Da L'Espresso del 10/02/2007
A Varsavia sapevano di Agca
Gli 007 polacchi informati in anticipo del complotto. Un loro ufficiale anni dopo lo rivelò al generale Cucchi. Che abbiamo sentito. Ecco la sua versione
di Gigi Riva
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Qualche mese prima degli spari di Ali Agca (13 maggio 1981), i servizi segreti polacchi sapevano che si stava preparando un attentato contro il loro connazionale papa Giovanni Paolo II. A 26 anni di distanza, è la prima volta che il particolare emerge grazie alla testimonianza di un ufficiale che vide le informative, ne rimase sconvolto e cercò di discuterne coi superiori, ma fu rimosso e destinato ad altro incarico. Ora quell'ufficiale, cognome Bak, è stato interrogato dalla Commissione investigativa dell'Ipn (Istituto della memoria nazionale, quello da cui sono usciti nelle settimane scorse i dossier sui preti collaborazionisti del regime) e ha ricostruito la vicenda. Non mancando di sottolineare come ne avesse parlato, anni dopo l'attentato, almeno a un occidentale: il generale Giuseppe Cucchi, attuale direttore del Cesis e già collaboratore di Prodi e D'Alema a Palazzo Chigi. Il dettaglio è stato sufficiente a un settimanale polacco, 'Wprost' (significa 'Direttamente'), con buone fonti nei servizi segreti attuali e passati, per citare la stampa italiana e i sospetti sulla 'coltivazione' da parte del Kgb del nostro presidente del Consiglio e degli uomini del suo entourage. Quei 'sospetti' nascono soprattutto per l'opera di diffamazione orchestrata dal consulente della commissione Mitrokhin Mario Scaramella, sotto inchiesta da parte della magistratura, peraltro citato dal settimanale che si chiede, invero assai tortuosamente, se Cucchi fosse un contatto o una vittima del Kgb.
Il generale, in questa intervista con 'L'espresso', ammette non solo di aver conosciuto Bak, ma di avere cercato di reclutarlo, ribaltando completamente lo scenario e correggendo alcuni dettagli riportati dal giornale polacco. Con una premessa: "Dopo 52 anni al servizio del Paese, mi ha dato un enorme fastidio ritrovarmi nella costruzione fastidiosa di un piccolo truffatore come Scaramella che parte da alcune verità per dire bugie difficilmente confutabili. Pensavo la questione fosse chiusa, ma adesso arriva il giornale polacco e mi sembra evidente che la cosa continua e si cerca di sfruttare la situazione per attaccare il presidente Prodi". Via col racconto.
Era il 1987 (per 'Wprost' il 1985). Cucchi era addetto militare al Cairo. Si accorge che il suo pari grado polacco, Bak appunto, "soprattutto quando ha bevuto", si lascia sfuggire qualche parola di troppo contro i russi. Lo scenario è l'ambiente diplomatico che ruota attorno all'hotel Marriott nella capitale egiziana, tra giardini curati e camerieri in livrea: "Noi della Nato cerchiamo di coprirlo perché non lo sentano quelli del Patto di Varsavia". Cosa fa un addetto militare in una situazione simile? "Fa quello che ho fatto io. Avviso l'ufficiale di collegamento del Sismi al Cairo e gli segnalo che il polacco non ne può palesemente più della situazione che c'è nel suo Paese". Quello riferisce ai vertici romani che suggeriscono una linea. Fanno sapere a Cucchi: "Vedi se è possibile portarlo dalla nostra parte, se è disponibile a essere agganciato o se addirittura vuole seguirci in Italia". Cucchi esegue, ma Bak gli replica: "Io non sono uno che scappa dal Paese. La Polonia ha bisogno di me e io mi batterò dall'interno perché finisca la schiavitù a cui ci sottopongono i russi". "Posizione", commenta il generale,"che all'epoca apprezzai moltissimo".
