Da L'Europeo del 01/07/2007

Delitti eccellenti: Mauro Rostagno

Quando: 26 settembre 1988

Dove: a Trapani, contrada Lenzi.

Vittima: Mauro Rostagno, 46 anni, nato a Torino, leader universitario a Trento, dirigente di Lotta Continua in Sicilia, sociologo e giornalista, guru arancione, fondatore della comunità di recupero per tossico-dipendenti Saman. Viene ucciso a pochi metri dalla comunità da un commando di killer mai identificati.
Moventi: almeno quattro quelli indagati. Pista mafiosa, regolamento di conti all’interno della Saman, omicidio politico legato all’assassinio del commissario Luigi Calabresi, un gigantesco traffico d’armi che vedrebbe coinvolte strutture dello Stato.

Il caso: nessun processo celebrato, nessun colpevole. Archiviato dalla procura di Trapani passato alla DDA di Palermo. Il sostituto procuratore Antonio Ingroia ha chiesto nuovamente di archiviare, si attende la decisione del Tribunale. Nel 1996 i giudici di Trapani avevano arrestato alcuni ospiti della Saman e la moglie di Rostagno, Chicca Roveri. Indagato anche il responsabile della comunità Francesco Cardella. Vengono tutti assolti in istruttoria.
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E’ un delitto al buio quello di Mauro Rostagno consumato in una strada polverosa appena fuori Trapani quasi vent’anni fa, il 26 settembre 1988. Un guasto all’illuminazione, doloso o casuale non si saprà mai, ha lasciato senza luce la scena del delitto: tre macchine, due fucili, una pistola e una testimone, lasciata inspiegabilmente viva dai killer. Non sono bastate indagini, perizie, inchieste aperte, chiuse e nuovamente riaperte per poi finire archiviate. Una massa di indagati, sospetti infamanti che hanno toccato amici e familiari, l’ombra lunga di comitati d’affari coperti dal segreto di Stato e l’immancabile presenza dei boss di Cosa Nostra. Si fatica a dire cosa è stato l’omicidio di Rostagno: mafia, alta mafia, regolamento di conti, delitto politico. E’ difficile anche dire chi hanno ucciso: il giornalista coraggioso e irridente che dagli schermi di un piccola Tv locale faceva a pezzi il perbenismo politico-mafioso di una delle province più povere d’Italia con il più alto numero di sportelli bancari. Il fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman. O, invece, il vecchio leader di Lotta Continua, portatore di segreti innominabili di una stagione conclusa in cui l’assalto al cielo era finito in un incubo di piombo. Servirebbe la penna di Sciascia a descrivere il contesto in cui si muove Rostagno: intricato, sfuggente e densissimo. Facile dire che in Sicilia tutto è mafia, tutto trova spiegazione nelle maglie occulte di Cosa Nostra, nelle sue logiche distorte eppure così precise e ragionate. Quello di Rostagno è un delitto anomalo che appassionerebbe ogni criminologo, che farebbe la fortuna di un giallista che ne sappia trovare il bandolo della matassa. La scena sembra quella di un film: la macchina della vittima che attraversa una strada di campagna dove non ci sono luci, non c’è gente, solo un’amica seduta accanto a lui, mentre stanno ritornando a casa. E’ qualcosa di più di una casa quella dove sono diretti: è una comunità, la Saman, dove centinaia di ragazzi cercano di disfarsi dell’eroina, illuminati da due personalità tanto diverse eppure così vicine e coincidenti: Mauro Rostagno e Francesco Cardella. Mauro è anche un giornalista. Da tempo passa più tempo negli studi televisivi che alla Saman. La sua trasmissione, quotidiana e rigorosamente in diretta, gareggiava con quelle delle Tv nazionali: amata e odiata ma seguitissima, un esempio di controinformazione rigorosa e puntuale. Nomi e cifre, alleanze politiche e