Da Chi l'ha visto? del 07/11/2005
Intervista a Maurizio Abbatino
di Giuseppe Rinaldi
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Int.: Pino Rinaldi - Giornalista
M.A.: Maurizio Abbatino - Leader storico della Banda della Magliana
Voce: voce fuori campo
Int.: E' la prima volta che lei si trova di fronte ad una telecamera a fare un'intervista. La rilascia in questo momento perché lei ha paura, ha paura di qualche cosa. Ha paura, di che cosa? Maurizio Abbatino...
M.A.: Ho paura, ho paura perché è cambiato lo stato di sicurezza, non è più quello che avevo una volta, nonostante che alcune persone siano ancora fuori, dei processi sono ancora in corso, mi trovo particolarmente esposto... io non sapevo neanche che era stato riaperto, il processo Calvi.
Int.: Processo?
M.A.: Processo Calvi. Sarà anche una casualità però io sono stato addirittura arrestato, per una stupidaggine, una crisi insomma, una macchina che non aveva la revisione, sono stato arrestato e sono stato trasferito in un carcere duro, il carcere di Sulmona.
Int.: Sulmona...
M.A.: Sulmona è un carcere...
Int.: Famoso per i suicidi.
M.A.: Famoso per I suicidi... durante questa detenzione sono stato chiamato a Roma per un interrogatorio - per il processo Calvi, come testimone - e nello stesso giorno mi viene detto che durante il trasferimento non sarei più ritornato a Sulmona mai sarei andato in altro carcere che fino all'ultimo momento hanno tenuto segreto.
Int.: Dove volevano mandarla?
M.A.: Nel carcere di Secondigliano.
Int.: Ecco, chi c'è al carcere di Secondigliano?
M.A.: Mi risulta che c'è un componente della Banda della Magliana.
Int.: Come si chiama?
M.A.: Paradisi Giorgio.
Int.: Paradisi è andato a finire dentro anche per le cose che ha detto lei?
M.A.: Certo...
Int.: Soprattutto per le cose che ha detto lei.
M.A.: Ma non solo, sembra che ultimamente abbia ricevuto un mandato di cattura per traffico di stupefacenti, diretto dall'interno del carcere. Penso che sia una persona che quantomeno, come dire, abbia a disposizione dei movimenti all'interno del carcere.
Int.: Lei a Secondigliano per ora non c'è andato.
M.A.: No, sono ritornato a Sulmona.
Int.: Lei ritiene che questi movimenti che lei ritiene "particolari", siano dovuti al fatto che deve testimoniare al processo Calvi?
M.A.: Secondo me sì, perché non si spiegherebbe questo tempismo...lo stesso magistrato mi ha domandato per che cosa ero detenuto - mi ricordo ancora la parola, dice: - ma questa è un fesseria - sarà una fesseria ma io sto dentro ad uno dei carceri più duri, per una fesseria del genere... A quel punto ho detto proprio io vorrei sapere se, che cosa vuole [questo qualcuno], se vogliono che parli o vogliono che non parli, è questo quello che voglio sapere, che siano più chiari.
Voce: Nel 1998, Maurizio Abbatino, come collaboratore di giustizia, aveva testimoniato nel processo per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
M.A.: secondo me dopo quel processo sono cominciati i guai miei, sotto il profilo di... come collaboratore di giustizia.
Voce: A metà degli anni '70, Maurizio Abbatino, insieme a Franco Giuseppucci, detto "Er Negro", ed Enrico De Pedis, detto "Renatino", costituiscono il primo sodalizio che sarà successivamente definito come "La Banda della Magliana", una organizzazione criminale, che in pochi anni estenderà il suo controllo su tutti i quartieri della capitale, e non solo.
Int.: Voi riuscivate a sapere non solo quello che accadeva nel mondo, diciamo malavitoso, ma anche molte cose che riguardavano voi, ma, per quanto riguarda l'attività di polizia. C'era qualcuno che veniva pagato, voi riuscivate ad avere delle informazioni, da una semplice perquisizione a cose ancora più importanti.
M.A.: Io mi ricordo che in una delle prime rapine una volta siamo stati arrestati in P.zza Pio XI - dovevamo commettere una rapina, avevamo la macchina piena di armi, io avevo dei documenti falsi... - bè è logico, no? - siamo stati fermati e portati al commissariato, e qui Franco (Giuseppucci) ha subito chiesto di un questore.