L'uomo di Varsavia non si fa reclutare però è disponibile almeno a svelare un segreto: "Conosco una storia che mi interessa far sapere in Occidente e che riguarda l'attentato al papa". Di nuovo la trafila: Cucchi informa il Sismi che gli fornisce un registratore per raccogliere la testimonianza. Bak si reca nell'ufficio di Cucchi e attacca il suo racconto, durato una ventina di minuti. Così lo rievoca l'attuale direttore del Cesis: "Mi disse che, poco prima dell'attentato al papa, lui era un ufficiale del secondo reparto, cioè del reparto informazioni del suo Stato maggiore e un giorno vide dei documenti (non specificò quali, ma erano informative interne) da cui risultava che c'era qualcosa contro il papa in preparazione. E dietro a questo 'qualcosa' c'erano i servizi segreti della Bulgaria e della Cecoslovacchia, i quali non accettavano che la presenza del papa polacco avesse aumentato l'importanza della Polonia all'interno del patto di Varsavia a svantaggio dei loro Paesi che erano i guardiani più fedeli dell'ortodossia e i figli della mano destra dell'Urss". Bak si agita, cerca di parlarne con qualche superiore: "Non specificò chi, ma fece capire che si trattava di un livello altissimo e poteva trattarsi di qualcuno ai vertici delle forze armate o della politica. Si era agitato al punto che, dopo poco, lo spostarono ad altro incarico e, dopo qualche anno, lo mandarono al Cairo".
La versione di 'Wprost' (che peraltro non cita il nome di Bak, anche se i suoi redattori confermano a 'L'espresso' che di lui si tratta) differisce non poco. Non di informativa interna polacca si trattava, ma di segnalazioni provenienti da agenti che operavano nei Paesi arabi e segnatamente a Damasco, in Siria. C'era un esplicito riferimento all'organizzazione dei Lupi grigi turchi e persino ad Ali Agca. Se il dettaglio fa sobbalzare, gli storici lo smontano un poco perché Agca pubblicamente aveva manifestato l'intenzione di uccidere il papa prima di presentarsi armato in piazza San Pietro. Comunque sia l'ufficiale chiude la sua testimonianza su nastro con la seguente frase: "Adesso tu darai la registrazione ai tuoi e speriamo non vada in giro perché altrimenti ci ritroviamo con un killer bulgaro con l'ombrello alle calcagna". Cucchi manda tutto al Sismi da dove gli fanno sapere: "Non riteniamo opportuno procedere. Le informazioni che ci ha dato sono generiche e non c'è un nome".
Siamo all'estate del 1987. La comunità diplomatica del Cairo se ne va in vacanza. Al ritorno Bak non c'è più, benché non fosse previsto il suo avvicendamento. Il suo sostituto così spiega: "Ha avuto problemi al cuore mentre si trovava in ferie e abbiamo ritenuto opportuno anticipare il cambio". La vicenda sarebbe finita qui se non ci fosse un imprevisto corollario. Tre anni dopo, Parigi, sotto la Tour Eiffel. La scuola di guerra francese ha allestito degli enormi tendoni per ospitare una conferenza internazionale a un anno dalla caduta del muro di Berlino. Cucchi ci va come membro del Centro studi della Difesa. C'è Mitterrand e c'è Walesa. Il direttore del Cesis ricorda: "Vedo uno dello staff di Walesa che corre verso di me e mi saltò letteralmente in braccio. Era Bak. Mi confida di essere stato perseguitato per via di quella registrazione e di essere stato persino in carcere. Ma anziché avercela con me e con gli italiani in generale ci era grato perché le cose avevano avuto una rapida evoluzione ed era stato considerato dopo l'89 un patriota, tanto da finire nell'entourage del presidente". Già ma chi aveva 'venduto' Bak? Lo stesso interessato riferì nella medesima circostanza a Cucchi: "I tuoi hanno commesso l'errore di passarla al Vaticano. E il Vaticano è infiltrato da parecchi agenti. Si prestano al gioco soprattutto i giovani dei paesi africani con regimi di sinistra che vengono mandati in seminario per fare le spie dell'Urss. Quello che ha passato la registrazione ai miei è un giovane prete del Ghana".
