Da La Repubblica del 12/12/2002
L'ex alto dirigente del Sisde dovrà essere riprocessato per l'accusa di associazione mafiosa
La Cassazione annulla l'assoluzione di Contrada
di AA.VV.
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ROMA - Quello che per Bruno Contrada sembrava un incubo finito e archiviato con tanto di scuse e riabilitazioni, è ricominciato. La sentenza di assoluzione per associazione mafiosa dell'ex funzionario del Sisde è stata annullata. Il processo d'appello deve essere rifatto. Così ha deciso la Corte di Cassazione. I giudici della seconda sezione presieduta da Francesco Morelli non ha tenuto conto della posizione del procuratore generale della Cassazione che aveva chiesto la conferma dell'assoluzione emessa dalla corte d'appello di Palermo il 4 maggio 2001. In primo grado Contrada era stato condannato a 10 anni di reclusione e aveva fatto 31 mesi di carcere.
Ricomincia da capo dunque l'odissea giudiziaria dell'uomo la cui figura che ha sempre diviso: c'è chi lo considera un funzionario integerrimo, un uomo dello Stato e chi è convinto che abbiano ragione una decina di pentiti (da Tommaso Buscetta a Giovanni Brusca) nel dire che il funzionario del Sisde ha fatto spesso gli interessi di Cosa nostra.
"Vuol dire che si rifarà il processo", sono state le poche parole pronunciate da Contrada dopo aver saputo la notizia. L'ex funzionario è rimasto in casa tutto il pomeriggio con la moglie, Adriana Del Vecchio, aspettando notizie dai propri legali. Subito dopo aver appreso la notizia è uscito di casa con alcuni amici. La moglie di Contrada dice: "Continuo ad avere fede nel Signore. La mia fiducia nella Sua giustizia non è mai venuta meno". Alla domanda se il marito fosse "arrabbiato" o "amareggiato" per la decisione della Suprema Corte Adriana Del Vecchio ha risposto: "Sembrava indignato".
La decisione della Cassazione è destinata a riaprire il caso e a far crescere il clima di tensione tra politica e magistratura già reso incandescente dalla recente sentenza d'appello che ha condannato Giulio Andreotti come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Dice Pietro Milio, difensore di Contrada: "Il nostro stato d'animo non è sereno: questa profonda tragedia che è il processo a Bruno Contrada è una tragedia che è un fatto istituzionale, perché questo è il rilievo del processo al funzionario di pubblica sicurezza Bruno Contrada ed è una tragedia per l'intera Italia civile".
Il caso Contrada incomincia alle sette di sera della vigilia di Natale '92, quando Bruno Contrada, ex alto funzionario del Sisde ed ex dirigente della Squadra mobile di Palermo viene portato in carcere. Il primo collaboratore di giustizia a puntare il dito contro l'ex funzionario di Polizia, che oggi ha 71 anni, era stato Tommaso Buscetta. Poi, via via, si sono aggiunti altri pentiti del calibro di Gaspare Mutolo, Angelo Siino, Giovanni Brusce e Francesco Onorato.
Il procedimento a carico di Contrada si apre il 12 aprile del '94 in un'affollata aula del Palazzo di giustizia di Palermo. Il Presidente della quinta sezione è Francesco Ingargiola, lo stesso che poi assolverà il senatore a vita Giulio Andreotti. Nel corso di 168 udienze si presenteranno in aula dieci pentiti di mafia. Alle otto di sera del 5 aprile del '96, dopo due anni, arriva la sentenza: condanna a dieci anni di carcere.
Secondo gli inquirenti, Contrada avrebbe contribuito alle "attività e agli scopi criminali di Cosa nostra", fornendo notizie riservare sulle indagini e consentendo persino la fuga di pericolosi latitanti, tra cui il capo di Cosa nostra, Totò Riina, accettando in cambio dei regali. A favore di Contrada testimoniano in aula uomini dello Stato, tra cui Mario Mori, ma anche ex capi della polizia. Alcuni di loro vengono addirittura indagati per falsa testimonianza. Ma l'indagine viene presto archiviata dal gip di Palermo.
Il 4 novembre del '94, Bruno Contrada si rivolge alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo contro la sua carcerazione preventiva durata due anni e mezzo. Il 24 agosto del '98, la Corte respinge il ricorso, giudicando le ragioni che sono alla base della custodia cautelare "pertinenti e sufficienti".
