Da Corriere della Sera del 30/01/2007
Il generale e le carte segrete: altri volevano, io mi opposi
di Giovanni Bianconi
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ROMA — La stoccata ai pubblici ministeri e ai poliziotti che hanno condotto le indagini sul sequestro di Abu Omar arriva alla fine della lunga dichiarazione. Nicolò Pollari ribadisce che il suo «no» ad azioni illegali è contenuto in documenti segreti che lui non può svelare, e accusa: «Non è un mero espediente difensivo, come è stato affermato con ingenerosità quasi offensiva per la mia dignità», riferendosi ai magistrati dell'accusa. Poi aggiunge: «È invece un portato di coerenza dei valori in cui credo, come testimoniato anche dal fatto che non ho mai consentito di inviare personale del Sismi a interrogare detenuti di Guantanamo, avendo io ritenuto inaccettabili anche pratiche di tal fatta». Accenno poco comprensibile se non fosse che a Guantanamo, nella prigione statunitense dove sono rinchiusi i presunti terroristi arrestati in Iraq e in Afghanistan, andarono invece gli investigatori della Digos milanese «per effettuare colloqui investigativi», come risulta proprio dagli atti dell'inchiesta sul rapimento dell'imam egiziano.
Il richiamo all'iniziativa — legittima e «istituzionale» — della polizia assomiglia molto a uno schizzo di veleno, lanciato al termine di un'autodifesa nella quale il generale imputato di sequestro di persona chiama in causa altri protagonisti — lasciandoli senza nome — del caso Abu Omar. Protagonisti che sembrano da individuare nell'autorità politica con cui l'ex direttore del Sismi aveva a che fare nel periodo del rapimento. «Ribadisco con forza — spiega Pollari — che esistono atti, documenti e acquisizioni che dimostrano in termini inequivocabili non solo la mia determinata contrarietà ad attività illecite, ma l'aver io, a prescindere da eventuali altrui convinzioni diverse,
impartito ordini coerenti e che dimostrano la mia estraneità ad ogni conoscenza, condivisione e a ogni forma di cooperazione rispetto all'evento del 17 febbraio 2003». Il passaggio sulle «altrui convinzioni diverse» non è casuale e lascia intendere che qualcuno voleva invece avallare la «consegna straordinaria» di un sospetto terrorista come Abu Omar che interessava all'alleato americano. Forse «l'autorità di governo» con cui il generale era necessariamente in contatto? Il generale non lo dice, ma sempre su quella vicenda rivela: «Risulta che io, in presenza di ipotesi della specie, sono semmai intervenuto
anche formalmente per oppormi».
Tradotto dal linguaggio burocratico e un po' ampolloso usato col giudice, significa che dovrebbero esistere documenti in cui Pollari risponde «no» a qualche proposta. Il che vorrebbe dire che di rapimenti ed estradizioni illegali si è quantomeno discusso; e lui ribadisce di aver impartito ai suoi uomini «il mio assoluto divieto di condividere o partecipare azioni illegali», nonché di aver «manifestato ferma opposizione a ogni ipotesi di attività della specie, da parte di chiunque, quando ho avuto la percezione di sintomatologie in tal senso», cioè ha saputo qualcosa.
A parte la diatriba sul segreto di Stato che secondo l'ex direttore del Sismi gli impedirebbe perfino di dire se ha mai incontrato l'ex responsabile della Cia in Italia Jeff Castelli, oggi suo coimputato, l'architrave dell'accusa contro Pollari sta nelle dichiarazioni del generale Pignero. L'ex capo divisione del Servizio, morto nello scorso settembre, ha riferito ai pm che dopo un colloquio con Castelli «le disposizioni ricevute da Pollari facevano riferimento alla richiesta della Cia di cooperare al sequestro di Abu Omar»; e le disposizioni riguardavano accertamenti sull'imam che «appagassero» gli americani, seppure senza «un coinvolgimento nostro».
