Da Corriere della Sera del 19/10/2006
Nell'opera vengono intervistati latitanti ed ex boss. Già presentata in Germania, verrà distribuita anche in Olanda
La 'ndrangheta? Nel film è colpa dello Stato
Arriva in Italia «Uomini d'onore», documentario-inchiesta sulla Calabria Il regista fu contestato per i «Canti di malavita»: la mafia è la nostra cultura
di Marco Imarisio
MILANO — Gli amici al bar hanno i loro anni ma se la passano bene. Bevono vino e intonano canzoni in dialetto. In quegli stornelli si riflettono i valori dell'Onorata società per la quale lavorano, la devozione per gli anziani e la loro autorità morale, il rispetto sacro per donne e bambini. In alto i calici, un brindisi alla faccia di questo mondo corrotto, meno male che ci siamo ancora noi uomini d'onore.
C'è dell'altro, ma c'è anche questo, nell'ora e mezza di documentario sulla 'ndrangheta girato da Francesco Sbano, fotografo, produttore musicale e antropologo, calabrese di Paola da anni residente ad Amburgo. «Uomini d'onore», già acquistato in Germania e Olanda, domani avrà la sua prima italiana a Cosenza, e non sarà una passeggiata, perchè i suoi contenuti vanno maneggiati con cura. La tesi del regista ed autore è questa: «Non è possibile dissociare la mafia dalla cultura calabrese. La mafia è un nostro modo di essere, e senza di essa al Sud non ci sarebbe neppure lo Stato». La colpa di questa simbiosi, sempre secondo Sbano, è dello Stato, una conseguenza malefica del «grande inganno», l'unificazione dell'Italia: «Ci hanno preso l'identità e lo spirito. La Calabria si tiene la mafia ed i problemi che essa comporta, il Nord i soldi della mafia. I valori «sbagliati» della 'ndrangheta di oggi sono quelli che lo Stato ha inculcato in alcune persone per servirsene».
Il piatto non è di quelli facilmente commestibili, ma alle critiche Sbano ci ha fatto l'abitudine. «Musulinu galantuomu», «Arretu i sbirri», «Sangu chiama sangu», «Omertà», questi erano alcuni titoli dei «Canti di malavita», la trilogia della musica di mafia che allo studioso calabrese portò qualche reprimenda e parecchi soldi, vendendo 160mila copie in Germania e quasi altrettante in Francia. Ci fu maretta, perché quelle canzoni che parlavano apertamente di fare la pelle agli «sbirri» facevano molto folklore ma non costituivano un gran biglietto da visita della Calabria e del Sud all'estero. I difensori dell'operazione si stupirono dello stupore di uno Stato che poco faceva contro la mafia ma si accaniva contro una manciata di canzoni ascoltabili in qualunque festa popolare. Il copione è destinato a ripetersi, magari con toni più forti. Perché le immagini hanno sempre un impatto più forte della musica, e il messaggio di «Uomini d'onore», che Sbano concepisce come l'ideale completamento dei «Canti di malavita» rischia di essere ancora più ambiguo.
Nel film, girato tra Platì e San Luca, c'è il latitante incappucciato che davanti alla telecamera sostiene di aver scelto la mafia perché «da noi lo Stato non esiste», ma di esserne orgoglioso, perché «se muore l'Onorata società, muore la Calabria»; c'è don Ciccio, mafioso in pensione, che spiega come le regole si tramandino di padre in figlio e costituiscano una forma «nobile» di cultura. C'è anche spazio — ma non troppo — sugli interessi più prosaici dell'Onorata società, appalti, estorsioni e ricatti, un aspetto che rischia di andare perso tra immagini bucoliche («Uomini d'onore» è stato girato a Platì e San Luca) e nenie suonate con lo scacciapensieri che veicolano un'immagine «romantica» della 'ndrangheta. «Non c'è scandalo — garantisce Sbano —. Il mafioso rischia la pelle ogni giorno. E' la cultura della morte che lo circonda a renderlo romantico».
Se nell'ultimo anno in Italia si è tornati a parlare di 'ndrangheta e di quel che essa rappresenta davvero, il «business targato malavita» di Sbano (definizione del Quotidiano di Calabria)
rischia di diffondere in Europa una visione del mafioso di oggi piuttosto simile a quella «nobile» dei briganti dell'Ottocento. Sbano è convinto invece della bontà del suo progetto: «Io non dico cosa è bene e cosa è male. Gli 'ndranghetisti sono criminali, ma anche persone con le loro ragioni e i loro ideali. Sono aperto al confronto, l'importante è che le idee circolino». Sul mercato nostrano c'è un antipatico accavallarsi di date che potrebbe causare qualche problema alla circolazione delle idee di Sbano. Ma anche questo è un deja vu. L'uscita dei terzo cd dei «Canti di malavita», programmata per il 17 ottobre 2005, subì infatti qualche intoppo per via della morte di Francesco Fortugno, ucciso il giorno prima. Anche «Uomini d'onore» potrebbe risentire della vicinanza con il primo anniversario di una morte che ricorda a tutti come la 'ndrangheta sia soltanto violenza, intimidazione, sangue di persone innocenti.