Int.: un questore... Chi era questo questore?
M.A.: Il questore Pompò. E' stato portato in una stanza, e nonostante che le persone che ci avevano arrestato erano persone famose, che facevano parte di una squadra antirapina, e quindi io le conoscevo, le indagini si sono subito chiuse, siamo stati arrestati per favoreggiamento e documento falso, la macchina non è stata ritrovata e lì mi sono reso conto che Franco (Giuseppucci) aveva fatto qualcosa perché non si andasse a fondo nella storia.
Int.: Quant'era il vostro volume d'affari?
M.A.: Il gruppo Magliana penso che è il gruppo che meno ha accumulato ricchezze, però eravamo diventati una macchina, una pompa, un'idrovora, che poi tutto quello che entrava, la maggior parte dei proventi insomma, andava retribuito ai vari avvocati, perché noi avevamo a disposizione quasi tutti gli avvocati di Roma, medici, dottori e perché no anche qualche politico, cancellieri, c'è stato un periodo in cui noi entravamo con le macchine al servizio di stato, entravamo sotto il tribunale, scricavamo, lasciavamo insomma, pellicce, oggetti di antiquariato, noi avevamo un contatto con un capo cancelliere, poi lui ci diceva che quei giudici erano corrotti, non so se si vantava o no, sta di fatto che poi quei processi prendevano la direzione che volevamo noi.
Int.: Cosa portavate a questo capo cancelliere?
M.A.: di tutto, a parte i soldi ci chiedevano pellicce, cornici, specchi, oggetti di Bulgari, e c'era Claudio Sicilia... [che diceva:] questa cosa si può controllare, aveva un processo per omicidio che doveva andare in definitivo, [e] se lei controlla quanti anni, noi ogni volta che andavamo lì, veniva aperto un armadietto e il fascicolo veniva messo sempre sotto, lasciavamo dieci, quindici milioni, il fascicolo riguardava un omicidio commesso dal Sicilia e già condannato in I° e II° grado, non lo mandavano in definitiva, non veniva mai fatta la Cassazione, veniva sempre ritardato.
Int.: Per quanto riguarda invece, diciamo i rapporti con I politici e con la magistratura, lei teneva i rapporti con la sfera medica soprattutto, con i politici e i magistrati chi è che se ne occupava?
M.A.: Il gruppo del Testaccio (Trastevere - Enrico De Pedis). [Noi] avevamo gli Ospedali di Roma, Sant'Eugenio, San Camillo, le cliniche,il Centro Clinico Regina Coeli, il Centro Clinico di Rebibbia, sono cose importanti, ma sono importanti... il dirigente sanitario del carcere, penso che ha un valore importante ai fini del processo, della carcerazione. Immagini un po', insomma, una persona importante che entra nel carcere e non vuole fare il carcere, basta insomma che il dirigente sanitario lo manda in clinica, cose che succedono anche adesso, lo manda in clinica, ricoverato, e dopo tre o quattro mesi prende la libertà provvisoria per causa malattia.
Per quanto riguarda il dirigente sanitario di Rebibbia, un giorno venne nella mia cella, mi disse che era in difficoltà perché era stato arrestato, era stato portato [in carcere] Michele Sindona...
Int.: Nel carcere di Rebibbia...
M.A.: Era stato messo nella cella di Alì Agca, perché lui era momentaneamente assente, e stava ricevendo delle pressioni sia dalla Chiesa che dalla politica per il trasferimento, c'era chi lo voleva far trasferire e chi lo voleva invece fermare a Rebibbia.
Int.: Quando Sindona viene trasferito, e lascia Rebibbia, poi...
M.A.: Poco dopo... si suicida? Diciamo così?
Int.: Prende il caffè.
M.A.: Prende il caffè.
Int.: E... questo dirigente sanitario aveva delle pressioni, chi è che voleva che sindona lasciasse Rebibbia?
M.A.: Non me lo ricordo bene.
Int.: Erano personaggi dello Stato e della Chiesa?
M.A.: Politici e della Chiesa. C'era chi lo voleva fermo, lì a Rebibbia, insomma chi lo voleva proteggere, e chi lo avrebbe mandato in un carcere fuori Roma.