affari, inchieste di costume e scandali. Dovunque viveva, Mauro lasciava il segno: a Trento, nel ’68, dove inventa con Renato Curcio l’Università negativa. A Milano dove fonda Macondo un centro sociale ante litteram. A Palermo, dove si fa capo-popolo delle tribù dei miserabili delle periferie promettendogli un riscatto se solo avessero creduto in se stessi. Poi la fuga in India dove diventa un santone, un arancione, cambiando tutto finanche il nome: Sanatano, eterna beatitudine. E poi di nuovo la Sicilia, Trapani, la Saman e l’amicizia con Cardella. E il giornalismo, la sua vecchia passione. In quella provincia, a Trapani, poco illuminata dai riflettori dell’antimafia, da scoprire, da raccontare c’è davvero tanto. Quel 26 settembre Mauro è negli studi televisivi di RTC, la piccola emittente locale di cui è direttore. Scrive un editoriale sull’ennesimo delitto di mafia, l’assassinio del giudice Saetta. Poco prima delle 20 saluta tutti e va via con una ragazza della Saman, Monica Serra. Ma c’è una macchina dietro di lui, una Fiat Uno che non fa nulla per dissimulare l’inseguimento. Sono le otto di sera adesso e Mauro sta correndo, abbandona la provinciale e svolta in una strada di campagna. Una Golf lo attende al varco, mentre l’altra auto lo tallona da vicino. Se in quei momenti, in quella strada polverosa e priva di luce, Rostagno ha avuto paura è stato per un attimo. Perché qualcuno, a piedi, gli fa segno di fermarsi. Qualcuno che forse Mauro conosce. Un omicidio è una questione di attimi. Due colpi di fucile si infrangono sul lunotto posteriore dell’auto e colpiscono il giornalista alla schiena.
Monica Serra si abbassa, accucciandosi sotto il cruscotto. Su Rostagno vengono esplosi altri 4 colpi. Qualcosa però va storto: uno dei fucili esplode nelle mani dei killer. La ragazza sente un auto ripartire e fugge verso la comunità. E’ miracolosamente illesa: il sangue della vittima e i vetri esplosi non la sfiorano neanche. “Non interessavo a nessuno” – racconta a caldo agli inquirenti. E’ un film già visto quello che avviene dopo: sul fondatore di Saman girano subito delle strane voci. Nella sua macchina sarebbero stati trovati soldi, molti soldi, in lire e in dollari. In un rapporto i Carabinieri avanzano pesanti dubbi sull’ attività di giornalista di Mauro: “quando ci sono in ballo interessi economici, le ideologie vengono messe da parte”. Insomma, Rostagno non sarebbe stato così pulito, sapeva con chi scendere a patti. Calunniare e isolare la vittima: è un copione già visto, "mascariare" si dice in siciliano parola propria del comportamento mafioso, "sporcare" la vittima per spostare l'attenzione, strategia consolidata di Cosa Nostra che vive nel sangue e nelle "tragedie". Ma con Rostagno la cosa non riesce ed i suoi sono funerali di popolo, di cittadini comuni innamorati del suo allegro coraggio, una sorta di lutto generazionale a cui partecipano migliaia di ex-ragazzi degli anni ’70. Lontane le istituzioni, l’unico politico di razza che sceglie di esserci è Claudio Martelli. A cui però viene riservata un’accoglienza ostile: gli sventolano davanti banconote e monetine impedendogli di parlare. Quel giorno, nella sua cella, Renato Curcio piange a lungo e promette a se stesso di saldare un debito di verità nei confronti dell’amico più caro e sincero. Ma è anche il lutto dell’unica voce libera del giornalismo a Trapani: la sua trasmissione prosegue, condotta da un pupazzo a cui gli amici fanno da ventriloquo. Le indagini dei Carabinieri accreditano la versione di Monica Serra, facendosi beffe delle testimonianze di due ragazzine che videro la macchina su cui viaggiava Rostagno inseguita da un’altra. Si evita di