Da Corriere della Sera del 17/06/2007
«Papà fu ucciso in via De Amicis Lì incontrerò il suo assassino»
Milano, Antonia Custra è la figlia del vicebrigadiere colpito da un autonomo nel 1977
di Giusi Fasano
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MILANO — Lui lo ha visto per terra in via De Amicis, morente; lei non ha mai voluto nemmeno sapere com'è fatta quella strada. Lui l'ha colpito in fronte, una sola pallottola calibro 7.65; lei lo ha fatto rivivere mille e mille volte nei ricordi altrui. Il vicebrigadiere di polizia Antonio Custra, ucciso il 14 maggio del 1977 mentre era in servizio al reparto celere di Milano, per lui era un «nemico » dei tanti, per lei il padre.
Martedì la figlia e l'assassino incroceranno le loro vite per la prima volta, dopo trent'anni di binari separati. Si vedranno. Si racconteranno l'uno dell'altra. E andranno insieme in via De Amicis, nel punto esatto in cui il poliziotto vide sfumare la luce di una giornata appartenuta alla violenza di quegli anni. E chissà quali parole suggerirà l'emozione, davanti alla sagoma immaginaria di un uomo sull'asfalto che respira i suoi ultimi minuti di vita e che nessuno dei due ha mai conosciuto.
Trent'anni fa lui, Mario Ferrandi, era un giovane autonomo cresciuto a pane e ideologia, puntò la sua 7,65 ad altezza d'uomo e sparò. Di lei, Antonia Custra, si sapeva solo che cresceva bene nella pancia della mamma, che sarebbe nata entro poche settimane e che avrebbe vissuto a Milano.
Non fu così. La vita di Antonia cambiò strada prima che lei nascesse. Sua madre l'ha cresciuta a Napoli e di Milano, dov'è stata una volta da bambina in visita da parenti, lei non conserva nemmeno un ricordo. «Ero troppo piccola — dice — e quando sono diventata grande l'ho evitata per scelta. Ma adesso so che ce la posso fare. Sono pronta». Arriverà in aereo martedì mattina, guarderà negli occhi l'uomo che l'ha privata del padre «e in quel momento vedrò cosa mi farà dire l'istinto. Di sicuro gli chiederò di portarmi in via De Amicis. Voglio sapere, vedere, capire. Voglio camminare dove mio padre ha camminato quel giorno, voglio farmi accompagnare da Mario dove lui si è fermato a sparare, voglio fermarmi dove mio padre è caduto ».
Lo chiama «Mario» con naturalezza, quasi fosse un vecchio amico. Ogni tanto dice «quel ragazzo», come se lo immaginasse eternamente giovane fra gli autonomi negli scontri di piazza, e mai adulto com'è, con i suoi 51 anni, il suo tempo passato in carcere, la sua voce tremula e la sua voglia di piangere nell'unica telefonata Antonia- Mario, un mese fa, quando decisero che prima o poi si sarebbero incontrati. «Ma non a Milano», giurò lei. «Io non me la sento». E invece ha cambiato idea. «Ci ho pensato molto e alla fine mi sono fatta coraggio.
È una specie di sfida. Basta stare male. Devo affrontare questo passaggio e non so dire che cosa mi abbia convinta che adesso è il momento giusto. So che finalmente sono pronta e so che mio padre mi guarda ed è fiero di me».
Cerca il sereno, Antonia. Ma sa che prima c'è la tempesta. «Se dev'essere il tumulto della mia vita che lo sia, così magari poi supero tutto».
«Tutto», vuol dire un cumulo di avversità. Dalla depressione alla bulimia, all'anoressia. Antonia vorrebbe finirla con i farmaci che prende da sempre per contenere la sua voglia di arrendersi alla vita. «La dottoressa dice che devo andare avanti ancora un po'» si convince. «Intanto io ho deciso di affrontare il dolore, di guardarlo in faccia. Voglio perfino vedere le fotografie di mio padre mentre moriva. Prendiamo atto che sono passati trent'anni e guardiamo avanti, verso l'orizzonte. Credo che questo valga anche per Mario che, come me, prende antidepressivi».
La figlia del vicebrigadiere sa che il tempo medica le ferite. «Magari né le mie né quelle di Mario si rimargineranno mai ma sono sicura che invece di odiarlo come ho fatto finora, conoscerci e incontrarci farà bene a tutti e due. E sai cosa ti dico?» si ferma a pensarci un po'. «Che quel ragazzo è il filo che unisce me a mio padre. È come se vedendolo potessi in qualche modo tornare indietro anch'io a quel 14 maggio, in via De Amicis, a incrociare anche solo per un momento la vita di un padre che non ho mai avuto».