Int.: I rapporti della Banda della Magliana con il Vaticano...
M.A.: I rapporti già c'erano appunto negli anni settanta, dal settanta. All'epoca si conosceva Monsignor Casaroli, il rapporto ce l'aveva Franco (Giuseppucci). In quel tempo Renato (Enrico De Pedis) era detenuto, e lui si occupava, insomma, del processo di Renato per farlo uscire.
Int. Dopo il rapimento di Moro chi è che viene a chiedervi qualcosa?
M.A.: E' venuto l'onorevole Piccoli, ma non è tanto il fatto che sia venuto lui, ma chi ce l'ha mandato.
Int.: Ci racconta come è avvenuto questo incontro, dove eravate...
M.A.: E' avvenuto a Viale Marconi sul bordo del fiume, insomma.
Int.: Chi eravate?
M.A.: Eravamo un po' quasi tutti della Banda. Comunque c'eravamo io, Franco Giuseppucci, Nicolino Selis che appunto aveva preso il contatto ...ma vede Flaminio Piccoli era stato mandato da Raffaele Cutolo...
Int.: Che era amico di Nicolino Selis...
M.A.: ...di Nicolino Selis, e voleva sapere insomma, se potevamo fare qualcosa per salvare la vita di Moro.
Oggi non escludo che abbia dato anche qualche informazione Franco, senza dirmi niente, conoscendolo...
Int.: Che tipo di informazione?
M.A.: Può aver detto dove si trovava? ... All'epoca, anche perché era la zona nostra.
Voce: Il covo dove fu tenuto prigioniero l'Onorevole Moro prima di essere ucciso fu in Via Montalcini, tra via Portuense e via della Magliana poco distante dalle abitazioni di alcuni componenti della Banda della Magliana.
Int.:Altri politici vi hanno fatto sapere che non dovevate più interessarvi alla liberazione, all'individuazione del covo di Moro, è vera questa storia?
M.A. No, non sarebbero venuti proprio da me...
Int.:Da chi sarebbero andati?
M.A. Da Franco, o da Danilo Abbruciati.
Voce: L'iniziativa di Franco Giuseppucci, di De Pedis e di Abbruciati venne bloccata dai referenti romani di Cosa Nostra. Secondo le deposizioni che sono agli atti Pippo Calò intervenne dicendo che politici importanti della Democrazia Cristiana, in realtà, Moro, lo volevano morto.
M.A.: Maurizio Abbatino - Leader storico della Banda della Magliana
Voce: voce fuori campo
Int.: E' la prima volta che lei si trova di fronte ad una telecamera a fare un'intervista. La rilascia in questo momento perché lei ha paura, ha paura di qualche cosa. Ha paura, di che cosa? Maurizio Abbatino...
M.A.: Ho paura, ho paura perché è cambiato lo stato di sicurezza, non è più quello che avevo una volta, nonostante che alcune persone siano ancora fuori, dei processi sono ancora in corso, mi trovo particolarmente esposto... io non sapevo neanche che era stato riaperto, il processo Calvi.
Int.: Processo?
M.A.: Processo Calvi. Sarà anche una casualità però io sono stato addirittura arrestato, per una stupidaggine, una crisi insomma, una macchina che non aveva la revisione, sono stato arrestato e sono stato trasferito in un carcere duro, il carcere di Sulmona.
Int.: Sulmona...
M.A.: Sulmona è un carcere...
Int.: Famoso per i suicidi.
M.A.: Famoso per I suicidi... durante questa detenzione sono stato chiamato a Roma per un interrogatorio - per il processo Calvi, come testimone - e nello stesso giorno mi viene detto che durante il trasferimento non sarei più ritornato a Sulmona mai sarei andato in altro carcere che fino all'ultimo momento hanno tenuto segreto.
Int.: Dove volevano mandarla?
M.A.: Nel carcere di Secondigliano.
Int.: Ecco, chi c'è al carcere di Secondigliano?
M.A.: Mi risulta che c'è un componente della Banda della Magliana.
Int.: Come si chiama?
M.A.: Paradisi Giorgio.
Int.: Paradisi è andato a finire dentro anche per le cose che ha detto lei?
M.A.: Certo...
Int.: Soprattutto per le cose che ha detto lei.
