Da L'Opinione del 03/11/2003
Banchieri e misteri
di Gianni Fossati
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A più di vent’anni dalla morte, Roberto Calvi, il banchiere che causò la fine dell’Ambrosiano e fu trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno del 1982 fa ancora discutere. Nel giugno di quest’anno infatti la perizia presentata dai Professori Fabrizio Iecher e Paolo Procacciani ai magistrati di Roma contraddice sostanzialmente l’ipotesi formulata dalla precedente perizia chiesta dal giudice delle indagini preliminari ai Professori Brinkman, Capasso e Lopez secondo la quale Calvi sarebbe stato anestetizzato e strangolato nei pressi di un cantiere vicino al fiume per essere successivamente appeso sotto il ponte dei Black Friars. Secondo la nuova perizia, al contrario il presidente dell’Ambrosiano sarebbe stato portato su di una barca sotto il famoso ponte ancora vigile, come dimostrerebbero gli esami tossicologici eppoi impiccato mediante un cappio passato intorno al collo della vittima. Del resto, la ricostruzione della stessa aggrovigliata e misteriosa vicenda di Roberto Calvi e della sua banca, è stata oggetto di molti autorevoli tentativi di approfondimento che tuttavia non sempre hanno consentito di rileggere in maniera chiara e certa le tappe che portarono dal 27 agosto 1896 con la benedizione del Cardinale Andrea Ferrari, Arcivescovo di Milano, alla fondazione del Banco Ambrosiano. Nonostante una vivace campagna di stampa laica e massonica che manifestava il proprio dissenso, la nuova iniziativa si concretizzava con rogito del notaio Domenico Moretti. Monsignor Domenico Tovini riuscì infatti a convincere più di 150 cattolici osservanti a raccogliere un milione di lire, che costituivano il capitale sociale di avviamento. Egli stesso ne divenne il primo presidente con il motto di “offrire credito senza infrangere i principi etici del cristianesimo” con un rimprovero esplicito alle banche laiche. Il lungo arco temporale trascorso dal 1982 non ha ancora consentito di avere risposte precise su molti lati oscuri dell’Ambrosiano e sull’attentato a Roberto Rosone. Offriamo ai nostri lettori una testimonianza inedita e certamente autorevole incominciata nell’aprile dello scorso anno su un mensile di Mantova da parte di un esponente che di quel periodo e di quelle vicende fu protagonista. Una vita nel Banco nel quale entrò nel 1945 prima di Calvi salendo la gerarchia aziendale sino a diventarne direttore generale e vicepresidente sino al giugno del 1982 quando l’Ambrosiano venne posto sotto gestione commissariale da parte di Banca d’Italia. Rosone vive tutt’ora a Milano ed è ovviamente indelebile nella sua memoria il ricordo di quella tragica mattinata del 27 aprile 1982 quando uscì dalla propria abitazione al quartiere “Isola” posta proprio sopra un’agenzia del Banco che era protetta 24 ore al giorno da guardie armate. Erano da poco passate le 8 e come al solito uscì di casa per raggiungere la vettura di servizio che lo attendeva. Improvvisamente mentre girava l’angolo, sbucò fuori un uomo che lo ferì alle gambe. Il killer era sceso da una moto di grossa cilindrata guidata da un complice. Per fortuna di Rosone una guardia giurata presente aprì il fuoco e uccise il passeggero della motocicletta successivamente identificato nel killer della banda della Magliana Danilo Abbruciati personaggio di spicco vestito con elegante ricercatezza; nelle tasche, oltre alla patente di guida una scatola di fiammiferi con annotato il numero di telefono di Ernesto Diotallevi. Più tardi verrà identificato anche l’altro attentatore: un oscuro malavitoso che riuscì a fuggire, tale Bruno Nieddu.
Perché mai un personaggio di primo piano come Abbruciati si occupò personalmente del tentativo di omicidio nei suoi confronti con un’azione che in queste casi viene generalmente affidata a gregari? Le indagini dopo vent’anni sono approdate a qualche risultato significativo dopo una serie di incriminazioni e di assoluzioni? Lei considera possibile una revisione del processo?
