Da L'Espresso del 28/06/2007
Sì, ho visto la Mambro
La compagna di Fioravanti alla stazione poco prima della bomba. A 27 anni dalla strage, in un libro-inchiesta sull'attentato, una testimone racconta
di Riccardo Bocca
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C'è una testimone, ventisette anni dopo. Una donna che il 2 agosto 1980 era presente alla stazione di Bologna, quando 25 chili di esplosivo hanno ucciso 85 persone e ne hanno ferite altre 218. Una signora di sessantasette anni che da allora vive con un pensiero nascosto, un ricordo che ha cercato di cancellare e invece l'accompagna suo malgrado. Qualcosa che la terrorizza e di cui parla controvoglia.
È una mattina di primavera, quando la incontro all'Associazione dei familiari delle vittime della strage, nel centro di Bologna. Viene da Modena, dove vive e ha lavorato come assistente sociale. Non sa con esattezza qual è la ragione dell'intervista. Le è stato anticipato soltanto che parleremo del 2 agosto, delle sue emozioni, di come è cambiata la sua vita.
"Era un momento un po' complicato per me. Non avevo troppi soldi in tasca. Lavoravo in Comune, ero una quarantenne divorziata e non sapevo come organizzare le ferie. Alla fine prenotai un viaggio in Grecia con mia figlia, che aveva diciassette anni e studiava alle magistrali. E siccome l'aereo costava troppo, il 2 agosto salimmo su un treno che ci portò a Bologna, da dove partiva un pullman per la penisola calcidica".
La signora e la figlia arrivano a Bologna verso le 9,30. A quell'ora la stazione è un fiume di gente e valigie; l'euforia di chi saluta la città per un periodo di vacanza, la fretta che confonde tutto e tutti. Il resto del clima lo rievoca la lettura dei giornali. Fiat e governo in guerra, titolano sulla lotta contro le migliaia di licenziamenti annunciati a Torino. Con altrettanta evidenza la stampa pubblica la deposizione alla Commissione d'inchiesta Moro della vedova Eleonora, secondo cui "il rapimento e l'assassinio del leader Dc sono stati opera di un complotto politico con connessioni internazionali". Sempre il 2 agosto, le cronache raccontano le fragilità del presidente americano Jimmy Carter, poi sostituito dal repubblicano Ronald Reagan, ma anche un nuovo capitolo nella storia delle stragi nere: il responsabile dell'Ufficio istruzione del Tribunale di Bologna, Angelo Vella, che firma l'ordinanza di rinvio a giudizio per Mario Tuti e altri estremisti di destra, accusati di aver fatto esplodere il 4 agosto 1974 il treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, uccidendo 12 innocenti e ferendone 44.
Una vicenda, vedremo, per certi versi legata alla strage di Bologna. Ma tutto questo il 2 agosto non c'è nei pensieri della signora modenese e di sua figlia. Sono proiettate verso il mare, loro, verso la Grecia. "Piuttosto", dice la testimone, "mi ricordo che i giornali parlavano di caldo torrido, e non sbagliavano". Il termometro segna 42 gradi, quel giorno. Bologna è una fornace e la stazione è anche peggio, affollata da troppe cose e persone. "In quell'atmosfera, facemmo colazione al bar vicino ai binari, comprammo i giornali e ci portammo con i bagagli sul piazzale esterno, da dove sarebbe partito il pullman. Senonché ci fu un contrattempo: mia figlia si accorse di avere le mestruazioni, e si diresse verso via dell'Indipendenza per raggiungere una farmacia".
La signora invece non si muove.
"Per qualche minuto rimasi davanti alla stazione, ad aspettare il pullman. Poi mi sedetti sull'aiuola al centro della piazza, e a pochi metri da me, sull'erba, notai un ragazzo e una ragazza vestiti in modo assurdo, vista l'afa che c'era. Avevano pantaloni a tre quarti da montagna, calzettoni di lana e scarponi. In particolare, la ragazza indossava calzoni verde militare, calzettoni rossi, una maglietta bianca, uno zaino, e aveva a fianco un golf o un giacchino tirolese. Quanto al ragazzo, ricordo la sua giacca, che non era il classico modello italiano, ma anch'esso tirolese. Una tenuta così eccentrica che pensai: 'Non sembrano nemmeno tedeschi...!'; un'espressione emiliana per sottolineare quanto invece lo apparissero, almeno sotto il profilo dell'abbigliamento. Per il resto erano italiani al cento per cento, con i capelli castani - lei lunghi fino al collo - e i nostri tipici volti".