M.A.: Ma non solo, sembra che ultimamente abbia ricevuto un mandato di cattura per traffico di stupefacenti, diretto dall'interno del carcere. Penso che sia una persona che quantomeno, come dire, abbia a disposizione dei movimenti all'interno del carcere.
Int.: Lei a Secondigliano per ora non c'è andato.
M.A.: No, sono ritornato a Sulmona.
Int.: Lei ritiene che questi movimenti che lei ritiene "particolari", siano dovuti al fatto che deve testimoniare al processo Calvi?
M.A.: Secondo me sì, perché non si spiegherebbe questo tempismo...lo stesso magistrato mi ha domandato per che cosa ero detenuto - mi ricordo ancora la parola, dice: - ma questa è un fesseria - sarà una fesseria ma io sto dentro ad uno dei carceri più duri, per una fesseria del genere... A quel punto ho detto proprio io vorrei sapere se, che cosa vuole [questo qualcuno], se vogliono che parli o vogliono che non parli, è questo quello che voglio sapere, che siano più chiari.
Voce: Nel 1998, Maurizio Abbatino, come collaboratore di giustizia, aveva testimoniato nel processo per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
M.A.: secondo me dopo quel processo sono cominciati i guai miei, sotto il profilo di... come collaboratore di giustizia.
Voce: A metà degli anni '70, Maurizio Abbatino, insieme a Franco Giuseppucci, detto "Er Negro", ed Enrico De Pedis, detto "Renatino", costituiscono il primo sodalizio che sarà successivamente definito come "La Banda della Magliana", una organizzazione criminale, che in pochi anni estenderà il suo controllo su tutti i quartieri della capitale, e non solo.
Int.: Voi riuscivate a sapere non solo quello che accadeva nel mondo, diciamo malavitoso, ma anche molte cose che riguardavano voi, ma, per quanto riguarda l'attività di polizia. C'era qualcuno che veniva pagato, voi riuscivate ad avere delle informazioni, da una semplice perquisizione a cose ancora più importanti.
M.A.: Io mi ricordo che in una delle prime rapine una volta siamo stati arrestati in P.zza Pio XI - dovevamo commettere una rapina, avevamo la macchina piena di armi, io avevo dei documenti falsi... - bè è logico, no? - siamo stati fermati e portati al commissariato, e qui Franco (Giuseppucci) ha subito chiesto di un questore.
Int.: un questore... Chi era questo questore?
M.A.: Il questore Pompò. E' stato portato in una stanza, e nonostante che le persone che ci avevano arrestato erano persone famose, che facevano parte di una squadra antirapina, e quindi io le conoscevo, le indagini si sono subito chiuse, siamo stati arrestati per favoreggiamento e documento falso, la macchina non è stata ritrovata e lì mi sono reso conto che Franco (Giuseppucci) aveva fatto qualcosa perché non si andasse a fondo nella storia.
Int.: Quant'era il vostro volume d'affari?
M.A.: Il gruppo Magliana penso che è il gruppo che meno ha accumulato ricchezze, però eravamo diventati una macchina, una pompa, un'idrovora, che poi tutto quello che entrava, la maggior parte dei proventi insomma, andava retribuito ai vari avvocati, perché noi avevamo a disposizione quasi tutti gli avvocati di Roma, medici, dottori e perché no anche qualche politico, cancellieri, c'è stato un periodo in cui noi entravamo con le macchine al servizio di stato, entravamo sotto il tribunale, scricavamo, lasciavamo insomma, pellicce, oggetti di antiquariato, noi avevamo un contatto con un capo cancelliere, poi lui ci diceva che quei giudici erano corrotti, non so se si vantava o no, sta di fatto che poi quei processi prendevano la direzione che volevamo noi.
Int.: Cosa portavate a questo capo cancelliere?
M.A.: di tutto, a parte i soldi ci chiedevano pellicce, cornici, specchi, oggetti di Bulgari, e c'era Claudio Sicilia... [che diceva:] questa cosa si può controllare, aveva un processo per omicidio che doveva andare in definitivo, [e] se lei controlla quanti anni, noi ogni volta che andavamo lì, veniva aperto un armadietto e il fascicolo veniva messo sempre sotto, lasciavamo dieci, quindici milioni, il fascicolo riguardava un omicidio commesso dal Sicilia e già condannato in I° e II° grado, non lo mandavano in definitiva, non veniva mai fatta la Cassazione, veniva sempre ritardato.