Quando divenni direttore generale del Banco nell’81 mi attivai per verificare l’ambito del settore estero che era nell’occhio del ciclone poiché si trattava di un settore dal quale di fatto ero sempre stato escluso perché di pertinenza dell’amministratore delegato e presidente. Evidentemente queste mie iniziative suscitarono allarme in molti ambienti e in alcune persone particolarmente preoccupate di possibili “scoperte” che avrebbero dovuto rimanere riservate. Per quanto riguarda il mio attentato ho letto recentemente che la DIA ritiene di aver trovato i soldi messi a disposizione per pagare l’attentato mediante un versamento di 5 milioni di dollari su un conto intestato alla società del Gruppo Ambrosiano “Inversionista Dalai” presso il Credit Suisse delle Bahamas. Successivamente il 28 aprile del 1982, il giorno dopo il mio agguato sarebbe stato disposto il trasferimento della stessa somma a un conto intestato a Manuela Kleinszig presso la Union Bank di Lugano e quindi, nel maggio dello stesso anno sarebbe stato disposto un bonifico di 530 mila dollari in favore di Diotallevi. Tuttavia devo ricordare che sia Flavio Carboni che Ernesto Diotallevi sono stati assolti con sentenza definitiva dalla magistratura italiana. Per quanto si riferisce all’ipotesi di una revisione del processo è evidente che io desidero conoscere la verità sia per fugare dubbi atroci che per fare finalmente luce e giustizia. Mi lascia ben sperare la decisione di questi giorni da parte degli inquirenti italiani e inglesi di riaprire l’inchiesta Calvi dalla quale spero potranno emergere fatti conclusivi anche rispetto alla mia vicenda.
Insomma, si tratta di una questione ancora irrisolta. Tuttavia in una telefonata intercettata dopo l’attentato fu proprio lei ad avanzare l’ipotesi che lo stesso fosse riconducibile al mancato finanziamento a favore della società Prato Verde collegata a Flavio Carboni. È ancora di quell’avviso?
Il 20 maggio 1982, sette giorni dopo l’attentato di Mehmet Ali Agca a Giovanni Paolo II il Presidente Calvi venne arrestato e rinchiuso nel carcere di Lodi dove nella notte tra il 9 e il 10 luglio mise in atto un tentativo di suicidio. Nella stessa giornata i clinici Cesare Bartorelli e Giordano Invernizzi, su invito della famiglia stendono una relazione sanitaria dalla quale emerge il quadro di una “grave forma di depressione reattiva con il costante rischio di un peggioramento e del ripetersi di tentativi di suicidio” raccomandando l’immediato ricovero in un ambiente clinico altamente qualificato. Il 20 luglio Calvi fu condannato a quattro anni di reclusione e a una multa di 16 miliardi di lire nonché alla interdizione dai pubblici uffici. I suoi avvocati interposero appello ed egli fu rilasciato su cauzione. Una settimana dopo il suo rilascio, il Consiglio di Amministrazione del Banco lo riconfermò all’unanimità presidente della banca. La Banca d’Italia permise a Calvi di ritornare lasciando un uomo condannato per violazioni bancarie a dirigere una delle banche più grandi del Paese.
Un solo banchiere sollevò delle obiezioni: proprio Lei che in qualità di direttore generale si appellò a Via Nazionale affinché approvasse il trasferimento di Calvi e la sua sostituzione con il precedente presidente Ruggiero Mozzana: Ma tutto ciò inutilmente. Perché?
Dovrebbe rivolgere questa domanda al Governatore della Banca d’Italia dell’epoca e all’allora direttore generale dell’Istituto d’emissione tenuto altresì conto che l’assistente del Presidente Calvi per il settore estero era Guglielmo Zoffoli ex responsabile dell’Ispettorato della Banca d’Italia. Io mi sentii tradito perché in un primo tempo ebbi assicurazioni autorevoli rispetto alla mia proposta ma, inspiegabilmente nessun intervento venne deciso e la situazione purtroppo immutata.
A un certo momento Lei pensò anche di ricorrere a un banchiere non particolarmente amico come il Presidente di Mediobanca?
In quei momenti per di tentare di salvare il Banco, sarei andato in gambe al diavolo. Le confermo quindi che mi recai sia pure senza successo dalle parti di via Mascagni. Purtroppo gli eventi incalzavano così velocemente da vanificare ogni tentativo in questo senso.
