Da La Voce della Campania del 20/10/2007
La nuova legge sui Servizi. Cosa cambia
di Norberto Breda, Francis Bruno
Segnatevi questa data: 13 ottobre 2007, perché è una data storica. In questo giorno entrerà in vigore, per la prima volta in Italia, una legge sul segreto di Stato che il Parlamento ha votato all’unanimità lo scorso agosto. Non è una cosa da poco. Basti pensare che fino a quella data le norme che regolano il segreto sono anche esse segrete e nessuna Legislatura dal dopoguerra a oggi le ha mai votate. Semplicemente erano state decise dall’allora capo dei Servizi, Vito Miceli, nel 1974 e amen. Insomma, ancora per pochi giorni vivremo in uno stato “segreto”, dove possiamo essere accusati di violare una norma che non conosciamo proprio perché segreta. Roba da Medioevo. Sarà anche per questo che i nostri governanti hanno deciso di porre fine a uno scandalo democratico che ha avuto inizio con la nascita della Repubblica. Tutto a posto, dunque. Le ruberie, i depistaggi, le complicità con organizzazioni terroristiche e criminali, il dossieraggio, i ricatti, i numerosi tentativi di golpe, saranno solo un ricordo del passato. Almeno sembra questo il messaggio che opposizione e maggioranza hanno fatto passare sugli organi di stampa dopo l’approvazione della legge e un attimo prima di andare tutti in vacanza. Fino al giorno prima tutti parlavano di spie e spioni e poi, di colpo, appena approvata la legge è caduto il silenzio, come ha denunciato Sandro Provvisionato su La Voce.
In pochi, pochissimi, hanno sentito il bisogno di analizzare la nuova normativa. Non ci meraviglia. Ormai la comunicazione politica è omologata a quella degli spot pubblicitari: non conta il contenuto ma lo slogan. Vediamo di capire meglio perché.
Le novità della legge
Tra quelle di mera facciata va segnalato l’ennesimo cambio di nome. Il Sismi e il Sisde non esisteranno più. Al loro posto nasceranno l’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e l’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna). Il Cesis, l’ufficio di coordinamento, diventerà il Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza). E fin qui nulla di nuovo. La prima novità sostanziale riguarda invece il ruolo preponderante che il Presidente del Consiglio avrà nella gestione dei Servizi: non solo potrà nominare direttori e vicedirettori, in omaggio alla logica dello spoil system, ma spetterà a lui la direzione politica e il coordinamento delle due agenzie. Insomma i Servizi diventeranno sempre di più un corpo politico nelle mani del Premier. America docet.
La legge opera anche sul versante del controllo parlamentare: la commissione preposta (il Copaco) avrà dieci membri, divisi equamente tra maggioranza e opposizione. Quest’ultima ne terrà la presidenza. Il Copaco potrà acquisire informazioni o sentire agenti ma solo se tutto il comitato sarà d’accordo. Su questo punto emergono le prime perplessità: anche se il Copaco potrà acquisire atti e fascicoli senza che venga opposto segreto d’ufficio, istruttorio o bancario e dovrà essere informato di tutte le “operazioni riservate”, esso dovrà chiedere comunque il permesso direttamente al Premier per visitare le sedi e gli archivi dei Servizi. Si tratta di un monitoraggio poco efficace della struttura. Il controllo parlamentare è ancora minore se consideriamo che in epoca di globalizzazione le azioni dei Servizi segreti sono determinate da accordi internazionali quasi sempre sconosciuti al Parlamento. Insomma ci troveremo davanti a dei Servizi che risponderanno solo al premier investito di un potere enorme, soprattutto in un regime maggioritario, senza che si prevedano forti contrappesi.
