Da Corriere della Sera del 29/01/2007

La mossa di Pollari: ricorso alla Consulta sul segreto di Stato

di Giovanni Bianconi

ROMA — Porta alla Corte costituzionale l'ultima mossa di Nicolò Pollari, l'ex direttore del Sismi accusato di aver «promosso e organizzato» il sequestro dell'imam egiziano Abu Omar. Oggi, con l'imputato presente in aula per fare dichiarazioni spontanee, i suoi avvocati Franco Coppi e Titta Madia chiederanno al giudice di fermare l'udienza preliminare per l'eventuale rinvio a giudizio e rivolgersi alla Consulta sul punto che costituisce il cuore della difesa del generale. O della mancata difesa, dal momento che Pollari sostiene di non poter dimostrare la propria innocenza a causa del segreto di Stato che copre dei documenti che (a suo dire) lo scagionerebbero da ogni accusa.
I pubblici ministeri hanno sempre ribattuto che non è così. Perché sul rapimento avvenuto il 17 febbraio 2003 a Milano non vigerebbe alcun segreto e perché, secondo la legge, a differenza di un testimone l'imputato non può invocare quel vincolo: sulla necessità di mantenere un segreto, seppure «di Stato», prevarrebbe comunque il diritto di difesa. Di fronte a questa replica, gli avvocati del generale attaccano la stessa legge: Coppi e Madia sostengono l'incostituzionalità dell'articolo 202 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale anche nel caso in cui l'imputato (e non solo il testimone, ndr) abbia opposto il segreto di Stato, il presidente del Consiglio ne abbia confermato la sussistenza e la prova sia indispensabile per la difesa dell'imputato stesso».
Il giudice dell'udienza preliminare, Caterina Interlandi, dovrà stabilire se la questione posta dai difensori di Pollari sia effettivamente «rilevante», cioè utile ai fini della sua decisione, e se non sia «manifestamente infondata». Qualora ritenesse che il problema posto dagli avvocati sia reale dovrebbe fermare il processo e girare il quesito alla Corte costituzionale.
I due legali hanno inviato ai magistrati una memoria di 45 pagine in cui riassumono la vicenda del segreto di Stato invocato da Pollari e sostengono l'«intrinseca irragionevolezza» della norma contenuta nel codice, in violazione di ben sei articoli della Costituzione. In sintesi, la difesa di Pollari ribadisce che «per provare la sua estraneità al fatto specifico che gli viene contestato» e «per illustrare la contrarietà del generale e del Servizio da lui diretto al compimento di qualsiasi fatto penalmente rilevante nel territorio dello Stato italiano», compresi i sequestri di persona indicati come extraordinary renditions, «sarebbe necessario attingere al contenuto di documenti, rivelandone il contenuto, coperti dal segreto di Stato».
Pollari in agosto ha chiesto al presidente del Consiglio se poteva utilizzare quelle carte, ma Prodi ha risposto ricordando di aver già comunicato alla Procura di Milano che «il segreto su tali documenti era stato da lui confermato, e non esistevano ragioni per revocarlo».
Con questa premessa, gli avvocati sostengono che il conflitto venutosi a creare non è tra il diritto di difesa dell'imputato e il segreto, bensì «tra il diritto di difesa e l'interesse tutelato e garantito dal segreto». Che in questo caso sarebbe «la sicurezza dello Stato», definita da una sentenza della Corte costituzionale «interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca l'esistenza stessa dello Stato». Dunque prevalente anche sulle esigenze difensive. Ne conseguirebbe l'«irragionevolezza» di una norma che consentisse di processare un imputato «impossibilitato a utilizzare prove a proprio favore» per non mettere a rischio il «bene superiore» della sicurezza dello Stato e commettere in questo modo un ulteriore reato.
Di fronte a queste argomentazioni, è prevedibile che la Procura ne contrapponga altre per ribadire che la norma contestata ha invece una sua ragion d'essere, e che quello di Pollari è solo un «pretesto» per tentare di evitare il processo. Poi la parola passerà al giudice che deve decidere se mandare il generale alla sbarra per sequestro d persona oppure no.

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