Da L'Opinione del 14/12/2003

Le riforme mancate di Giovanni Paolo I: Banca Vaticana e paternità responsabile

La morte misteriosa di Papa Luciani

di Gianni Fossati

Il 29 settembre 1978, dopo soli 33 giorni di pontificato, Giovanni Paolo I venne trovato esanime nel suo letto. Papa Luciani aveva 65 anni e sino allora aveva goduto di buona salute.
Questa la versione ufficiale fornita dal Vaticano: “Verso le cinque e mezzo, il segretario privato del Papa... lo ha trovato morto nel letto con la luce accesa, come se fosse intento a leggere”.
La causa della morte venne fatta risalire a un infarto del miocardio, ma secondo Lei, si tratta di una diagnosi senza fondamento, senza autopsia, almeno ufficiale, e basata su informazioni manipolate. Nei suoi libri, Se pedirá Cuenta (1990), El día de la cuenta (2002), lei ripropone la tesi dello scrittore inglese David Yallop con un libro che è diventato un best-seller nell’84, In God’s name, che lanciò l’idea che Papa Luciani fosse caduto vittima di un complotto ordito da alcuni (prelati o no) preoccupati dalle decisioni che stava per assumere e che avrebbero stravolto la struttura dei vertici della Chiesa.
Perché il Vaticano generò immediatamente sospetti con alcune contraddizioni presenti nelle prime dichiarazioni dei più stretti collaboratori e nei comunicati ufficiali?
I sospetti non sono dovuti solo ad alcune contraddizioni presenti nelle prime dichiarazioni, ma anche alle strane circostanze della morte di Papa Luciani: una diagnosi senza fondamento (infarto acuto al miocardio e, oltretutto, istantaneo), pronunciata da medici che non conoscono Luciani come paziente, senza l’esecuzione di un’autopsia (che ufficialmente non ebbe luogo), dato che Luciani era in buona salute e non aveva avuto precedenti problemi cardiaci; inoltre, il modo in cui si trova il cadavere non corrispondeva al quadro tipico dell’infarto: non vi era stata lotta contro la morte, aveva dei fogli di carta in mano, come se stesse ancora leggendo; una informazione manipolata intorno al ritrovamento del corpo e le circostanze della morte; il silenzio imposto a suor Vincenza, la religiosa che scoprì il cadavere, e altre pressioni esercitate su istituzioni e persone; una paura diffusa a esprimersi sul tema; la segretezza dell’autopsia (ove fu eseguita), secondo la quale il Pontefice sarebbe morto a causa di una dose fortissima di un vasodilatatore; importanti decisioni prese da Giovanni Paolo I di fronte alle oscure attività finanziarie dello IOR e alla loro relazione col Banco Ambrosiano; distorsione della sua figura, come malato non idoneo ad assolvere i doveri della Cattedra di Pietro.
La sera del 28 settembre prima di cena Giovanni Paolo I ebbe uno scontro duro con il Segretario di Stato Card. Villot. In quell’incontro il Pontefice avrebbe presentato uno scenario di grandi cambiamenti chiamando a ricoprire la carica di Segretario di Stato il Card. Benelli e accettando le dimissioni dello stesso Villot. Lei cosa può aggiungere o confermare a questo proposito?
Papa Luciani stava preparando una profonda riforma del Vaticano, aveva un programma di cambiamenti, aveva già preso decisioni importanti. Sono diverse le fonti che lo affermano. Per esempio, il documento della persona di Roma, pubblicato da Camilo Bassotto nel suo libro Il mio cuore è ancora a Venezia. “Si tratta di un documento per certi versi eccezionale anche perché rivela la figura di un pontefice inedita rispetto ad alcuni clichés abituali, pronto e determinato nell’affrontare la responsabilità che gli era stata affidata”, si commenta sulla rivista Humilitas del Centro Papa Luciani (Febbraio 1991). Lo testimonia anche don Germano Pattaro, il sacerdote veneziano che Giovanni Paolo I portò con sé a Roma come consigliere teologico: “Gli appunti che Luciani teneva in mano, morto, erano note circa la conversazione che il Papa aveva avuto con il Segretario di Stato Villot la vigilia della sua morte (non dunque l’Imitazione di Cristo né la serie di altre cose, appunti, omelie, discorsi, etc, indicate dalla Radio Vaticana: troppe cose, ed eterogenee per poter essere tenute strette fra due dita)”.