fare l’esame sugli indumenti della ragazza per capire se veramente si trovava nell’auto al momento degli spari, si evita di fotografare la macchina di Rostagno dal lato del passeggero. Spariscono alcuni appunti di lavoro e dei nastri, video e audio, che il giornalista porta sempre con sé. E quello strano black-out? Una coincidenza, è stata la pioggia dicono gli investigatori. Eppure nei giorni precedenti non era piovuto. A stabilirlo fu Vincenzo Mastrantonio un anonimo tecnico dell’Enel. Otto mesi dopo viene ucciso e ancora tempo dopo, dopo il pentimento di un uomo d'onore di Paceco, Ciccio Milazzo, si scopre che è l’autista di fiducia del capomafia di Trapani, Vincenzo Virga e che Mastrantonio ha una pessima abitudine, raccontare ciò che apprende dal capo mafia. Nonostante tutto, i Carabinieri non credono alla pista mafiosa: uno dei fucili utilizzati nell’agguato esplode e rimane sulla scena del delitto. La mafia non commette errori – si sostiene. Lo conferma anche l'allora capo della procura trapanese, Antonino Coci: “Come si fa a dire che Rostagno è stato ucciso dalla mafia… come si fa a dire che esiste la mafia a Trapani?”. Sono queste le “gravi anomalie investigative che hanno compromesso forse definitivamente l’accertamento della verità” – ha scritto molti anni dopo il giudice palermitano Antonio Ingroia, chiedendo l’archiviazione del caso. Fino al 1990 le indagini producono un solo fermo, quello di un pregiudicato locale la cui posizione viene velocemente archiviata. Nello stesso periodo sotto il mirino delle indagini è la Saman. Finiscono su nastro le lunghe telefonate tra Bettino Craxi e Cardella. E’ una vecchia amicizia che data alla seconda metà degli anni ’70 a Milano, quando Craxi era il delfino di Nenni e Cardella il geniale e sfrontato editore che diventa ricchissimo con il porno: giornali e gadget. Dopo la morte di Rostagno, la posizione della Saman sulla questione delle droghe cambia radicalmente, dalla liberalizzazione alla criminalizzazione. Cardella si accoda alle posizioni craxiane: è reato non solo vendere droga, ma anche consumarla. In quegli anni Saman diventa una holding, si espande all’estero, riceve contributi da enti pubblici e da privati. Ma i nastri delle intercettazioni, quando viene chiusa l’inchiesta, vengono inspiegabilmente cancellati. Quando il procuratore di Trapani Gianfranco Garofalo riesce a riaprire l'indagine non trova nemmeno i brogliacci delle intercettazioni, scopre che mancano foto importanti dell'auto crivellata di colpi. Dopo l'uccisione di Rostagno, il tenore di vita di Cardella diventa se possibile ancora più sfarzoso: continua ad usare la sua amata Bentley, compra uno yacht e degli aerei privati, investe all’estero, sull'isola di Malta. E continua a chiedere giustizia per il suo vecchio amico “ucciso dalla mafia”. Ma era stato proprio Rostagno, all’inizio degli anni ’80, davanti alla conversione al craxismo di molti esponenti di Lotta Continua a chiarire il suo pensiero: “Io non sono in vendita. Consiglio a Martelli di venire a Saman a vedere come funziona l’immaginazione quando diventa concreta. Il <<riformismo moderno>> noi lo abbiamo già attuato”. Sapeva non essere tenero Mauro con i suoi vecchi compagni, ma quando nell’estate del 1988 riceve un mandato di comparizione per l’omicidio del commissario Calabresi, si piazza davanti alla telecamera senza pensarci due volte. Difende con passione non solo Sofri, Bompressi e Pietrostefani ma tutta Lotta Continua e se stesso: “Né individualmente né collettivamente avevamo niente a che fare con quell’episodio. Qualcuno si è fatto delle curiose idee sul mio conto che questa vicenda finisce per mettermi un bavaglio