Da La Repubblica del 13/03/2007
Docente di Comunicazione politica a Roma 3, il docente avverte i mass media: "Sono loro che devono fare filtro"
"Gli ex brigatisti in televisione. Solo testimoni, mai protagonisti"
Il professor Novelli dopo l'intervento di Napolitano su Repubblica. "L'Italia non è ancora un paese pacificato con la sua storia"
di Claudia Fusani
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ROMA - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto su "Repubblica" sulle polemiche nate dopo l'intervista televisiva all'ex br Alberto Franceschini andata in onda dieci giorni fa in via Fani dove il presidente della Dc Aldo Moro fu sequestrato il 16 marzo 1978. Napolitano, scrivendo al giornalista Corrado Augias, chiede che gli ex brigatisti adottino "comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura".
Edoardo Novelli è docente di Comunicazione Politica all'Università Roma 3. Autore di "La Turbopolitica" (Bur-Rizzoli) durante la passate elezioni ha organizzato in facoltà, con gli studenti, seminari e lezioni in diretta sui duelli televisivi tra Prodi e Berlusconi.
Professore, nell'ultimo periodo sempre più spesso nascono polemiche feroci per la presenza in tv, o in dibattiti pubblici, di ex della lotta armata e degli anni di piombo. Il passare del tempo, pentimenti, dissociazioni, condanne e decenni passati in carcere, non dovrebbero aver messo una sufficiente distanza di sicurezza con il passato?
"L'Italia è un paese non ancora pacificato con se stesso e la sua storia, non c'è pacificazione sulla Resistenza, sulla Repubblica di Salò, figuriamoci sul terrorismo che ancora adesso continua ad essere un problema non del passato ma della cronaca seppur con protagonisti e in contesti diversi. Capisco - quindi - comprendo e giustifico la ribellione e lo sdegno dei familiari delle vittime e la scesa in campo del Presidente della Repubblica. Il problema però non è che gli ex br, pentiti, dissociati, mai pentiti vadano in tv che pure, tra tutte le cosiddette scene pubbliche mediatiche, è quella che più di tutte legittima e certifica".
Qual è il vero problema?
"Il modo in cui si va in tv. In questo caso mi pare di capire che l'intervista a Franceschini, realizzata tra l'altro in un luogo di memoria storica nazionale come via Fani, sia avvenuta senza particolari filtri, creando forse una confusione di ruoli su chi fosse il vero protagonista delle scena".
Tutta colpa dei giornalisti?
"Il giornalista ha il dovere della mediazione e di filtrare. Faccio un esempio. Nel 1990 Sergio Zavoli pensò e realizzò una straordinaria serie televisiva che titolò "La Notte della Repubblica": puntata dopo puntata gli ex della lotta armata, rossi e neri, ragionavano sul loro passato, su cosa erano stati e perché. Bene, i ruoli erano molto chiari, era perfettamente chiaro chi era dalla parte della ragione e chi in torto. Per semplificare, dove stava il bene e dove il male. Zavoli svolgeva un'azione di filtro seria e vera. Ricordo anche il tipo di musica - profonda, cupa - lo sfondo scuro, nero dietro gli ex della lotta armata, insomma accorgimenti di regia che in tv hanno peso almeno quanto le parole".
Oggi, negli ultimi anni, quest'azione di filtro comincia a mancare come se il tempo che passa fosse una giustificazione?
"Probabilmente, in questo caso, è mancata. Come è mancata altre volte. E così ci troviamo a vedere programmi in cui l'ex terrorista diventa protagonista o opinionista. Questo è sbagliato, non deve succedere. Dal mio punto di vista, quello dello studioso della comunicazione, comprendo che l'ex br ha un valore di fonte diretta preziosa e insostituibile per il giornalista e per lo storico. Ma, soprattutto nel media per eccellenza - la tv - non bisogna mai scordare che per un terrorista che parla c'è sempre una famiglia che ha sofferto, soffre e ricorda. E purtroppo, i familiari e il loro dolore "valgono" meno rispetto a un ex che è stato testimone diretto di quella stagione".
Due mesi fa è tornato dal trentennale esilio francese Oreste Scalzone, ex leader di Pot Op e dell'Autonomia. Ha marciato, è andato in tv, è stato intervistato, ma non è diventato un caso. Perché?
"E' il soldato giapponese sperso nell'isola del Pacifico. E' il reduce. E' una scheggia del passato. Ha dato di sè una rappresentazione macchiettistica. Uno così non fa male alla memoria".
Quello del rispetto dei familiari della vittime del
terrorismo è un tema molto caro al Presidente Napolitano. Come tecnico della comunicazione politica come giudica l'intervento di Napolitano?
"Se posso confessarlo è l'aspetto che mi interessa di più. Il fatto veramente nuovo, forte, inusuale, fuori dal protocollo, è l'intervento del Presidente. Diciamo che lo sto "osservando" da un po' di tempo perchè sono curioso di vedere se anche l'algido Napolitano può cadere in tentazione".
Quale tentazione?