Cucchi chiosa: "Se lo fossi stato, dovrei essere considerato come una delle spie più brave al mondo visto che poi sono arrivato a un livello così alto nella gerarchia militare. In realtà feci il mio dovere e lo feci anche bene. Non so se le cose che Bak mi disse fossero attendibili. Certo suonavano come possibili". E a proposito dell'uso che può essere fatto di questa storia: "Sono assolutamente tranquillo. Tutti i protagonisti della vicenda sono vivi e possono testimoniare. Non faccio i nomi perché le fonti vanno protette, soprattutto se si tratta di agenti segreti. Ma è vivo l'agente del Sismi che stava al Cairo, sono vivi i suoi superiori a Roma. È vivo il mio vecchio caporeparto. Insomma la verità è facilmente ricostruibile anche oltre le mie parole. E poi io questa vicenda nell'ambiente l'ho raccontata diverse volte. È diventata folcloristica per via di quel polacco che a Parigi mi vede, prende la rincorsa e mi salta in braccio molto divertito".
Il generale, in questa intervista con 'L'espresso', ammette non solo di aver conosciuto Bak, ma di avere cercato di reclutarlo, ribaltando completamente lo scenario e correggendo alcuni dettagli riportati dal giornale polacco. Con una premessa: "Dopo 52 anni al servizio del Paese, mi ha dato un enorme fastidio ritrovarmi nella costruzione fastidiosa di un piccolo truffatore come Scaramella che parte da alcune verità per dire bugie difficilmente confutabili. Pensavo la questione fosse chiusa, ma adesso arriva il giornale polacco e mi sembra evidente che la cosa continua e si cerca di sfruttare la situazione per attaccare il presidente Prodi". Via col racconto.
Era il 1987 (per 'Wprost' il 1985). Cucchi era addetto militare al Cairo. Si accorge che il suo pari grado polacco, Bak appunto, "soprattutto quando ha bevuto", si lascia sfuggire qualche parola di troppo contro i russi. Lo scenario è l'ambiente diplomatico che ruota attorno all'hotel Marriott nella capitale egiziana, tra giardini curati e camerieri in livrea: "Noi della Nato cerchiamo di coprirlo perché non lo sentano quelli del Patto di Varsavia". Cosa fa un addetto militare in una situazione simile? "Fa quello che ho fatto io. Avviso l'ufficiale di collegamento del Sismi al Cairo e gli segnalo che il polacco non ne può palesemente più della situazione che c'è nel suo Paese". Quello riferisce ai vertici romani che suggeriscono una linea. Fanno sapere a Cucchi: "Vedi se è possibile portarlo dalla nostra parte, se è disponibile a essere agganciato o se addirittura vuole seguirci in Italia". Cucchi esegue, ma Bak gli replica: "Io non sono uno che scappa dal Paese. La Polonia ha bisogno di me e io mi batterò dall'interno perché finisca la schiavitù a cui ci sottopongono i russi". "Posizione", commenta il generale,"che all'epoca apprezzai moltissimo".
L'uomo di Varsavia non si fa reclutare però è disponibile almeno a svelare un segreto: "Conosco una storia che mi interessa far sapere in Occidente e che riguarda l'attentato al papa". Di nuovo la trafila: Cucchi informa il Sismi che gli fornisce un registratore per raccogliere la testimonianza. Bak si reca nell'ufficio di Cucchi e attacca il suo racconto, durato una ventina di minuti. Così lo rievoca l'attuale direttore del Cesis: "Mi disse che, poco prima dell'attentato al papa, lui era un ufficiale del secondo reparto, cioè del reparto informazioni del suo Stato maggiore e un giorno vide dei documenti (non specificò quali, ma erano informative interne) da cui risultava che c'era qualcosa contro il papa in preparazione. E dietro a questo 'qualcosa' c'erano i servizi segreti della Bulgaria e della Cecoslovacchia, i quali non accettavano che la presenza del papa polacco avesse aumentato l'importanza della Polonia all'interno del patto di Varsavia a svantaggio dei loro Paesi che erano i guardiani più fedeli dell'ortodossia e i figli della mano destra dell'Urss". Bak si agita, cerca di parlarne con qualche superiore: "Non specificò chi, ma fece capire che si trattava di un livello altissimo e poteva trattarsi di qualcuno ai vertici delle forze armate o della politica. Si era agitato al punto che, dopo poco, lo spostarono ad altro incarico e, dopo qualche anno, lo mandarono al Cairo".