I reati dei Servizi
Uno dei punti di svolta della riforma riguarda le garanzie funzionali accordate agli agenti segreti, vale a dire la possibilità di copertura in caso di commissione di reati: è possibile commettere atti illeciti ma questi devono essere autorizzati di volta in volta dal Primo Ministro. La legge ne definisce i limiti: nell’esercizio delle loro funzioni gli 007 devono rispettare l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone. Con queste limitazioni sarebbe legittimo allora chiedersi che cosa è consentito a un agente. Andiamo avanti. Non possono essere condotte operazioni coperte in nessuno di questi contesti: sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in consigli regionali, sedi di organizzazioni sindacali e nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all’albo. Il Legislatore ha forse dimenticato due centri vitali della democrazia: Camera e Senato con relativi uffici e soprattutto i tribunali. Ma non è la sola svista. Per anni, infatti, qualche acuto commentatore discettava sulla licenza di uccidere che si poteva concedere ai nostri James Bond in casi eccezionali. Questi insigni giuristi dimenticavano che nessuna legge può dare questa licenza e che anche se la massima carica politica volesse concederla, sarebbe immediatamente perseguibile alla stregua di un criminale comune. Almeno questo la nuova legge ce lo ha risparmiato. Ma quando le spie italiane possono commettere reati? Solo “quando sono posti in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali, in attuazione di un’operazione autorizzata e documentata”. Che significa “compiti istituzionali”? Facciamo un esempio. Il Premier autorizza un rapimento su richiesta di un Servizio segreto straniero con cui il Governo e i nostri apparati di sicurezza hanno stretto un accordo. Ma la nuova legge non prevede che il Governo possa autorizzare un rapimento. Nonostante ciò il Premier potrebbe opporre il segreto di Stato: “L’operazione è stata richiesta sulla base di un trattato di cooperazione antiterrorismo che è segreto”. Come si vede la nuova legge non eviterebbe il ripetersi della vicenda di Abu Omar.
Per rimanere all’elenco dei reati vietati va osservato che nella legge non sono contemplati quelli riguardanti i diritti costituzionali all’informazione proprio in un momento in cui si scopre che nel libro paga del Sismi vi erano giornalisti, utilizzati per diffondere notizie false e per spiare dei colleghi. Oltretutto i reati “protetti” sono numerosi: la legge trasforma i Servizi in una sorta di “super polizia” con compiti di investigazione anziché occuparsi solo di prevenzione e sicurezza, godendo per di più di una copertura per i reati commessi.
Ancora più significativo è il passaggio della legge che tratta l’utilizzo dei collaboratori occasionali da parte dei Servizi. Anche a questi vanno estese le garanzie funzionali nella commissione di eventuali reati, ovviamente se autorizzati secondo le procedure, nel momento in cui il ricorso a questi collaboratori sia “indispensabile”.
Si tratta di una copertura legale postuma per tutti coloro che hanno compiuto reati in nome di una ipotetica ragion di Stato. E’ noto infatti che i Servizi, per intercettare le telefonate si servano di “ombre”, oscuri e bravi tecnici delle compagnie telefoniche che del tutto illegalmente e abusivamente spiano le conversazioni. Questa condotta, come evidenziato dallo scandalo Sismi-Telecom, è palesemente illegale e diffusissima a meno di una autorizzazione del magistrato. Con la nuova legge questo sarà legittimato. Bisognerebbe chiedersi su quali basi i Servizi considereranno indispensabili queste azioni. Non ci sembra infatti che fossero indispensabili per la sicurezza del Paese intercettare calciatori, uomini d’affari, attori e compagnia cantante. E meno che mai giornalisti.
Giudici e Servizi
La legge di riforma insiste molto sui rapporti tra Giudici-Autorità politica e Servizi di sicurezza con profili degni della famigerata riforma piduista della giustizia. Se l’ineffabile Gran Maestro Licio Gelli chiedeva di legare i Pm all’esecutivo, questa legge si avvicina molto a quel piano. La normativa prevede infatti che i Servizi possano richiedere alle forze di polizia informazioni e documenti riguardanti indagini in corso anche quando coperte da segreto istruttorio. Vista la dipendenza degli apparati di sicurezza dal Presidente del Consiglio significherebbe in pratica che quelle informazioni possono finire direttamente ai piani alti di Palazzo Chigi. Il tutto con buona pace della separazione dei poteri che la Costituzione impone e poco importa se comunque il capo di una procura può decidere di non dare informazioni.