alla bocca. Stiano pure tranquilli, non è così”. Solo oggi è possibile comprendere la profondità criminale del contesto in cui matura il delitto. La commissione Antimafia ha sintetizzato i quattro lati del sistema trapanese: mafia, massoneria, servizi segreti e alta finanza. Il sistema Provenzano è stato inventato in quella provincia da molti anni. Trapani cassaforte di Cosa Nostra ma anche – come recentemente ha detto l’ultimo grande pentito di mafia Nino Giuffré – “lo zoccolo duro da cui rinascere, un punto di incontro tra i Paesi arabi e l'America, un punto di incontro della massoneria e dei Servizi segreti deviati”. Negli anni ’80 a Trapani le logge massoniche sono affollatissime e a inaugurarle ci pensava Licio Gelli. Strani riti: più che gli ideali di fratellanza ricordano quelli dell’onorata società: “Chiesi di accedere alla massoneria per avere l’appoggio alle elezioni – racconta Francesco Canino, un politico locale, ora sotto processo per mafia, - poi mi recai alla loggia Scontrino e mi iniziarono pungendomi il dito con un ago”. In seguito, negò tutto. E’ accertato giudiziariamente che in quelle logge erano di casa i boss trapanesi. Secondo un rapporto dei Carabinieri, Rostagno era venuto a conoscenza di un incontro tra Gelli, alcuni massoni trapanesi e due boss di prima grandezza: Natale L’Ala e Mariano Agate. In questo contesto Mauro doveva davvero apparire un irregolare rimasto fedele ad una convinzione che aveva espresso tanto tempo prima: “Non vogliamo trovare un posto in questa società ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto.” Irregolare, isolato. E’ così che si è trovato a vivere Rostagno gli ultimi mesi di vita. Renato Curcio conosceva quelle difficoltà. All’inizio degli anni ’90 decide di rompere un tabù. In carcere, chiede al capomafia Mariano Agate la sua verità. “Beddu mio, chista cosa vostra è” – risponde gelido il boss. Dal 1995 una nuova inchiesta disegna ulteriori particolari del contesto. Mauro aveva rotto il cordone ombelicale con la Saman, con Cardella, in parte anche con la moglie. Si era scontrato con una dura realtà: alcuni degli ospiti della comunità vendevano eroina. Il clima era molto teso. Rostagno aveva deciso di allontanarsi. Ricompare un fax che Cardella gli aveva inviato: “Sostanzialmente falso, ingeneroso, inopportuno. Pericoloso. Quale segno del mio disappunto nei tuoi confronti ti invito a lasciare la tua stanza al gabbiano ( sede dei responsabili della Saman ndr ).” “Una variabile impazzita” così alcuni ospiti della Saman vedono Rostagno. Quello che i giudici ipotizzano è “un delitto tra amici”: i killer verrebbero dalla Comunità. Come movente una serie di scontri che il giornalista avrebbe avuto: motivi personali, la droga venduta ai ragazzi, l’esclusione di uno degli “affidabili” dalla gestione della sicurezza interna. Ma su tutti spicca il ruolo avuto da Cardella e da Chicca Roveri: il primo non avrebbe mosso un dito per evitare l’omicidio, la seconda avrebbe coperto la verità con un comportamento reticente. E’ il 17 luglio 1996: operazione Codice Rosso. Finiscono tutti dentro: sei appartenenti alla Saman e Chicca, la moglie. Tutti tranne Cardella che si trova all’estero. Lo scandalo è enorme. Ma durerà poco perché il riconoscimento dei supposti killer da parte di una testimone non regge. Tutti gli indagati vengono scarcerati. L’indagine però scardina definitivamente la versione di Monica Serra. Si ridisegna la scena del delitto e si mette in relazione il furto della macchina usata dai killer, avvenuto cinque mesi prima dell’omicidio, con le inchieste che Rostagno conduceva in quel periodo. La sua sorte era segnata da tempo, anche al di là degli