C'è dell'altro, ma c'è anche questo, nell'ora e mezza di documentario sulla 'ndrangheta girato da Francesco Sbano, fotografo, produttore musicale e antropologo, calabrese di Paola da anni residente ad Amburgo. «Uomini d'onore», già acquistato in Germania e Olanda, domani avrà la sua prima italiana a Cosenza, e non sarà una passeggiata, perchè i suoi contenuti vanno maneggiati con cura. La tesi del regista ed autore è questa: «Non è possibile dissociare la mafia dalla cultura calabrese. La mafia è un nostro modo di essere, e senza di essa al Sud non ci sarebbe neppure lo Stato». La colpa di questa simbiosi, sempre secondo Sbano, è dello Stato, una conseguenza malefica del «grande inganno», l'unificazione dell'Italia: «Ci hanno preso l'identità e lo spirito. La Calabria si tiene la mafia ed i problemi che essa comporta, il Nord i soldi della mafia. I valori «sbagliati» della 'ndrangheta di oggi sono quelli che lo Stato ha inculcato in alcune persone per servirsene».
Il piatto non è di quelli facilmente commestibili, ma alle critiche Sbano ci ha fatto l'abitudine. «Musulinu galantuomu», «Arretu i sbirri», «Sangu chiama sangu», «Omertà», questi erano alcuni titoli dei «Canti di malavita», la trilogia della musica di mafia che allo studioso calabrese portò qualche reprimenda e parecchi soldi, vendendo 160mila copie in Germania e quasi altrettante in Francia. Ci fu maretta, perché quelle canzoni che parlavano apertamente di fare la pelle agli «sbirri» facevano molto folklore ma non costituivano un gran biglietto da visita della Calabria e del Sud all'estero. I difensori dell'operazione si stupirono dello stupore di uno Stato che poco faceva contro la mafia ma si accaniva contro una manciata di canzoni ascoltabili in qualunque festa popolare. Il copione è destinato a ripetersi, magari con toni più forti. Perché le immagini hanno sempre un impatto più forte della musica, e il messaggio di «Uomini d'onore», che Sbano concepisce come l'ideale completamento dei «Canti di malavita» rischia di essere ancora più ambiguo.
Nel film, girato tra Platì e San Luca, c'è il latitante incappucciato che davanti alla telecamera sostiene di aver scelto la mafia perché «da noi lo Stato non esiste», ma di esserne orgoglioso, perché «se muore l'Onorata società, muore la Calabria»; c'è don Ciccio, mafioso in pensione, che spiega come le regole si tramandino di padre in figlio e costituiscano una forma «nobile» di cultura. C'è anche spazio — ma non troppo — sugli interessi più prosaici dell'Onorata società, appalti, estorsioni e ricatti, un aspetto che rischia di andare perso tra immagini bucoliche («Uomini d'onore» è stato girato a Platì e San Luca) e nenie suonate con lo scacciapensieri che veicolano un'immagine «romantica» della 'ndrangheta. «Non c'è scandalo — garantisce Sbano —. Il mafioso rischia la pelle ogni giorno. E' la cultura della morte che lo circonda a renderlo romantico».
Se nell'ultimo anno in Italia si è tornati a parlare di 'ndrangheta e di quel che essa rappresenta davvero, il «business targato malavita» di Sbano (definizione del Quotidiano di Calabria)
rischia di diffondere in Europa una visione del mafioso di oggi piuttosto simile a quella «nobile» dei briganti dell'Ottocento. Sbano è convinto invece della bontà del suo progetto: «Io non dico cosa è bene e cosa è male. Gli 'ndranghetisti sono criminali, ma anche persone con le loro ragioni e i loro ideali. Sono aperto al confronto, l'importante è che le idee circolino». Sul mercato nostrano c'è un antipatico accavallarsi di date che potrebbe causare qualche problema alla circolazione delle idee di Sbano. Ma anche questo è un deja vu. L'uscita dei terzo cd dei «Canti di malavita», programmata per il 17 ottobre 2005, subì infatti qualche intoppo per via della morte di Francesco Fortugno, ucciso il giorno prima. Anche «Uomini d'onore» potrebbe risentire della vicinanza con il primo anniversario di una morte che ricorda a tutti come la 'ndrangheta sia soltanto violenza, intimidazione, sangue di persone innocenti.
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