La versione di 'Wprost' (che peraltro non cita il nome di Bak, anche se i suoi redattori confermano a 'L'espresso' che di lui si tratta) differisce non poco. Non di informativa interna polacca si trattava, ma di segnalazioni provenienti da agenti che operavano nei Paesi arabi e segnatamente a Damasco, in Siria. C'era un esplicito riferimento all'organizzazione dei Lupi grigi turchi e persino ad Ali Agca. Se il dettaglio fa sobbalzare, gli storici lo smontano un poco perché Agca pubblicamente aveva manifestato l'intenzione di uccidere il papa prima di presentarsi armato in piazza San Pietro. Comunque sia l'ufficiale chiude la sua testimonianza su nastro con la seguente frase: "Adesso tu darai la registrazione ai tuoi e speriamo non vada in giro perché altrimenti ci ritroviamo con un killer bulgaro con l'ombrello alle calcagna". Cucchi manda tutto al Sismi da dove gli fanno sapere: "Non riteniamo opportuno procedere. Le informazioni che ci ha dato sono generiche e non c'è un nome".
Siamo all'estate del 1987. La comunità diplomatica del Cairo se ne va in vacanza. Al ritorno Bak non c'è più, benché non fosse previsto il suo avvicendamento. Il suo sostituto così spiega: "Ha avuto problemi al cuore mentre si trovava in ferie e abbiamo ritenuto opportuno anticipare il cambio". La vicenda sarebbe finita qui se non ci fosse un imprevisto corollario. Tre anni dopo, Parigi, sotto la Tour Eiffel. La scuola di guerra francese ha allestito degli enormi tendoni per ospitare una conferenza internazionale a un anno dalla caduta del muro di Berlino. Cucchi ci va come membro del Centro studi della Difesa. C'è Mitterrand e c'è Walesa. Il direttore del Cesis ricorda: "Vedo uno dello staff di Walesa che corre verso di me e mi saltò letteralmente in braccio. Era Bak. Mi confida di essere stato perseguitato per via di quella registrazione e di essere stato persino in carcere. Ma anziché avercela con me e con gli italiani in generale ci era grato perché le cose avevano avuto una rapida evoluzione ed era stato considerato dopo l'89 un patriota, tanto da finire nell'entourage del presidente". Già ma chi aveva 'venduto' Bak? Lo stesso interessato riferì nella medesima circostanza a Cucchi: "I tuoi hanno commesso l'errore di passarla al Vaticano. E il Vaticano è infiltrato da parecchi agenti. Si prestano al gioco soprattutto i giovani dei paesi africani con regimi di sinistra che vengono mandati in seminario per fare le spie dell'Urss. Quello che ha passato la registrazione ai miei è un giovane prete del Ghana".
Cucchi chiosa: "Se lo fossi stato, dovrei essere considerato come una delle spie più brave al mondo visto che poi sono arrivato a un livello così alto nella gerarchia militare. In realtà feci il mio dovere e lo feci anche bene. Non so se le cose che Bak mi disse fossero attendibili. Certo suonavano come possibili". E a proposito dell'uso che può essere fatto di questa storia: "Sono assolutamente tranquillo. Tutti i protagonisti della vicenda sono vivi e possono testimoniare. Non faccio i nomi perché le fonti vanno protette, soprattutto se si tratta di agenti segreti. Ma è vivo l'agente del Sismi che stava al Cairo, sono vivi i suoi superiori a Roma. È vivo il mio vecchio caporeparto. Insomma la verità è facilmente ricostruibile anche oltre le mie parole. E poi io questa vicenda nell'ambiente l'ho raccontata diverse volte. È diventata folcloristica per via di quel polacco che a Parigi mi vede, prende la rincorsa e mi salta in braccio molto divertito".
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