Parliamo quindi dei “buchi esteri” del Banco. Si sono scritte molte cose intorno a finanziamenti al Nicaragua del dittatore Somoza attraverso l’Ambrosiano Group di Managua nel 1978 e, soprattutto a Solidarnosc… Cosa ci può dire in proposito?
Di fatto appresi che vi furono operazioni di finanziamento estero non soltanto al dittatore Somoza ma anche al movimento sandinista che guarda caso, mantenne in vita l’operatività del Banco de Managua. Per quanto si riferisce ai presunti finanziamenti polacchi io non ho potuto appurare nulla di concreto al di là di molte illazioni che circolavano in proposito.
E dei finanziamenti all’Argentina cosa ci può dire? Chi scrive incontrò a La Plata il generale Caridi che era stato Capo di Stato Maggiore dell’esercito con il Presidente Raul Alfonsin e non faceva mistero di essere andato alla ricerca dei missili “exocet” che gli occorrevano. Lo fece anche con i soldi dell’Ambrosiano?
Per quanto a mia conoscenza il Banco non finanziò mai direttamente operazioni di questo tipo. In realtà il Banco Andino di cui l’Ambrosiano possedeva il cento per cento del capitale era capofila di un prestito internazionale all’Argentina che tuttavia contribuì soltanto con 500.000 dollari essendo uno dei tanti attori del consorzio in un momento caratterizzato da mancanza di liquidità. Capisco tuttavia che la drammatica conclusione della vicenda umana di Calvi proprio in Gran Bretagna possa prestarsi a interpretazioni esoteriche e suggestive considerando che egli aveva aderito alla massoneria proprio attraverso una loggia inglese. Recentemente un importante quotidiano nazionale ha dato conto di un sacerdote spagnolo, Padre Jesùs Lòpez Sàez responsabile dell’“Associaciòn Comunidad de Ayala” di Madrid, che ha scritto un libro “El dia de la quenta” nel quale ripropone in maniera più documentata la tesi di David Jallop dell’84 (In God’s name) del complotto che sarebbe stato la causa della morte di Papa Luciani. (In realtà Jesus Lopez Saez ha stampato il libro nel giugno dell’anno scorso ma in edizione non venale per uso privato dopo aver passato molti anni a investigare e a raccogliere materiale “interessante” utilizzato in precedenza nel 1990 nel volume “Se pedira cuenta, Muerte y figura de Juan Pablo II). Secondo Lopez il Papa venne assassinato con una fortissima dose di vasodilatatore per impedirgli di rivoluzionare la Curia, destituire il vescovo Marcinkus e riformare la Banca Vaticana. Nel libro in questione vi sono diversi paragrafi dedicati alla sua persona e al suo ruolo all’interno dell’Ambrosiano con particolare riferimento al suo scontro con Marcinkus e ai molti tentativi di offrire all’Ambrosiano protezioni costosissime da parte di personaggi legati alla P 2.
Come valuta questi riferimenti?
Purtroppo non ho letto questo libro che so essere non facile da reperire e mi piacerebbe venire in contatto con l’autore; desidero tuttavia sgombrare il campo dalle ipotesi sostenute nell’opera del sacerdote spagnolo perché per carattere sono scarsamente disponibile a tesi dietrologiche anche se sono pronto a ricredermi sulla base di eventuali elementi concreti. Per quanto mi riguarda posso confermare che sia Pazienza che il generale Musumeci offrirono la propria disponibilità per dare vita a un servizio di sicurezza molto forte ma che io ritenni insostenibile per il Gruppo bancario. Io vidi il vescovo Marcinkus in diverse occasioni ma lo scontro citato riguarda piuttosto i suoi sostituti, diretti collaboratori Mennini e De Strobel. Costoro, di fronte alla mia richiesta di ottenere un rimborso del loro impegno mi opposero una lettera di manleva firmata dal Presidente Calvi che sollevava lo Ior da qualunque onere.
Come valuta il “salvataggio” dell’Ambrosiano?