Fino a un mese fa l'odio di Antonia sembrava inespugnabile, «Ho sempre voluto che Mario scomparisse dalla faccia della terra». Adesso sembra una bambina impaziente davanti a un pacchetto da scartare. Martedì sarà la sua giornata-regalo «da scartare». Non le viene in mente nemmeno una parola che sia abbastanza buona per far fronte alla stretta di mano, agli occhi che si incroceranno. «Ma del resto — è rassegnata lei — ci sono forse parole che valgono due vite come le nostre?».
Martedì la figlia e l'assassino incroceranno le loro vite per la prima volta, dopo trent'anni di binari separati. Si vedranno. Si racconteranno l'uno dell'altra. E andranno insieme in via De Amicis, nel punto esatto in cui il poliziotto vide sfumare la luce di una giornata appartenuta alla violenza di quegli anni. E chissà quali parole suggerirà l'emozione, davanti alla sagoma immaginaria di un uomo sull'asfalto che respira i suoi ultimi minuti di vita e che nessuno dei due ha mai conosciuto.
Trent'anni fa lui, Mario Ferrandi, era un giovane autonomo cresciuto a pane e ideologia, puntò la sua 7,65 ad altezza d'uomo e sparò. Di lei, Antonia Custra, si sapeva solo che cresceva bene nella pancia della mamma, che sarebbe nata entro poche settimane e che avrebbe vissuto a Milano.
Non fu così. La vita di Antonia cambiò strada prima che lei nascesse. Sua madre l'ha cresciuta a Napoli e di Milano, dov'è stata una volta da bambina in visita da parenti, lei non conserva nemmeno un ricordo. «Ero troppo piccola — dice — e quando sono diventata grande l'ho evitata per scelta. Ma adesso so che ce la posso fare. Sono pronta». Arriverà in aereo martedì mattina, guarderà negli occhi l'uomo che l'ha privata del padre «e in quel momento vedrò cosa mi farà dire l'istinto. Di sicuro gli chiederò di portarmi in via De Amicis. Voglio sapere, vedere, capire. Voglio camminare dove mio padre ha camminato quel giorno, voglio farmi accompagnare da Mario dove lui si è fermato a sparare, voglio fermarmi dove mio padre è caduto ».
Lo chiama «Mario» con naturalezza, quasi fosse un vecchio amico. Ogni tanto dice «quel ragazzo», come se lo immaginasse eternamente giovane fra gli autonomi negli scontri di piazza, e mai adulto com'è, con i suoi 51 anni, il suo tempo passato in carcere, la sua voce tremula e la sua voglia di piangere nell'unica telefonata Antonia- Mario, un mese fa, quando decisero che prima o poi si sarebbero incontrati. «Ma non a Milano», giurò lei. «Io non me la sento». E invece ha cambiato idea. «Ci ho pensato molto e alla fine mi sono fatta coraggio.
È una specie di sfida. Basta stare male. Devo affrontare questo passaggio e non so dire che cosa mi abbia convinta che adesso è il momento giusto. So che finalmente sono pronta e so che mio padre mi guarda ed è fiero di me».
Cerca il sereno, Antonia. Ma sa che prima c'è la tempesta. «Se dev'essere il tumulto della mia vita che lo sia, così magari poi supero tutto».
«Tutto», vuol dire un cumulo di avversità. Dalla depressione alla bulimia, all'anoressia. Antonia vorrebbe finirla con i farmaci che prende da sempre per contenere la sua voglia di arrendersi alla vita. «La dottoressa dice che devo andare avanti ancora un po'» si convince. «Intanto io ho deciso di affrontare il dolore, di guardarlo in faccia. Voglio perfino vedere le fotografie di mio padre mentre moriva. Prendiamo atto che sono passati trent'anni e guardiamo avanti, verso l'orizzonte. Credo che questo valga anche per Mario che, come me, prende antidepressivi».
La figlia del vicebrigadiere sa che il tempo medica le ferite. «Magari né le mie né quelle di Mario si rimargineranno mai ma sono sicura che invece di odiarlo come ho fatto finora, conoscerci e incontrarci farà bene a tutti e due. E sai cosa ti dico?» si ferma a pensarci un po'. «Che quel ragazzo è il filo che unisce me a mio padre. È come se vedendolo potessi in qualche modo tornare indietro anch'io a quel 14 maggio, in via De Amicis, a incrociare anche solo per un momento la vita di un padre che non ho mai avuto».
Fino a un mese fa l'odio di Antonia sembrava inespugnabile, «Ho sempre voluto che Mario scomparisse dalla faccia della terra». Adesso sembra una bambina impaziente davanti a un pacchetto da scartare. Martedì sarà la sua giornata-regalo «da scartare». Non le viene in mente nemmeno una parola che sia abbastanza buona per far fronte alla stretta di mano, agli occhi che si incroceranno. «Ma del resto — è rassegnata lei — ci sono forse parole che valgono due vite come le nostre?».
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