Da Corriere della Sera del 29/04/2007
Palermo, 25 anni fa l´omicidio La Torre. Gli studenti: Cosa nostra più forte dello Stato
Napolitano: per sconfiggere la mafia serve un grande movimento di popolo
Messaggio del presidente per ricordare l´ex segretario regionale del Pci. Il ministro Amato: ormai operano come un´impresa
di Alessandra Ziniti
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PALERMO - E´ più forte la mafia o lo Stato? A Palermo, nel giorno del venticinquesimo anniversario dell´omicidio dell´ex segretario regionale del Pci Pio La Torre, sette studenti su dieci di uno dei più noti licei classici della città rispondono: «Cosa nostra, perché lo Stato o è colluso o è debole e permette alla mafia di esistere». Il sondaggio-choc gela la platea del teatro Politeama alla quale il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha appena indirizzato il suo saluto che è anche un energico invito alla riscossa di tutto il paese. «Oggi come ieri solo un grande movimento di popolo, di opinione e di cultura, può sconfiggere la mafia, facendo prevalere i principi della pacifica convivenza civile e difendendo la libertà e le istituzioni democratiche», dice il capo dello Stato che ricorda di Pio la Torre «il forte originale contributo al fine di introdurre innovazioni fondamentali nella legislazione antimafia, puntando a colpire la potenza economica e finanziaria della criminalità organizzata. Lo straordinario esempio di moralità, combattività e impegno nelle istituzioni, in continuo rapporto con i cittadini sono da additare specie alle giovani generazioni».
In discussione c´è la nuova frontiera della lotta alla mafia dopo l´arresto di Provenzano, la nuova strategia per affrontare quella che da mafia militare si è trasformata in mafia dei capitali, forte dell´appoggio di quella che il sostituto procuratore Antonio Ingroia chiama la «borghesia mafiosa», fatta di medici, bancari, operatori economici, professionisti e naturalmente politici che - dice il magistrato - «non sono solo costretti a convivere con Cosa nostra ma hanno interesse a farlo». Al ministro dell´Interno Giuliano Amato i magistrati antimafia chiedono ora un´assunzione di responsabilità della politica e un intervento legislativo che porti ad un testo unico delle norme antimafia. E Amato raccoglie la palla, indica come obiettivo numero uno i patrimoni di Cosa nostra ma invita investigatori e magistrati a dotarsi delle competenze necessarie per la nuova sfida: «In buona parte della Sicilia e ormai dell´Italia la mafia è diventata anch´essa economia, avvalendosi delle grandi risorse finanziare accumulate illecitamente. Per noi la grande priorità e´ tagliare l´erba sotto i piedi ai mafiosi, il che significa portare loro via i soldi e i beni. E per fare ciò occorre un lavoro che esige una alta specializzazione. Serve quindi più Guardia di finanza, che non altri apparati repressivi; serve una magistratura nella quale la lettura dei bilanci non è meno importante della lettura delle impronte sulle armi». E nega, il ministro, che la mafia sia una «malattia genetica»: il preconcetto «sei siciliano sei mafioso» non esiste.
Serve però un codice etico. Amato raccoglie la sfida lanciata dal presidente della commissione antimafia Francesco Forgione che annuncia un monitoraggio sulle candidature per le prossime amministrative di maggio e dice: «La legge non può arrivare fin dove può arrivare il codice etico, perchè la legge non può colpire un sospetto. I partiti invece possono fare una pulizia preventiva e questo è un fatto fondamentale». L´ultima condanna proprio ieri. Quattro anni all´ex senatore socialista Pietro Pizzo, per voto di scambio: l´indulto (non applicabile ai reati di mafia tranne che a questo) gliene ha già abbuonati tre.
In discussione c´è la nuova frontiera della lotta alla mafia dopo l´arresto di Provenzano, la nuova strategia per affrontare quella che da mafia militare si è trasformata in mafia dei capitali, forte dell´appoggio di quella che il sostituto procuratore Antonio Ingroia chiama la «borghesia mafiosa», fatta di medici, bancari, operatori economici, professionisti e naturalmente politici che - dice il magistrato - «non sono solo costretti a convivere con Cosa nostra ma hanno interesse a farlo». Al ministro dell´Interno Giuliano Amato i magistrati antimafia chiedono ora un´assunzione di responsabilità della politica e un intervento legislativo che porti ad un testo unico delle norme antimafia. E Amato raccoglie la palla, indica come obiettivo numero uno i patrimoni di Cosa nostra ma invita investigatori e magistrati a dotarsi delle competenze necessarie per la nuova sfida: «In buona parte della Sicilia e ormai dell´Italia la mafia è diventata anch´essa economia, avvalendosi delle grandi risorse finanziare accumulate illecitamente. Per noi la grande priorità e´ tagliare l´erba sotto i piedi ai mafiosi, il che significa portare loro via i soldi e i beni. E per fare ciò occorre un lavoro che esige una alta specializzazione. Serve quindi più Guardia di finanza, che non altri apparati repressivi; serve una magistratura nella quale la lettura dei bilanci non è meno importante della lettura delle impronte sulle armi». E nega, il ministro, che la mafia sia una «malattia genetica»: il preconcetto «sei siciliano sei mafioso» non esiste.
Serve però un codice etico. Amato raccoglie la sfida lanciata dal presidente della commissione antimafia Francesco Forgione che annuncia un monitoraggio sulle candidature per le prossime amministrative di maggio e dice: «La legge non può arrivare fin dove può arrivare il codice etico, perchè la legge non può colpire un sospetto. I partiti invece possono fare una pulizia preventiva e questo è un fatto fondamentale». L´ultima condanna proprio ieri. Quattro anni all´ex senatore socialista Pietro Pizzo, per voto di scambio: l´indulto (non applicabile ai reati di mafia tranne che a questo) gliene ha già abbuonati tre.
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