L’operazione del cosiddetto salvataggio durò lo spazio di un fine-settimana. Il venerdì a mezzogiorno la banca chiuse i battenti e la mattina del lunedì successivo riaprì con la nuova insegna. Soltanto recentemente dopo peripezie inenarrabili sono riuscito a prendere visione del bilancio di liquidazione dell’istituto dal quale emerge che la perdita reale – senza tenere conto dei valori attribuiti nello stesso – si riduce a 200 miliardi di vecchie lire che a mio avviso non giustificano la liquidazione coatta disposta. Inoltre, ancora oggi nessuno ha potuto chiarire dove siano andati a finire molti milioni di dollari.
In questi giorni la grande stampa nazionale ha messo in evidenza i fatti che hanno determinato il rinvio a giudizio di noti personaggi. Tali ricostruzioni riflettono a suo avviso gli eventi di cui è stato protagonista?
Non conosco le carte e quindi non posso avere opinioni precise in proposito. Sono tuttavia sconcertato dal fatto che si parli di operazioni malavitose intese a assaltare il caveau blindato della sede centrale del Banco Ambrosiano a Padova che non è mai esistita in quella città.
Quali pensieri si affacciano alla sua mente quando si trova a passare da Via Clerici dove c’era la sede del Banco?
Il mio ricordo va soprattutto a coloro – e non sono pochi – che a tutti i livelli, impiegati, funzionari, dirigenti avevano operato con intelligenza e passione per far grande l’Ambrosiano e improvvisamente si erano trovati di fronte a una vera e propria catastrofe. Tenga conto che vi fu addirittura chi, come la povera segretaria di presidenza Graziella Corrocher si suicidò non senza aver lasciato un messaggio di disperazione. Anche se può apparire incredibile io non ho più messo piede in quella via da quei giorni drammatici dell’agosto 1982. Ma questo non mi impedisce di ricordare i molti collaboratori che con me hanno operato e dei quali è ancora nitida l’immagine umana e professionale.
Perché mai un personaggio di primo piano come Abbruciati si occupò personalmente del tentativo di omicidio nei suoi confronti con un’azione che in queste casi viene generalmente affidata a gregari? Le indagini dopo vent’anni sono approdate a qualche risultato significativo dopo una serie di incriminazioni e di assoluzioni? Lei considera possibile una revisione del processo?
Quando divenni direttore generale del Banco nell’81 mi attivai per verificare l’ambito del settore estero che era nell’occhio del ciclone poiché si trattava di un settore dal quale di fatto ero sempre stato escluso perché di pertinenza dell’amministratore delegato e presidente. Evidentemente queste mie iniziative suscitarono allarme in molti ambienti e in alcune persone particolarmente preoccupate di possibili “scoperte” che avrebbero dovuto rimanere riservate. Per quanto riguarda il mio attentato ho letto recentemente che la DIA ritiene di aver trovato i soldi messi a disposizione per pagare l’attentato mediante un versamento di 5 milioni di dollari su un conto intestato alla società del Gruppo Ambrosiano “Inversionista Dalai” presso il Credit Suisse delle Bahamas. Successivamente il 28 aprile del 1982, il giorno dopo il mio agguato sarebbe stato disposto il trasferimento della stessa somma a un conto intestato a Manuela Kleinszig presso la Union Bank di Lugano e quindi, nel maggio dello stesso anno sarebbe stato disposto un bonifico di 530 mila dollari in favore di Diotallevi. Tuttavia devo ricordare che sia Flavio Carboni che Ernesto Diotallevi sono stati assolti con sentenza definitiva dalla magistratura italiana. Per quanto si riferisce all’ipotesi di una revisione del processo è evidente che io desidero conoscere la verità sia per fugare dubbi atroci che per fare finalmente luce e giustizia. Mi lascia ben sperare la decisione di questi giorni da parte degli inquirenti italiani e inglesi di riaprire l’inchiesta Calvi dalla quale spero potranno emergere fatti conclusivi anche rispetto alla mia vicenda.
Insomma, si tratta di una questione ancora irrisolta. Tuttavia in una telefonata intercettata dopo l’attentato fu proprio lei ad avanzare l’ipotesi che lo stesso fosse riconducibile al mancato finanziamento a favore della società Prato Verde collegata a Flavio Carboni. È ancora di quell’avviso?