Ma non è finita: la legge limita ulteriormente il potere d’inchiesta dei giudici. Il Legislatore, infatti, prevede che solo il magistrato o un suo delegato della polizia giudiziaria possa accedere alla visione di atti conservati negli archivi dei “nuovi” Servizi. Se questa disposizione fosse stata applicata in passato molte delle inchieste sviluppatesi tra gli anni ’80 e i ’90 non avrebbero mai visto la luce. Ci riferiamo a quelle su Piazza Fontana, sulle stragi di Brescia e Bologna, sul delitto Mattei, su quello De Mauro e anche alle inchieste compiute dalle commissioni d’inchiesta sul terrorismo e sulla mafia. Inchieste che hanno visto impegnati alcuni tra i migliori storici e studiosi italiani che hanno saputo riportare alla luce una parte importante della storia di questo paese segnalando le inefficienze nella gestione degli archivi con il pericolo, tutt’ora non scongiurato, che buona parte di questi documenti scompaia per una colpevole incuria. Ma proprio perché i nostri Servizi hanno la storia che hanno, il Legislatore ha posto un ulteriore ostacolo a future indagini: il segreto di Stato può essere posto su una qualsiasi informazione prima che questa venga presa in esame dal giudice. Così è il Premier che decide cosa il giudice può vedere e cosa no. E il divieto di apporre il segreto di Stato, anche su fatti di terrorismo e di eversione, andrebbe a farsi benedire.
Cos’ è segreto?
Il problema è il seguente: cosa è veramente suscettibile di protezione? Quale informazione deve essere coperta per garantire gli interessi dello Stato e quindi della collettività? Con tutti i buoni propositi che il Parlamento ha riversato in questa riforma, questo punto rimane ancora una volta poco chiaro. Da una parte il messaggio è che il segreto non sarà più eterno come prima, ma avrà una durata di 15 anni con un massimo di 30. Dall’altra è pur vero che rimane vago il criterio con il quale i Servizi, gli apparati dello Stato (Ministeri-Enti Locali etc.), lo stesso Governo, decidono di segretare un’informazione. Su questo punto tutto tace. Ogni cosa può essere segreta se lo decidono i Servizi e se la proposta viene appoggiata dal Premier. Fino al 13 ottobre sono formalmente “segreti” le sedi dei Servizi, l’orario dei treni, i recapiti telefonici dei ministeri. Tutte informazioni che possiamo trovare facilmente su internet. Il punto è che non conosciamo il criterio in base al quale il Governo e gli apparati di sicurezza decidono cosa è segreto e cosa non lo è.
Gli accordi internazionali
Un ultimo aspetto di questa legge riguarda il sistema di segretazione in relazione agli accordi internazionali. In particolare leggendo gli articoli 39 e 42 della nuova legge balza agli occhi come il segreto dipenda da patti sovranazionali. E’ vero che l’ordinamento italiano prevede l’armonizzazione delle proprie leggi sulla base di direttive provenienti da organismi internazionali di governo come la Commissione Europea. Ma strutture come la CIA o il Mossad non sono certo organismi di governo. Quindi sembrerebbe illegittimo seguire dettami provenienti da strutture internazionali non governative in materia di informazione e sicurezza. Se i patti segreti esistevano in passato ed erano stipulati in funzione della guerra fredda, oggi ne esistono altri e riguardano la c.d. “guerra al terrorismo”, che nella maggior parte dei casi non sono noti al Parlamento.
Con la retorica degli accordi bipartisan i nostri governanti hanno licenziato una legge come fosse uno slogan: “Il segreto di Stato dura solo trent’anni”. Allora, verrebbe da dire, “meglio di niente”. Ma cosa davvero è segreto ancora non ce lo hanno spiegato.
In pochi, pochissimi, hanno sentito il bisogno di analizzare la nuova normativa. Non ci meraviglia. Ormai la comunicazione politica è omologata a quella degli spot pubblicitari: non conta il contenuto ma lo slogan. Vediamo di capire meglio perché.
Le novità della legge
Tra quelle di mera facciata va segnalato l’ennesimo cambio di nome. Il Sismi e il Sisde non esisteranno più. Al loro posto nasceranno l’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e l’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna). Il Cesis, l’ufficio di coordinamento, diventerà il Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza). E fin qui nulla di nuovo. La prima novità sostanziale riguarda invece il ruolo preponderante che il Presidente del Consiglio avrà nella gestione dei Servizi: non solo potrà nominare direttori e vicedirettori, in omaggio alla logica dello spoil system, ma spetterà a lui la direzione politica e il coordinamento delle due agenzie. Insomma i Servizi diventeranno sempre di più un corpo politico nelle mani del Premier. America docet.