Don Germano diede in quel momento a Camilo Bassotto una testimonianza fondamentale su Papa Luciani , che aveva manifestato l’intenzione di applicare il Concilio e il Vangelo: “Papa Luciani mi parlava con piena padronanza dei suoi pensieri. Si capiva che li aveva nel cuore. Facevano parte del patrimonio di sapienza che aveva ereditato dal Concilio. Era sulla strada della profezia”.
Don Germano dichiarò anche qualcosa di realmente sorprendente. Giovanni Paolo I già durante i pochi giorni di pontificato sapeva chi sarebbe stato - e per di più a breve - il suo successore: “Sono lo strumento di un disegno di Dio che mi supera e mi trascende. Per quanto tempo, non lo so. Ma non sarà per molto. C’è già colui che prenderà il mio posto. In conclave stava di fronte a me. Paolo VI l’aveva preconizzato quando lo ascoltò nelle meditazioni tenute in Vaticano durante gli esercizi spirituali nella quaresima del ‘77”.
In una singolare dichiarazione all’Ansa nel 1993 il Cardinale Silvio Oddi affermò che Papa Luciani avrebbe potuto essere salvato se non si fosse stati in presenza di un atteggiamento di negligenza poiché la sera prima di morire accusò subito dopo cena una fitta al cuore. Il Cardinale liquidò in ogni caso come inconsistente l’ipotesi di omicidio. Alla luce di queste autorevoli dichiarazioni come spiega il suo convincimento contrario?
“Giovanni Gennari, che fu professore al Seminario Diocesano di Roma, testimonia, ufficiosamente, come un benedettino che lavorava alla Segreteria di Stato lo informasse, lo stesso giorno della morte, dell’avvenuta autopsia. Da questa si potè confermare la presenza di una dose massiccia di un vasodilatatore, che sarebbe stato prescritto il pomeriggio precedente per telefono dal suo medico personale di Venezia, il dottor Da Ros. In realtà io non ho mai creduto che il suo medico gli avesse prescritto un medicinale così controindicato. D’altronde soltanto lui poteva smentire un particolare così determinante che lo riguardava da vicino. Non fu per me una sorpresa apprendere nel 1993, dopo quindici anni di silenzio, la dichiarazione del dottor Da Ros intesa a confermare che Giovanni Paolo I stava bene di salute, e che quel pomeriggio non gli prescrisse alcunché. Egli ricordò che proprio quella sera parlò con il Pontefice che non fece alcun accenno al presunto dolore al petto: “Suor Vincenza non mi parlò di particolari problemi. Mi disse che il Papa aveva trascorso la giornata come era solito”. Parlando per telefono di questo argomento con Camilo Bassotto, ebbe a dirmi: “È incredibile, non si capisce il perché, ma il dolore al petto è una pura invenzione”.
Il 31 d’agosto del 1978, il settimanale economico “Il Mondo” pubblicava una lettera del suo direttore seguita da un articolo molto critico dedicato alle ricchezze del Vaticano che direttamente richiamava la fama di moralizzatore di papa Luciani. La morte del Pontefice rese vano ogni proposito di cambiamento affacciato in questo campo. Nel suo libro Lei sembra collocare questo scenario nel contesto dei possibili moventi. Su quali basi obiettive?