Il 20 maggio 1982, sette giorni dopo l’attentato di Mehmet Ali Agca a Giovanni Paolo II il Presidente Calvi venne arrestato e rinchiuso nel carcere di Lodi dove nella notte tra il 9 e il 10 luglio mise in atto un tentativo di suicidio. Nella stessa giornata i clinici Cesare Bartorelli e Giordano Invernizzi, su invito della famiglia stendono una relazione sanitaria dalla quale emerge il quadro di una “grave forma di depressione reattiva con il costante rischio di un peggioramento e del ripetersi di tentativi di suicidio” raccomandando l’immediato ricovero in un ambiente clinico altamente qualificato. Il 20 luglio Calvi fu condannato a quattro anni di reclusione e a una multa di 16 miliardi di lire nonché alla interdizione dai pubblici uffici. I suoi avvocati interposero appello ed egli fu rilasciato su cauzione. Una settimana dopo il suo rilascio, il Consiglio di Amministrazione del Banco lo riconfermò all’unanimità presidente della banca. La Banca d’Italia permise a Calvi di ritornare lasciando un uomo condannato per violazioni bancarie a dirigere una delle banche più grandi del Paese.
Un solo banchiere sollevò delle obiezioni: proprio Lei che in qualità di direttore generale si appellò a Via Nazionale affinché approvasse il trasferimento di Calvi e la sua sostituzione con il precedente presidente Ruggiero Mozzana: Ma tutto ciò inutilmente. Perché?
Dovrebbe rivolgere questa domanda al Governatore della Banca d’Italia dell’epoca e all’allora direttore generale dell’Istituto d’emissione tenuto altresì conto che l’assistente del Presidente Calvi per il settore estero era Guglielmo Zoffoli ex responsabile dell’Ispettorato della Banca d’Italia. Io mi sentii tradito perché in un primo tempo ebbi assicurazioni autorevoli rispetto alla mia proposta ma, inspiegabilmente nessun intervento venne deciso e la situazione purtroppo immutata.
A un certo momento Lei pensò anche di ricorrere a un banchiere non particolarmente amico come il Presidente di Mediobanca?
In quei momenti per di tentare di salvare il Banco, sarei andato in gambe al diavolo. Le confermo quindi che mi recai sia pure senza successo dalle parti di via Mascagni. Purtroppo gli eventi incalzavano così velocemente da vanificare ogni tentativo in questo senso.
Parliamo quindi dei “buchi esteri” del Banco. Si sono scritte molte cose intorno a finanziamenti al Nicaragua del dittatore Somoza attraverso l’Ambrosiano Group di Managua nel 1978 e, soprattutto a Solidarnosc… Cosa ci può dire in proposito?
Di fatto appresi che vi furono operazioni di finanziamento estero non soltanto al dittatore Somoza ma anche al movimento sandinista che guarda caso, mantenne in vita l’operatività del Banco de Managua. Per quanto si riferisce ai presunti finanziamenti polacchi io non ho potuto appurare nulla di concreto al di là di molte illazioni che circolavano in proposito.
E dei finanziamenti all’Argentina cosa ci può dire? Chi scrive incontrò a La Plata il generale Caridi che era stato Capo di Stato Maggiore dell’esercito con il Presidente Raul Alfonsin e non faceva mistero di essere andato alla ricerca dei missili “exocet” che gli occorrevano. Lo fece anche con i soldi dell’Ambrosiano?