È una mattina di primavera, quando la incontro all'Associazione dei familiari delle vittime della strage, nel centro di Bologna. Viene da Modena, dove vive e ha lavorato come assistente sociale. Non sa con esattezza qual è la ragione dell'intervista. Le è stato anticipato soltanto che parleremo del 2 agosto, delle sue emozioni, di come è cambiata la sua vita.
"Era un momento un po' complicato per me. Non avevo troppi soldi in tasca. Lavoravo in Comune, ero una quarantenne divorziata e non sapevo come organizzare le ferie. Alla fine prenotai un viaggio in Grecia con mia figlia, che aveva diciassette anni e studiava alle magistrali. E siccome l'aereo costava troppo, il 2 agosto salimmo su un treno che ci portò a Bologna, da dove partiva un pullman per la penisola calcidica".
La signora e la figlia arrivano a Bologna verso le 9,30. A quell'ora la stazione è un fiume di gente e valigie; l'euforia di chi saluta la città per un periodo di vacanza, la fretta che confonde tutto e tutti. Il resto del clima lo rievoca la lettura dei giornali. Fiat e governo in guerra, titolano sulla lotta contro le migliaia di licenziamenti annunciati a Torino. Con altrettanta evidenza la stampa pubblica la deposizione alla Commissione d'inchiesta Moro della vedova Eleonora, secondo cui "il rapimento e l'assassinio del leader Dc sono stati opera di un complotto politico con connessioni internazionali". Sempre il 2 agosto, le cronache raccontano le fragilità del presidente americano Jimmy Carter, poi sostituito dal repubblicano Ronald Reagan, ma anche un nuovo capitolo nella storia delle stragi nere: il responsabile dell'Ufficio istruzione del Tribunale di Bologna, Angelo Vella, che firma l'ordinanza di rinvio a giudizio per Mario Tuti e altri estremisti di destra, accusati di aver fatto esplodere il 4 agosto 1974 il treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, uccidendo 12 innocenti e ferendone 44.
Una vicenda, vedremo, per certi versi legata alla strage di Bologna. Ma tutto questo il 2 agosto non c'è nei pensieri della signora modenese e di sua figlia. Sono proiettate verso il mare, loro, verso la Grecia. "Piuttosto", dice la testimone, "mi ricordo che i giornali parlavano di caldo torrido, e non sbagliavano". Il termometro segna 42 gradi, quel giorno. Bologna è una fornace e la stazione è anche peggio, affollata da troppe cose e persone. "In quell'atmosfera, facemmo colazione al bar vicino ai binari, comprammo i giornali e ci portammo con i bagagli sul piazzale esterno, da dove sarebbe partito il pullman. Senonché ci fu un contrattempo: mia figlia si accorse di avere le mestruazioni, e si diresse verso via dell'Indipendenza per raggiungere una farmacia".
La signora invece non si muove.
"Per qualche minuto rimasi davanti alla stazione, ad aspettare il pullman. Poi mi sedetti sull'aiuola al centro della piazza, e a pochi metri da me, sull'erba, notai un ragazzo e una ragazza vestiti in modo assurdo, vista l'afa che c'era. Avevano pantaloni a tre quarti da montagna, calzettoni di lana e scarponi. In particolare, la ragazza indossava calzoni verde militare, calzettoni rossi, una maglietta bianca, uno zaino, e aveva a fianco un golf o un giacchino tirolese. Quanto al ragazzo, ricordo la sua giacca, che non era il classico modello italiano, ma anch'esso tirolese. Una tenuta così eccentrica che pensai: 'Non sembrano nemmeno tedeschi...!'; un'espressione emiliana per sottolineare quanto invece lo apparissero, almeno sotto il profilo dell'abbigliamento. Per il resto erano italiani al cento per cento, con i capelli castani - lei lunghi fino al collo - e i nostri tipici volti".
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Fonte: Associazione Familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna
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su redazione del 28/06/2007