La legge opera anche sul versante del controllo parlamentare: la commissione preposta (il Copaco) avrà dieci membri, divisi equamente tra maggioranza e opposizione. Quest’ultima ne terrà la presidenza. Il Copaco potrà acquisire informazioni o sentire agenti ma solo se tutto il comitato sarà d’accordo. Su questo punto emergono le prime perplessità: anche se il Copaco potrà acquisire atti e fascicoli senza che venga opposto segreto d’ufficio, istruttorio o bancario e dovrà essere informato di tutte le “operazioni riservate”, esso dovrà chiedere comunque il permesso direttamente al Premier per visitare le sedi e gli archivi dei Servizi. Si tratta di un monitoraggio poco efficace della struttura. Il controllo parlamentare è ancora minore se consideriamo che in epoca di globalizzazione le azioni dei Servizi segreti sono determinate da accordi internazionali quasi sempre sconosciuti al Parlamento. Insomma ci troveremo davanti a dei Servizi che risponderanno solo al premier investito di un potere enorme, soprattutto in un regime maggioritario, senza che si prevedano forti contrappesi.
I reati dei Servizi
Uno dei punti di svolta della riforma riguarda le garanzie funzionali accordate agli agenti segreti, vale a dire la possibilità di copertura in caso di commissione di reati: è possibile commettere atti illeciti ma questi devono essere autorizzati di volta in volta dal Primo Ministro. La legge ne definisce i limiti: nell’esercizio delle loro funzioni gli 007 devono rispettare l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone. Con queste limitazioni sarebbe legittimo allora chiedersi che cosa è consentito a un agente. Andiamo avanti. Non possono essere condotte operazioni coperte in nessuno di questi contesti: sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in consigli regionali, sedi di organizzazioni sindacali e nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all’albo. Il Legislatore ha forse dimenticato due centri vitali della democrazia: Camera e Senato con relativi uffici e soprattutto i tribunali. Ma non è la sola svista. Per anni, infatti, qualche acuto commentatore discettava sulla licenza di uccidere che si poteva concedere ai nostri James Bond in casi eccezionali. Questi insigni giuristi dimenticavano che nessuna legge può dare questa licenza e che anche se la massima carica politica volesse concederla, sarebbe immediatamente perseguibile alla stregua di un criminale comune. Almeno questo la nuova legge ce lo ha risparmiato. Ma quando le spie italiane possono commettere reati? Solo “quando sono posti in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali, in attuazione di un’operazione autorizzata e documentata”. Che significa “compiti istituzionali”? Facciamo un esempio. Il Premier autorizza un rapimento su richiesta di un Servizio segreto straniero con cui il Governo e i nostri apparati di sicurezza hanno stretto un accordo. Ma la nuova legge non prevede che il Governo possa autorizzare un rapimento. Nonostante ciò il Premier potrebbe opporre il segreto di Stato: “L’operazione è stata richiesta sulla base di un trattato di cooperazione antiterrorismo che è segreto”. Come si vede la nuova legge non eviterebbe il ripetersi della vicenda di Abu Omar.
Per rimanere all’elenco dei reati vietati va osservato che nella legge non sono contemplati quelli riguardanti i diritti costituzionali all’informazione proprio in un momento in cui si scopre che nel libro paga del Sismi vi erano giornalisti, utilizzati per diffondere notizie false e per spiare dei colleghi. Oltretutto i reati “protetti” sono numerosi: la legge trasforma i Servizi in una sorta di “super polizia” con compiti di investigazione anziché occuparsi solo di prevenzione e sicurezza, godendo per di più di una copertura per i reati commessi.
Ancora più significativo è il passaggio della legge che tratta l’utilizzo dei collaboratori occasionali da parte dei Servizi. Anche a questi vanno estese le garanzie funzionali nella commissione di eventuali reati, ovviamente se autorizzati secondo le procedure, nel momento in cui il ricorso a questi collaboratori sia “indispensabile”.
Si tratta di una copertura legale postuma per tutti coloro che hanno compiuto reati in nome di una ipotetica ragion di Stato. E’ noto infatti che i Servizi, per intercettare le telefonate si servano di “ombre”, oscuri e bravi tecnici delle compagnie telefoniche che del tutto illegalmente e abusivamente spiano le conversazioni. Questa condotta, come evidenziato dallo scandalo Sismi-Telecom, è palesemente illegale e diffusissima a meno di una autorizzazione del magistrato. Con la nuova legge questo sarà legittimato. Bisognerebbe chiedersi su quali basi i Servizi considereranno indispensabili queste azioni. Non ci sembra infatti che fossero indispensabili per la sicurezza del Paese intercettare calciatori, uomini d’affari, attori e compagnia cantante. E meno che mai giornalisti.
