Da L'Unità del 04/11/1972
Erano in molti a temere i servizi di Spampinato
di Giorgio Frasca Polara
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Ad una settimana esatta dalla barbara esecuzione del compagno Spampinato, l'inchiesta ha compiuto un giro di boa che può rivelarsi decisivo per l'accertamento dei retroscena che l'assassino Roberto Campria, tenta disperatamente di nascondere con quel suo grottesco tentativo di far passare il delitto per un gesto assolutamente immotivato, del tutto gratuito, forse addirittura compiuto in stato di ipnosi.
Una volta fatta giustizia di questo grossolano espediente mistificatorio (ed il Sostituto procuratore generale di atania, Auletta, proprio questo ha fatto, contestando al Campria dopo l'interrogatorio, l'aggravante decisiva della premeditazione oltre a quella della minorata difesa della vittima impossibilitata a difendersi dai colpi di ben due pistole) è giocoforza andare infatti alla ricerca di un movente. E non di uno qualunque, ma di un movente che risponda al duplice requisito della logica e della consistenza.
L'originaria, ma poi tutto rimangiata, giustificazione fornita dall'intoccabile rampollo del presidente del tribunale di Ragusa, risponde a questi requisiti? Decisamente no. Al momento di costituirsi, il Campria accennò confusamente ad una sorta di vendetta del "perseguitato" nei confronti del suo "persecutore", cioè del giornalista che sull'Unità e sull'Ora lo aveva insistentemente chiamato in causa per l'assassinio del trafficante (solo di antiquariato clandestino?) missino Angelo Tumino ritenendo cioè che la pista nera risolutrice del fosco delitto di otto mesi fa, passasse in qualche modo proprio per il potente play boy.
Ma bastarono poche ore per liquidare questa tesi, pur suggestiva, anche se tanto riduttiva per il suo meccanicismo. Ciò perché fu facile intanto accertare che il nostro compagno aveva sospeso da quasi quattro mesi la campagna contro Campria per acquisire nuove documentazioni sul pericoloso neofascismo di Ragusa e di Siracusa nelle cui trame era e resta la chiave del delitto Tumino. Ma anche perché apparve subito chiaro che, nel frattempo, le parti fra Campria e Spampinato si erano letteralmente capovolte, al punto che il figlio dell'alto magistrato ora assillava il suo accusatore, gli telefonava nei momenti più impensati, sollecitava incontri a ripetizione, tentava addirittura di farselo in ogni modo amico, persino promettendogli confidenze e "rivelazioni".
Questo non è l'atteggiamento di chi cova una vendetta. Semmai, quello di chi teme qualcosa per sé o anche per altri.
Vuol dire allora che Campria aveva scoperto, o creduto di scoprire, che Spampinato sapesse o desse l'impressione di sapere qualche cosa di più, qualche cosa di nuovo, qualche cosa di diverso? Qui sta, probabilmente, la vera, realistica chiave del secondo delitto e probabilmente anche di tutto quanto sta a monte di esso. E qui sta la spiegazione della diffusa impressione - anche a livello di inquirenti - che Roberto Campria non sia neanche protagonista della fosca vicenda, ma un compartecipe che, per più versi (la posizione familiare? L'opportunità di imporre, pur negandolo, il suggestivo movente di una "vendetta"?, un ricatto?), rappresenta l'ideale sacrificabile coperchio di una pentola ribollente di lerci affari in cui la criminalità fascista si intreccia con la delinquenza comune.
D'altra parte, a spingere per un coraggioso approfondimento delle indagini in questa direzione (...) sta anche un altro elemento oggettivo: la personalità del compagno Spampinato e la caratteristica della sua milizia giornalistica. Questa sera, L'Ora fa, a tal proposito, delle considerazioni molto giuste. Spampinato era un cronista di impegno civile, proteso non tanto al "colpo" professionale che si esaurisse con la vampata di un titolo a nove colonne, quanto piuttosto il servizio che arminizza l'importanza della notizia con la necessità e la cura di una informazione complessiva che è attenta quindi, in primo luogo, alla prospettiva sociale e politica in cui il fatto si colloca.
Per restare in argomento, a Spampinato importava dunque, fino a un certo punto (lo ricordano bene anche i suoi compagni di questo giornale) accertare con quale arma l'ingegner Tumino fosse stato eliminato: ma gli urgeva, e con molto problematicismo, capire chi e che cosa potesse star dietro alla liquidazione di questo uomo molto amico di Campria (costui verrà sorpreso a frugare nelle carte della vittima quando ancora la scoperta del cadavere del professionista è conosciuta solo dai carabinieri) ma anche del deputato regionale missino, Salvatore Cilia (che l'Espresso chiama in causa oggi anche "per collegamenti con la malavita e il contrabbando") del repubblichino Vittorio Quintavalle (che da Roma piombava troppo spesso a Ragusa con pretesti sempre diversi) e di centinaia di altri figuri fortemente sospettati di avere qui fornito protezione al latitante Stefano Delle Chiaie.
Una volta che si fosse, in taluni, insinuato il dubbio su che cosa sapesse esattamente Giovanni Spampinato, ecco che Roberto Campria assume un ruolo decisivo, o perché cerca di sondare il suo "persecutore" (nessuno come lui è abilitato a farlo senza suscitare soverchi sospetti, anche e proprio nella futura sua vittima) o perché rappresenta, per gli assai più accorti registi della sua ambiguità, il pericolo costante al limite anche opportuno di qualche ammissione.