Nel giugno del '98, a due anni e due mesi dalla sentenza di condanna, inizia il processo d'appello. Vengono chiamati a testimoniare nuovi pentiti, come Angelo Siino, Giovanni Brusca e Francesco Onorato. L'accusa chiede l'inasprimento della pena, da dieci a undici anni di reclusione.
Ma il presidente, Gioacchino Agnello, respinge in pieno la richiesta dell'accusa e nel pomeriggio del 4 maggio del 2002 assolve Contrada con formula piena. "Ne ero certo - disse Contrada subito dopo - questi giudici mi hanno restituito l'onore".
Ricomincia da capo dunque l'odissea giudiziaria dell'uomo la cui figura che ha sempre diviso: c'è chi lo considera un funzionario integerrimo, un uomo dello Stato e chi è convinto che abbiano ragione una decina di pentiti (da Tommaso Buscetta a Giovanni Brusca) nel dire che il funzionario del Sisde ha fatto spesso gli interessi di Cosa nostra.
"Vuol dire che si rifarà il processo", sono state le poche parole pronunciate da Contrada dopo aver saputo la notizia. L'ex funzionario è rimasto in casa tutto il pomeriggio con la moglie, Adriana Del Vecchio, aspettando notizie dai propri legali. Subito dopo aver appreso la notizia è uscito di casa con alcuni amici. La moglie di Contrada dice: "Continuo ad avere fede nel Signore. La mia fiducia nella Sua giustizia non è mai venuta meno". Alla domanda se il marito fosse "arrabbiato" o "amareggiato" per la decisione della Suprema Corte Adriana Del Vecchio ha risposto: "Sembrava indignato".
La decisione della Cassazione è destinata a riaprire il caso e a far crescere il clima di tensione tra politica e magistratura già reso incandescente dalla recente sentenza d'appello che ha condannato Giulio Andreotti come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Dice Pietro Milio, difensore di Contrada: "Il nostro stato d'animo non è sereno: questa profonda tragedia che è il processo a Bruno Contrada è una tragedia che è un fatto istituzionale, perché questo è il rilievo del processo al funzionario di pubblica sicurezza Bruno Contrada ed è una tragedia per l'intera Italia civile".
Il caso Contrada incomincia alle sette di sera della vigilia di Natale '92, quando Bruno Contrada, ex alto funzionario del Sisde ed ex dirigente della Squadra mobile di Palermo viene portato in carcere. Il primo collaboratore di giustizia a puntare il dito contro l'ex funzionario di Polizia, che oggi ha 71 anni, era stato Tommaso Buscetta. Poi, via via, si sono aggiunti altri pentiti del calibro di Gaspare Mutolo, Angelo Siino, Giovanni Brusce e Francesco Onorato.
Il procedimento a carico di Contrada si apre il 12 aprile del '94 in un'affollata aula del Palazzo di giustizia di Palermo. Il Presidente della quinta sezione è Francesco Ingargiola, lo stesso che poi assolverà il senatore a vita Giulio Andreotti. Nel corso di 168 udienze si presenteranno in aula dieci pentiti di mafia. Alle otto di sera del 5 aprile del '96, dopo due anni, arriva la sentenza: condanna a dieci anni di carcere.
Secondo gli inquirenti, Contrada avrebbe contribuito alle "attività e agli scopi criminali di Cosa nostra", fornendo notizie riservare sulle indagini e consentendo persino la fuga di pericolosi latitanti, tra cui il capo di Cosa nostra, Totò Riina, accettando in cambio dei regali. A favore di Contrada testimoniano in aula uomini dello Stato, tra cui Mario Mori, ma anche ex capi della polizia. Alcuni di loro vengono addirittura indagati per falsa testimonianza. Ma l'indagine viene presto archiviata dal gip di Palermo.
Il 4 novembre del '94, Bruno Contrada si rivolge alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo contro la sua carcerazione preventiva durata due anni e mezzo. Il 24 agosto del '98, la Corte respinge il ricorso, giudicando le ragioni che sono alla base della custodia cautelare "pertinenti e sufficienti".
Nel giugno del '98, a due anni e due mesi dalla sentenza di condanna, inizia il processo d'appello. Vengono chiamati a testimoniare nuovi pentiti, come Angelo Siino, Giovanni Brusca e Francesco Onorato. L'accusa chiede l'inasprimento della pena, da dieci a undici anni di reclusione.
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