Fedele al segreto, Pollari ribatte: «È normale che io riceva e attivi a mia volta le persone competenti ad acquisire notizie su persone sospette di attività terroristiche o di contiguità, anche per verificarne il fondamento», escludendo però «anche solo l'ipotesi di favorire atti illeciti o addirittura il sequestro di persona». Sembra un tentativo di far coincidere il più possibile le dichiarazioni di Pignero con le sue, ma per adesso il contrasto resta. Tanto che rientrando a Roma dopo l'udienza milanese, uno degli avvocati di Pollari, Titta Madia, spiega: «Nei circa 80 documenti coperti da segreto vi sarebbe anche la prova che le dichiarazioni rilasciate da Pignero e Mancini (l'altro dirigente del Sismi imputato che ha parlato del coinvolgimento del direttore, ndr) sono frutto di supposizioni e fraintendimenti».
Il richiamo all'iniziativa — legittima e «istituzionale» — della polizia assomiglia molto a uno schizzo di veleno, lanciato al termine di un'autodifesa nella quale il generale imputato di sequestro di persona chiama in causa altri protagonisti — lasciandoli senza nome — del caso Abu Omar. Protagonisti che sembrano da individuare nell'autorità politica con cui l'ex direttore del Sismi aveva a che fare nel periodo del rapimento. «Ribadisco con forza — spiega Pollari — che esistono atti, documenti e acquisizioni che dimostrano in termini inequivocabili non solo la mia determinata contrarietà ad attività illecite, ma l'aver io, a prescindere da eventuali altrui convinzioni diverse,
impartito ordini coerenti e che dimostrano la mia estraneità ad ogni conoscenza, condivisione e a ogni forma di cooperazione rispetto all'evento del 17 febbraio 2003». Il passaggio sulle «altrui convinzioni diverse» non è casuale e lascia intendere che qualcuno voleva invece avallare la «consegna straordinaria» di un sospetto terrorista come Abu Omar che interessava all'alleato americano. Forse «l'autorità di governo» con cui il generale era necessariamente in contatto? Il generale non lo dice, ma sempre su quella vicenda rivela: «Risulta che io, in presenza di ipotesi della specie, sono semmai intervenuto
anche formalmente per oppormi».
Tradotto dal linguaggio burocratico e un po' ampolloso usato col giudice, significa che dovrebbero esistere documenti in cui Pollari risponde «no» a qualche proposta. Il che vorrebbe dire che di rapimenti ed estradizioni illegali si è quantomeno discusso; e lui ribadisce di aver impartito ai suoi uomini «il mio assoluto divieto di condividere o partecipare azioni illegali», nonché di aver «manifestato ferma opposizione a ogni ipotesi di attività della specie, da parte di chiunque, quando ho avuto la percezione di sintomatologie in tal senso», cioè ha saputo qualcosa.
A parte la diatriba sul segreto di Stato che secondo l'ex direttore del Sismi gli impedirebbe perfino di dire se ha mai incontrato l'ex responsabile della Cia in Italia Jeff Castelli, oggi suo coimputato, l'architrave dell'accusa contro Pollari sta nelle dichiarazioni del generale Pignero. L'ex capo divisione del Servizio, morto nello scorso settembre, ha riferito ai pm che dopo un colloquio con Castelli «le disposizioni ricevute da Pollari facevano riferimento alla richiesta della Cia di cooperare al sequestro di Abu Omar»; e le disposizioni riguardavano accertamenti sull'imam che «appagassero» gli americani, seppure senza «un coinvolgimento nostro».
Fedele al segreto, Pollari ribatte: «È normale che io riceva e attivi a mia volta le persone competenti ad acquisire notizie su persone sospette di attività terroristiche o di contiguità, anche per verificarne il fondamento», escludendo però «anche solo l'ipotesi di favorire atti illeciti o addirittura il sequestro di persona». Sembra un tentativo di far coincidere il più possibile le dichiarazioni di Pignero con le sue, ma per adesso il contrasto resta. Tanto che rientrando a Roma dopo l'udienza milanese, uno degli avvocati di Pollari, Titta Madia, spiega: «Nei circa 80 documenti coperti da segreto vi sarebbe anche la prova che le dichiarazioni rilasciate da Pignero e Mancini (l'altro dirigente del Sismi imputato che ha parlato del coinvolgimento del direttore, ndr) sono frutto di supposizioni e fraintendimenti».
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