Nell'uno o nell'altro caso, ecco la possibilità di mettere una pietra su tutto, anche sull'incomodo Campria che al rischio di vedersi o doversi accollare la responsabilità dell'omicidio Tumino è costretto a preferire l'alternativa di un altro e ancor più barbaro delitto con la speranza, però, di poter passare per pazzo.
Una volta fatta giustizia di questo grossolano espediente mistificatorio (ed il Sostituto procuratore generale di atania, Auletta, proprio questo ha fatto, contestando al Campria dopo l'interrogatorio, l'aggravante decisiva della premeditazione oltre a quella della minorata difesa della vittima impossibilitata a difendersi dai colpi di ben due pistole) è giocoforza andare infatti alla ricerca di un movente. E non di uno qualunque, ma di un movente che risponda al duplice requisito della logica e della consistenza.
L'originaria, ma poi tutto rimangiata, giustificazione fornita dall'intoccabile rampollo del presidente del tribunale di Ragusa, risponde a questi requisiti? Decisamente no. Al momento di costituirsi, il Campria accennò confusamente ad una sorta di vendetta del "perseguitato" nei confronti del suo "persecutore", cioè del giornalista che sull'Unità e sull'Ora lo aveva insistentemente chiamato in causa per l'assassinio del trafficante (solo di antiquariato clandestino?) missino Angelo Tumino ritenendo cioè che la pista nera risolutrice del fosco delitto di otto mesi fa, passasse in qualche modo proprio per il potente play boy.
Ma bastarono poche ore per liquidare questa tesi, pur suggestiva, anche se tanto riduttiva per il suo meccanicismo. Ciò perché fu facile intanto accertare che il nostro compagno aveva sospeso da quasi quattro mesi la campagna contro Campria per acquisire nuove documentazioni sul pericoloso neofascismo di Ragusa e di Siracusa nelle cui trame era e resta la chiave del delitto Tumino. Ma anche perché apparve subito chiaro che, nel frattempo, le parti fra Campria e Spampinato si erano letteralmente capovolte, al punto che il figlio dell'alto magistrato ora assillava il suo accusatore, gli telefonava nei momenti più impensati, sollecitava incontri a ripetizione, tentava addirittura di farselo in ogni modo amico, persino promettendogli confidenze e "rivelazioni".
Questo non è l'atteggiamento di chi cova una vendetta. Semmai, quello di chi teme qualcosa per sé o anche per altri.
Vuol dire allora che Campria aveva scoperto, o creduto di scoprire, che Spampinato sapesse o desse l'impressione di sapere qualche cosa di più, qualche cosa di nuovo, qualche cosa di diverso? Qui sta, probabilmente, la vera, realistica chiave del secondo delitto e probabilmente anche di tutto quanto sta a monte di esso. E qui sta la spiegazione della diffusa impressione - anche a livello di inquirenti - che Roberto Campria non sia neanche protagonista della fosca vicenda, ma un compartecipe che, per più versi (la posizione familiare? L'opportunità di imporre, pur negandolo, il suggestivo movente di una "vendetta"?, un ricatto?), rappresenta l'ideale sacrificabile coperchio di una pentola ribollente di lerci affari in cui la criminalità fascista si intreccia con la delinquenza comune.
D'altra parte, a spingere per un coraggioso approfondimento delle indagini in questa direzione (...) sta anche un altro elemento oggettivo: la personalità del compagno Spampinato e la caratteristica della sua milizia giornalistica. Questa sera, L'Ora fa, a tal proposito, delle considerazioni molto giuste. Spampinato era un cronista di impegno civile, proteso non tanto al "colpo" professionale che si esaurisse con la vampata di un titolo a nove colonne, quanto piuttosto il servizio che arminizza l'importanza della notizia con la necessità e la cura di una informazione complessiva che è attenta quindi, in primo luogo, alla prospettiva sociale e politica in cui il fatto si colloca.
Per restare in argomento, a Spampinato importava dunque, fino a un certo punto (lo ricordano bene anche i suoi compagni di questo giornale) accertare con quale arma l'ingegner Tumino fosse stato eliminato: ma gli urgeva, e con molto problematicismo, capire chi e che cosa potesse star dietro alla liquidazione di questo uomo molto amico di Campria (costui verrà sorpreso a frugare nelle carte della vittima quando ancora la scoperta del cadavere del professionista è conosciuta solo dai carabinieri) ma anche del deputato regionale missino, Salvatore Cilia (che l'Espresso chiama in causa oggi anche "per collegamenti con la malavita e il contrabbando") del repubblichino Vittorio Quintavalle (che da Roma piombava troppo spesso a Ragusa con pretesti sempre diversi) e di centinaia di altri figuri fortemente sospettati di avere qui fornito protezione al latitante Stefano Delle Chiaie.
Una volta che si fosse, in taluni, insinuato il dubbio su che cosa sapesse esattamente Giovanni Spampinato, ecco che Roberto Campria assume un ruolo decisivo, o perché cerca di sondare il suo "persecutore" (nessuno come lui è abilitato a farlo senza suscitare soverchi sospetti, anche e proprio nella futura sua vittima) o perché rappresenta, per gli assai più accorti registi della sua ambiguità, il pericolo costante al limite anche opportuno di qualche ammissione.
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