Int.: Per quanto riguarda invece, diciamo i rapporti con I politici e con la magistratura, lei teneva i rapporti con la sfera medica soprattutto, con i politici e i magistrati chi è che se ne occupava?
M.A.: Il gruppo del Testaccio (Trastevere - Enrico De Pedis). [Noi] avevamo gli Ospedali di Roma, Sant'Eugenio, San Camillo, le cliniche,il Centro Clinico Regina Coeli, il Centro Clinico di Rebibbia, sono cose importanti, ma sono importanti... il dirigente sanitario del carcere, penso che ha un valore importante ai fini del processo, della carcerazione. Immagini un po', insomma, una persona importante che entra nel carcere e non vuole fare il carcere, basta insomma che il dirigente sanitario lo manda in clinica, cose che succedono anche adesso, lo manda in clinica, ricoverato, e dopo tre o quattro mesi prende la libertà provvisoria per causa malattia.
Per quanto riguarda il dirigente sanitario di Rebibbia, un giorno venne nella mia cella, mi disse che era in difficoltà perché era stato arrestato, era stato portato [in carcere] Michele Sindona...
Int.: Nel carcere di Rebibbia...
M.A.: Era stato messo nella cella di Alì Agca, perché lui era momentaneamente assente, e stava ricevendo delle pressioni sia dalla Chiesa che dalla politica per il trasferimento, c'era chi lo voleva far trasferire e chi lo voleva invece fermare a Rebibbia.
Int.: Quando Sindona viene trasferito, e lascia Rebibbia, poi...
M.A.: Poco dopo... si suicida? Diciamo così?
Int.: Prende il caffè.
M.A.: Prende il caffè.
Int.: E... questo dirigente sanitario aveva delle pressioni, chi è che voleva che sindona lasciasse Rebibbia?
M.A.: Non me lo ricordo bene.
Int.: Erano personaggi dello Stato e della Chiesa?
M.A.: Politici e della Chiesa. C'era chi lo voleva fermo, lì a Rebibbia, insomma chi lo voleva proteggere, e chi lo avrebbe mandato in un carcere fuori Roma.
Int.: I rapporti della Banda della Magliana con il Vaticano...
M.A.: I rapporti già c'erano appunto negli anni settanta, dal settanta. All'epoca si conosceva Monsignor Casaroli, il rapporto ce l'aveva Franco (Giuseppucci). In quel tempo Renato (Enrico De Pedis) era detenuto, e lui si occupava, insomma, del processo di Renato per farlo uscire.
Int. Dopo il rapimento di Moro chi è che viene a chiedervi qualcosa?
M.A.: E' venuto l'onorevole Piccoli, ma non è tanto il fatto che sia venuto lui, ma chi ce l'ha mandato.
Int.: Ci racconta come è avvenuto questo incontro, dove eravate...
M.A.: E' avvenuto a Viale Marconi sul bordo del fiume, insomma.
Int.: Chi eravate?
M.A.: Eravamo un po' quasi tutti della Banda. Comunque c'eravamo io, Franco Giuseppucci, Nicolino Selis che appunto aveva preso il contatto ...ma vede Flaminio Piccoli era stato mandato da Raffaele Cutolo...
Int.: Che era amico di Nicolino Selis...
M.A.: ...di Nicolino Selis, e voleva sapere insomma, se potevamo fare qualcosa per salvare la vita di Moro.
Oggi non escludo che abbia dato anche qualche informazione Franco, senza dirmi niente, conoscendolo...
Int.: Che tipo di informazione?
M.A.: Può aver detto dove si trovava? ... All'epoca, anche perché era la zona nostra.
Voce: Il covo dove fu tenuto prigioniero l'Onorevole Moro prima di essere ucciso fu in Via Montalcini, tra via Portuense e via della Magliana poco distante dalle abitazioni di alcuni componenti della Banda della Magliana.
Int.:Altri politici vi hanno fatto sapere che non dovevate più interessarvi alla liberazione, all'individuazione del covo di Moro, è vera questa storia?
M.A. No, non sarebbero venuti proprio da me...
Int.:Da chi sarebbero andati?
M.A. Da Franco, o da Danilo Abbruciati.
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