Da Avvenire del 29/04/2007

Dal vertice in Libia nuove pressioni sul Sudan

Washington preme su Khartum: accetti il dispiegamento di una missione Onu-Ua oppure scatteranno nuove sanzioni

di Paolo M. Alfieri

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Il mondo in guerra: ieri, oggi, domaniOggiI conflitti dimenticatiSudan
Si è aperto ieri in Libia un nuovo round negoziale sulla situazione in corso nel Darfur, la regione sudanese dove da quattro anni si fronteggiano in un drammatico conflitto l’esercito regolare, le milizie arabe filo-governative janjaweed e gruppi ribelli locali. Il meeting diplomatico, che si concluderà stasera, vede la partecipazione, tra gli altri, del ministro degli Esteri sudanese e di rappresentanti di Stati Uniti, Unione africana (Ua), Onu, Unione europea, Gran Bretagna e Ciad. Nei giorni scorsi Washington ha nuovamente intimato a Khartum di accettare il dispiegamento nel Darfur di una missione congiunta Onu-Ua, minacciando altrimenti l’imposizione di dure sanzioni. La missione, che prevede l’invio di 15mila uomini in aggiunta ai 7mila militari Ua già sul terreno, è stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu lo scorso agosto, ma il Sudan non ha mai dato l’autorizzazione necessaria al dispiegamento. Solo di recente il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir ha dato un via libera “di principio” allo stanziamento di 3.500 uomini. Da segnalare che proprio ieri l’Egitto ha dato ampia disponibilità per il dispiegamento di 1.000 suoi militari, e di un numero ancora maggiore se le condizioni sul terreno lo consentiranno.

Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero già preparato una nuovo progetto di risoluzione da presentare al Consiglio di sicurezza nel caso in cui Khartum continuasse a opporsi alla missione. Tra le misure previste rientrerebbero l’embargo di armi e il congelamento dei beni di funzionari governativi sudanesi sospettati di essere coinvolti nel conflitto. Il Consiglio di sicurezza, all’interno del quale il Sudan può contare sul sostegno della Cina, appare comunque ancora diviso sul testo.

La Libia, contraria all’imposizione di sanzioni contro Khartum, spera di ottenere risultati significativi dal summit in corso. Fonti diplomatiche hanno riferito che Khartum si sarebbe impegnata a concedere una tregua di due mesi al Fronte di salvezza nazionale, la formazione che raggruppa i gruppi ribelli darfuriani. Questi ultimi, dal canto loro, hanno fatto intravedere segnali di apertura per la ripresa del dialogo. Funzionari sudanesi hanno inoltre annunciato la costituzione di un’autorità regionale che stanzierà e gestirà nuovi fondi a favore degli sfollati.

Difficile capire se questi primi passi verso la stabilizzazione saranno seguiti a breve da ulteriori progressi, indispensabili per placare una guerra sanguinosa che ha già causato 350mila morti e 2 milioni di sfollati. «È necessaria una soluzione politica, in particolare nei confronti dei janjaweed, che non potranno essere disarmati dai peace-keepers – osserva Alex de Waal, analista dell’Università di Harvard –. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una svolta politica da parte del Sudan».

Khartum ha sempre negato ogni connessione con i feroci miliziani, nonostante numerosi rapporti stilati da organizzazioni internazionali abbiano evidenziato il supporto governativo fornito al gruppo arabo. Anche per quanto riguarda il numero delle vittime del conflitto, il regime sudanese mantiene un atteggiamento negazionista, affermando che la guerra ha causato soltanto 9mila morti.

Ancora quattro giorni fa membri del contingente Ua nel Darfur hanno denunciato crimini molto gravi, come saccheggi e stupri, commessi sui civili da parte dei guerriglieri, contro i quali però non è stata presa nessuna iniziativa da parte delle autorità sudanesi. «Le milizie arabe agiscono indisturbate nell’area sotto la nostra responsabilità», ha riferito il maggiore Harry Soko all’Alto Commissario per i profughi dell’Onu, Antonio Guterres, in visita nella regione, precisando che attualmente la zona più colpita dalle violenze è quella nei dintorni di Sirba, circa 45 chilometri a nord da el-Geneina, capitale del Darfur occidentale.

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