"Quella della scena pubblica mediatica. Oramai sono più di vent'anni che abbiamo presidenti che si identificano in tipi molto definiti: il "nonno", "Il picconatore", da Pertini a Ciampi, passando per Cossiga, abbiamo visto che gli inquilini del Quirinale si sono alleati con il sistema dei media".
Napolitano ha già un suo "tipo" definito?
"E' molto interventista, esce dai suoi mandati istituzionali, proprio lui, così british ed ex uomo di partito".
Edoardo Novelli è docente di Comunicazione Politica all'Università Roma 3. Autore di "La Turbopolitica" (Bur-Rizzoli) durante la passate elezioni ha organizzato in facoltà, con gli studenti, seminari e lezioni in diretta sui duelli televisivi tra Prodi e Berlusconi.
Professore, nell'ultimo periodo sempre più spesso nascono polemiche feroci per la presenza in tv, o in dibattiti pubblici, di ex della lotta armata e degli anni di piombo. Il passare del tempo, pentimenti, dissociazioni, condanne e decenni passati in carcere, non dovrebbero aver messo una sufficiente distanza di sicurezza con il passato?
"L'Italia è un paese non ancora pacificato con se stesso e la sua storia, non c'è pacificazione sulla Resistenza, sulla Repubblica di Salò, figuriamoci sul terrorismo che ancora adesso continua ad essere un problema non del passato ma della cronaca seppur con protagonisti e in contesti diversi. Capisco - quindi - comprendo e giustifico la ribellione e lo sdegno dei familiari delle vittime e la scesa in campo del Presidente della Repubblica. Il problema però non è che gli ex br, pentiti, dissociati, mai pentiti vadano in tv che pure, tra tutte le cosiddette scene pubbliche mediatiche, è quella che più di tutte legittima e certifica".
Qual è il vero problema?
"Il modo in cui si va in tv. In questo caso mi pare di capire che l'intervista a Franceschini, realizzata tra l'altro in un luogo di memoria storica nazionale come via Fani, sia avvenuta senza particolari filtri, creando forse una confusione di ruoli su chi fosse il vero protagonista delle scena".
Tutta colpa dei giornalisti?
"Il giornalista ha il dovere della mediazione e di filtrare. Faccio un esempio. Nel 1990 Sergio Zavoli pensò e realizzò una straordinaria serie televisiva che titolò "La Notte della Repubblica": puntata dopo puntata gli ex della lotta armata, rossi e neri, ragionavano sul loro passato, su cosa erano stati e perché. Bene, i ruoli erano molto chiari, era perfettamente chiaro chi era dalla parte della ragione e chi in torto. Per semplificare, dove stava il bene e dove il male. Zavoli svolgeva un'azione di filtro seria e vera. Ricordo anche il tipo di musica - profonda, cupa - lo sfondo scuro, nero dietro gli ex della lotta armata, insomma accorgimenti di regia che in tv hanno peso almeno quanto le parole".
Oggi, negli ultimi anni, quest'azione di filtro comincia a mancare come se il tempo che passa fosse una giustificazione?
"Probabilmente, in questo caso, è mancata. Come è mancata altre volte. E così ci troviamo a vedere programmi in cui l'ex terrorista diventa protagonista o opinionista. Questo è sbagliato, non deve succedere. Dal mio punto di vista, quello dello studioso della comunicazione, comprendo che l'ex br ha un valore di fonte diretta preziosa e insostituibile per il giornalista e per lo storico. Ma, soprattutto nel media per eccellenza - la tv - non bisogna mai scordare che per un terrorista che parla c'è sempre una famiglia che ha sofferto, soffre e ricorda. E purtroppo, i familiari e il loro dolore "valgono" meno rispetto a un ex che è stato testimone diretto di quella stagione".
Due mesi fa è tornato dal trentennale esilio francese Oreste Scalzone, ex leader di Pot Op e dell'Autonomia. Ha marciato, è andato in tv, è stato intervistato, ma non è diventato un caso. Perché?
"E' il soldato giapponese sperso nell'isola del Pacifico. E' il reduce. E' una scheggia del passato. Ha dato di sè una rappresentazione macchiettistica. Uno così non fa male alla memoria".
Quello del rispetto dei familiari della vittime del
terrorismo è un tema molto caro al Presidente Napolitano. Come tecnico della comunicazione politica come giudica l'intervento di Napolitano?
"Se posso confessarlo è l'aspetto che mi interessa di più. Il fatto veramente nuovo, forte, inusuale, fuori dal protocollo, è l'intervento del Presidente. Diciamo che lo sto "osservando" da un po' di tempo perchè sono curioso di vedere se anche l'algido Napolitano può cadere in tentazione".
Quale tentazione?
"Quella della scena pubblica mediatica. Oramai sono più di vent'anni che abbiamo presidenti che si identificano in tipi molto definiti: il "nonno", "Il picconatore", da Pertini a Ciampi, passando per Cossiga, abbiamo visto che gli inquilini del Quirinale si sono alleati con il sistema dei media".
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