scontri con Cardella e con la Saman. E’ una “convergenza di interessi” secondo i magistrati di Palermo dove approda l’inchiesta che a Trapani era stata riaperta. Si inizia a parlare di giganteschi traffici di armi e rifiuti tossici, compaiono oscuri faccendieri e gladiatori in missioni coperte. Un delitto di provincia, l’omicidio di un “irregolare” come Mauro Rostagno diventa una spy story degna di un libro di Ken Follett. Parlano i pentiti di mafia per dire che quel delitto è mafia ma non solo. Riemergono dagli abissi gli ultimi arnesi della guerra fredda. A Trapani ha agito dal 1987 al ‘90 un centro occulto di Gladio: nome in codice Skorpio. Con una missione mai chiarita. Chi era il nemico? La mafia, le mire espansionistiche di Gheddafi o c’era dell’altro? Due le coincidenze inquietanti: negli anni in cui appare Skorpio, succedono strane cose. Le lettere del Corvo, l’omicidio a Palermo di Nino Agostino, un agente che sotto copertura agiva nella provincia trapanese e quello di Giuseppe Insalaco, ex-sindaco del capoluogo appartenente ad una struttura riservata della Presidenza del Consiglio e, infine, l’attentato fallito all'Addaura contro Giovanni Falcone. “Menti raffinatissime”– commentò a caldo il magistrato. Seconda coincidenza: l’unico rapporto è sulla Saman. Skorpion è un pozzo senza fondo che inghiotte e sputa misteri. A comandarla c’è Vincenzo Li Causi, un veterano. Dispone di alcune basi, un aereo ultraleggero e una pista di atterraggio mimetizzata. Quando la base di Gladio chiude, Li Causi va in Somalia. Secondo alcuni incontra Ilaria Alpi. Muore poche settimane, il 12 novembre 1993, in un agguato mai chiarito, mentre in Italia lo aspettavano i giudici. Poco tempo dopo, il 20 marzo 1994, toccherà alla giornalista del TG3. Sembra ormai accertato che Rostagno abbia scoperto qualcosa che avesse a che fare con lo Stato, con quei patti innominabili che solo nelle terre di confine, come la Sicilia, sembrano non finire mai. Negli ultimi mesi di vita riempie decine di fogli su traffici di armi nelle campagne trapanesi, in aeroporti militari in disuso eppure affollatissimi. Registra nastri video e audio dai quali non si separa mai. Nel maggio del 1988 chiede aiuto a qualcuno. E’ un giudice, è Giovanni Falcone. Lo incontra poche settimane prima di morire. Gladio e i misteri trapanesi sono le ultime indagini di Giovanni Falcone, “il primo segreto che alcune figure senza volto cercarono nel computer del giudice, poche ore dopo la morte” – ha scritto il giornalista Salvo Palazzolo. Uno degli ultimi strani personaggi di questa storia partita come un delitto in terra di mafia e diventata qualcos’altro è Francesco Elmo: un oscuro manovale dei servizi in Sicilia. Racconta ai magistrati trapanesi di traffici di armi e rifiuti radioattivi. Una pista invisibile che lega la capitale somala Mogadiscio, con Reggio Calabria e Trapani, un’entità criminale coperta da strutture statali. E’ il traffico scoperto da Ilaria Alpi e prima ancora da Rostagno? L’inchiesta da Trapani viene trasferita ai giudici di Palermo dove una mattina Elmo viene condotto. Quando entra nella stanza del magistrato titolare dell’indagine, prima di sedersi e raccontare la sua versione del contesto in cui trova la morte Rostagno, fa in tempo a squadrare il più stretto collaboratore del giudice. Forse lo riconosce. Forse no. Certo è che decide di alzarsi e di non parlare mai più di Rostagno. Quell’ufficiale, il collaboratore del giudice palermitano, verrà arrestato alcuni anni dopo. L’accusa: concorso esterno in associazione mafiosa. Era una spia. Un delitto infinito quello di Rostagno, l’irregolare.

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