Giudici e Servizi
La legge di riforma insiste molto sui rapporti tra Giudici-Autorità politica e Servizi di sicurezza con profili degni della famigerata riforma piduista della giustizia. Se l’ineffabile Gran Maestro Licio Gelli chiedeva di legare i Pm all’esecutivo, questa legge si avvicina molto a quel piano. La normativa prevede infatti che i Servizi possano richiedere alle forze di polizia informazioni e documenti riguardanti indagini in corso anche quando coperte da segreto istruttorio. Vista la dipendenza degli apparati di sicurezza dal Presidente del Consiglio significherebbe in pratica che quelle informazioni possono finire direttamente ai piani alti di Palazzo Chigi. Il tutto con buona pace della separazione dei poteri che la Costituzione impone e poco importa se comunque il capo di una procura può decidere di non dare informazioni.
Ma non è finita: la legge limita ulteriormente il potere d’inchiesta dei giudici. Il Legislatore, infatti, prevede che solo il magistrato o un suo delegato della polizia giudiziaria possa accedere alla visione di atti conservati negli archivi dei “nuovi” Servizi. Se questa disposizione fosse stata applicata in passato molte delle inchieste sviluppatesi tra gli anni ’80 e i ’90 non avrebbero mai visto la luce. Ci riferiamo a quelle su Piazza Fontana, sulle stragi di Brescia e Bologna, sul delitto Mattei, su quello De Mauro e anche alle inchieste compiute dalle commissioni d’inchiesta sul terrorismo e sulla mafia. Inchieste che hanno visto impegnati alcuni tra i migliori storici e studiosi italiani che hanno saputo riportare alla luce una parte importante della storia di questo paese segnalando le inefficienze nella gestione degli archivi con il pericolo, tutt’ora non scongiurato, che buona parte di questi documenti scompaia per una colpevole incuria. Ma proprio perché i nostri Servizi hanno la storia che hanno, il Legislatore ha posto un ulteriore ostacolo a future indagini: il segreto di Stato può essere posto su una qualsiasi informazione prima che questa venga presa in esame dal giudice. Così è il Premier che decide cosa il giudice può vedere e cosa no. E il divieto di apporre il segreto di Stato, anche su fatti di terrorismo e di eversione, andrebbe a farsi benedire.
Cos’ è segreto?
Il problema è il seguente: cosa è veramente suscettibile di protezione? Quale informazione deve essere coperta per garantire gli interessi dello Stato e quindi della collettività? Con tutti i buoni propositi che il Parlamento ha riversato in questa riforma, questo punto rimane ancora una volta poco chiaro. Da una parte il messaggio è che il segreto non sarà più eterno come prima, ma avrà una durata di 15 anni con un massimo di 30. Dall’altra è pur vero che rimane vago il criterio con il quale i Servizi, gli apparati dello Stato (Ministeri-Enti Locali etc.), lo stesso Governo, decidono di segretare un’informazione. Su questo punto tutto tace. Ogni cosa può essere segreta se lo decidono i Servizi e se la proposta viene appoggiata dal Premier. Fino al 13 ottobre sono formalmente “segreti” le sedi dei Servizi, l’orario dei treni, i recapiti telefonici dei ministeri. Tutte informazioni che possiamo trovare facilmente su internet. Il punto è che non conosciamo il criterio in base al quale il Governo e gli apparati di sicurezza decidono cosa è segreto e cosa non lo è.
Gli accordi internazionali
Un ultimo aspetto di questa legge riguarda il sistema di segretazione in relazione agli accordi internazionali. In particolare leggendo gli articoli 39 e 42 della nuova legge balza agli occhi come il segreto dipenda da patti sovranazionali. E’ vero che l’ordinamento italiano prevede l’armonizzazione delle proprie leggi sulla base di direttive provenienti da organismi internazionali di governo come la Commissione Europea. Ma strutture come la CIA o il Mossad non sono certo organismi di governo. Quindi sembrerebbe illegittimo seguire dettami provenienti da strutture internazionali non governative in materia di informazione e sicurezza. Se i patti segreti esistevano in passato ed erano stipulati in funzione della guerra fredda, oggi ne esistono altri e riguardano la c.d. “guerra al terrorismo”, che nella maggior parte dei casi non sono noti al Parlamento.
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