Per quanto a mia conoscenza il Banco non finanziò mai direttamente operazioni di questo tipo. In realtà il Banco Andino di cui l’Ambrosiano possedeva il cento per cento del capitale era capofila di un prestito internazionale all’Argentina che tuttavia contribuì soltanto con 500.000 dollari essendo uno dei tanti attori del consorzio in un momento caratterizzato da mancanza di liquidità. Capisco tuttavia che la drammatica conclusione della vicenda umana di Calvi proprio in Gran Bretagna possa prestarsi a interpretazioni esoteriche e suggestive considerando che egli aveva aderito alla massoneria proprio attraverso una loggia inglese. Recentemente un importante quotidiano nazionale ha dato conto di un sacerdote spagnolo, Padre Jesùs Lòpez Sàez responsabile dell’“Associaciòn Comunidad de Ayala” di Madrid, che ha scritto un libro “El dia de la quenta” nel quale ripropone in maniera più documentata la tesi di David Jallop dell’84 (In God’s name) del complotto che sarebbe stato la causa della morte di Papa Luciani. (In realtà Jesus Lopez Saez ha stampato il libro nel giugno dell’anno scorso ma in edizione non venale per uso privato dopo aver passato molti anni a investigare e a raccogliere materiale “interessante” utilizzato in precedenza nel 1990 nel volume “Se pedira cuenta, Muerte y figura de Juan Pablo II). Secondo Lopez il Papa venne assassinato con una fortissima dose di vasodilatatore per impedirgli di rivoluzionare la Curia, destituire il vescovo Marcinkus e riformare la Banca Vaticana. Nel libro in questione vi sono diversi paragrafi dedicati alla sua persona e al suo ruolo all’interno dell’Ambrosiano con particolare riferimento al suo scontro con Marcinkus e ai molti tentativi di offrire all’Ambrosiano protezioni costosissime da parte di personaggi legati alla P 2.
Come valuta questi riferimenti?
Purtroppo non ho letto questo libro che so essere non facile da reperire e mi piacerebbe venire in contatto con l’autore; desidero tuttavia sgombrare il campo dalle ipotesi sostenute nell’opera del sacerdote spagnolo perché per carattere sono scarsamente disponibile a tesi dietrologiche anche se sono pronto a ricredermi sulla base di eventuali elementi concreti. Per quanto mi riguarda posso confermare che sia Pazienza che il generale Musumeci offrirono la propria disponibilità per dare vita a un servizio di sicurezza molto forte ma che io ritenni insostenibile per il Gruppo bancario. Io vidi il vescovo Marcinkus in diverse occasioni ma lo scontro citato riguarda piuttosto i suoi sostituti, diretti collaboratori Mennini e De Strobel. Costoro, di fronte alla mia richiesta di ottenere un rimborso del loro impegno mi opposero una lettera di manleva firmata dal Presidente Calvi che sollevava lo Ior da qualunque onere.
Come valuta il “salvataggio” dell’Ambrosiano?
L’operazione del cosiddetto salvataggio durò lo spazio di un fine-settimana. Il venerdì a mezzogiorno la banca chiuse i battenti e la mattina del lunedì successivo riaprì con la nuova insegna. Soltanto recentemente dopo peripezie inenarrabili sono riuscito a prendere visione del bilancio di liquidazione dell’istituto dal quale emerge che la perdita reale – senza tenere conto dei valori attribuiti nello stesso – si riduce a 200 miliardi di vecchie lire che a mio avviso non giustificano la liquidazione coatta disposta. Inoltre, ancora oggi nessuno ha potuto chiarire dove siano andati a finire molti milioni di dollari.
In questi giorni la grande stampa nazionale ha messo in evidenza i fatti che hanno determinato il rinvio a giudizio di noti personaggi. Tali ricostruzioni riflettono a suo avviso gli eventi di cui è stato protagonista?
Non conosco le carte e quindi non posso avere opinioni precise in proposito. Sono tuttavia sconcertato dal fatto che si parli di operazioni malavitose intese a assaltare il caveau blindato della sede centrale del Banco Ambrosiano a Padova che non è mai esistita in quella città.
Quali pensieri si affacciano alla sua mente quando si trova a passare da Via Clerici dove c’era la sede del Banco?
Il mio ricordo va soprattutto a coloro – e non sono pochi – che a tutti i livelli, impiegati, funzionari, dirigenti avevano operato con intelligenza e passione per far grande l’Ambrosiano e improvvisamente si erano trovati di fronte a una vera e propria catastrofe. Tenga conto che vi fu addirittura chi, come la povera segretaria di presidenza Graziella Corrocher si suicidò non senza aver lasciato un messaggio di disperazione. Anche se può apparire incredibile io non ho più messo piede in quella via da quei giorni drammatici dell’agosto 1982. Ma questo non mi impedisce di ricordare i molti collaboratori che con me hanno operato e dei quali è ancora nitida l’immagine umana e professionale.
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