava. Subito dopo, come tante volte, avevano preso in mano la cosa, nei consigli di fabbrica, nella lotta di strada. Gli operai contro lo Stato cosiddetto operaio, come a Pilsen e Berlino, come a Poznan, e poi a Praga.
Ebbe una parte rilevante anche quel sentimento che allora si chiamava populista - ancora questa parola non era stata piegata al senso deteriore oggi invalso - e che ereditava il culto risorgimentale del popolo, com´era stato in Italia per lo spirito mazziniano. Si attribuisce a Krusciov, qualche anno dopo, una frase degna del più celebrato Togliatti: «Se una decina di scrittori ungheresi fossero stati fucilati a tempo debito, la rivoluzione non sarebbe mai scoppiata». Il cinismo non è mai così intelligente come vuole mostrarsi: forse sarebbe scoppiata per questo. Resta il connotato essenziale e primario della ribellione, la voglia di libertà. Ho riletto ora, nel libro di Victor Sebestyen (Budapest 1956, Rizzoli 2006), la ricostruzione di un episodio formidabile e caricaturale: la manifestazione degli studenti al palazzo di Radio Budapest, il pomeriggio del 23 ottobre. Il palazzo era presidiato da 270 fra militari con le mitragliatrici, poliziotti e agenti della odiata polizia segreta. I manifestanti erano migliaia. La direttrice della radio si chiamava Valeria Benke, 43 anni, funzionaria di lungo corso del Partito, già ministro dell´Educazione sotto il famigerato Rakosi. Non poteva nemmeno immaginare di trasmettere un proclama in cui si rivendicavano libere elezioni e il ritiro delle truppe sovietiche. Consigliata di negoziare, accettò di far entrare una delegazione di una ventina di persone, tolte a caso da quella «marmaglia». I «delegati» dovettero entrare da una finestra; non si conoscevano nemmeno fra loro. La Benke li interpellò come farebbe una preside scandalizzata coi suoi scolari indisciplinati. Così, esattamente, annotò un redattore della radio: «Degli scolari di fronte al loro preside». Dopo che uno di loro ebbe enunciato le richieste, la preside li redarguì: «Non siate sciocchi. La radio è fatta per gente esperta, non per scolaretti come voi». Il bello, cioè il grottesco e il tragicomico, comincia qui. Visto che domandavano che fossero aperti i microfoni alla strada, la Benke ebbe un´idea.
Ordinò ai suoi tecnici di tagliare l´emissione, facendo simulare da una annunciatrice la lettura in diretta dalla piazza del manifesto. L´annunciatrice cominciò a leggere. Ma la folla si accorse subito che la gente nelle case sopra la strada sentiva alla radio, non il manifesto, ma un programma di canzoni. E allora si scatenò la furia. Un espediente del genere non l´avrebbe escogitato nemmeno il Molnar della via Pal. I primi a cadere furono due studenti. Quella sera si contarono molte vittime. «La protesta era diventata un´insurrezione armata».
Vi ricordate anche la battaglia finale tra la via Pal e le camicie rosse di Ats Feri? Le bombe di sabbia, la finta fuga per attirare il nemico nella trincea occultata, gli attaccanti spinti nel casotto e messi sottochiave, gli sgambetti vietati? Ebbene, sentite che cosa succedeva nella battaglia di Budapest 1956: «A Buda, costruita su una serie di colline, il gruppo Szabo escogitò l´idea di rivestire di seta le strade in pendenza e di versarci sopra acqua saponata. Gli ingombranti T-34 scivolavano e sbandavano, diventando bersagli facili, quando non si scontravano fra di loro. Molto spesso erano i bambini a costruire i blocchi stradali e a lanciare le molotov. In molte zone di Budapest la rivoluzione fu una guerra di bande di ragazzi... Szabo era un eroe ungherese, un idolo. Al pari di altri capi della resistenza, non si fece scrupolo di mandare ragazzini di dodici o tredici anni all´attacco dei carri armati russi» (Sebestyen).
Imre Nagy, che era un gran tifoso di calcio, e restò fino all´ultimo un comunista, soffrì angosciosamente la lacerazione con il Partito e con l´Urss, ma la accettò fino al passo estremo: fra la fedeltà alla propria storia e quella alla rivoluzione del suo popolo, sacrificò la prima e scelse la seconda.
Nagy, l´insepolto. Si disse di Nagy che, alla testa del moto ungherese, in realtà lo abbia inseguito restando sempre in ritardo di un giorno. Può darsi. Ma Nagy morì anche in ritardo, e non di un giorno. Fu giustiziato, dopo una trama ignobile quanto grottesca di inganni, solo nel 1958. L´esecuzione, voluta a ogni costo dal suo successore e traditore, Janos Kadar, fu a più riprese rinviata: perché avrebbe nuociuto prima del tal viaggio di Kruscev, o prima della tal campagna elettorale di Togliatti, e così via. In tribunale aveva detto: «Se c´è bisogno della mia vita per dimostrare che non tutti i comunisti sono nemici del popolo, la sacrificherò volentieri». Fedele, dunque, fino all´ultimo, al comunismo. Però, rileggete quella frase, e rabbrividite: c´è bisogno di sacrificare quella sola vita, per dimostrare che non tutti i comunisti...

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