Il 14 maggio 1989 la cosiddetta persona di Roma (a nostro avviso il cardinale Pironio) inviò una relazione a Camilo Bassotto, amico personale di Papa Luciani e testimone principale della fonte veneziana. La relazione non è anonima, ma richiedeva di essere pubblicata senza firma: “Il posto che occupo non me lo consente, almeno per ora” dice il misterioso informatore. Secondo la suddetta relazione, Giovanni Paolo I aveva un programma di cambiamenti, e aveva già preso decisioni importanti, perfino pericolose. Per esempio, far cessare l’affarismo in Vaticano, destituire il presidente dello IOR (il vescovo Marcinkus), far fronte alla massoneria e alla mafia: “La Chiesa non deve avere potere, né deve possedere ricchezze”, “Il presidente dello IOR deve essere sostituito”, “Io ho già patito da vescovo amarezze e offese per fatti legati al denaro; non voglio che ciò si ripeta anche da Papa. La Banca Vaticana deve essere integralmente riformata”, “La massoneria, coperta o scoperta, come la chiamano gli esperti, non è mai morta, è più viva che mai. Come non è mai morta quell’orribile cosa che si chiama mafia. Sono due potenze del male. Dobbiamo porci con coraggio davanti alle loro perverse azioni”, “È un discorso che un giorno affronteremo con più chiarezza davanti a tutti”. Tutto questo si è cercato di nasconderlo. Nonostante abbia una chiara rilevanza storica e giudiziaria.
Dal punto di vista dottrinale Papa Luciani aveva in più occasioni manifestato la sua apertura rispetto alla “paternità responsabile” e all’uso degli anticoncezionali. Qual è il suo pensiero rispetto alla possibilità di iniziative in questo senso?
Il Concilio Vaticano II parlò di paternità responsabile. In questo contesto, certe questioni che avevano bisogno di un’analisi più accurata furono affidate da Paolo VI ad una commissione di esperti. Nella commissione la maggioranza ritenne che il controllo artificiale della natalità avesse la stessa moralità del controllo naturale, a patto che il procedimento non fosse abortivo o non fosse clinicamente controindicato, perché danneggiava la donna o il feto. Orbene, il 25 luglio 1968, Paolo VI pubblicò l’enciclica Humanae Vitae, optando per la posizione minoritaria e accettando solo il controllo naturale. La sorpresa fu grande. Era già controversa la obsoleta biologia aristotelica e medievale, secondo la quale nel seme maschile sarebbe contenuto tutto l’uomo in potenza, mentre la donna rimarrebbe passiva nella procreazione. Oggi sappiamo che il nuovo essere umano comincia con la fecondazione dell’ovulo femminile.
Come è noto, in data 29 luglio 1968, il vescovo Albino Luciani scrisse ai suoi diocesani: “Confesso che - pur non lasciandolo trapelare nello scritto - mi auguravo nel mio intimo che le gravissime difficoltà esistenti potessero venire superate e che la risposta del Maestro che parla con speciali carismi e in nome del Signore, potesse coincidere, almeno in parte, con le speranze concepite da molte coppie dopo che era stata costituita un’apposta Commisione Pontificia per esaminare la questione”.
Del resto, in una conferenza sull’amore coniugale e l’educazione familiare, che il vescovo Luciani aveva tenuto a Mogliano Veneto nel maggio del 1968 e che tutt’ora conservo su nastro, egli terminava dicendo: “Speriamo che il Papa possa dare una parola liberalizzatrice”. È quello che molti aspettavano.
Lei è considerato un irriducibile avversario dell’“Opus Dei”. Può motivarci le ragioni di una posizione così aspra?
L’Opus Dei ha sempre avuto un carattere “preconciliare”. E infatti lo scontro tra l’Opus Dei e il rinnovamento ecclesiale è un dato costante sia nel corso del Concilio sia nel periodo successivo. Il sociologo Alberto Moncada, per un certo tempo affiliato all’Opus, afferma che il Concilio rendeva inquieto Escrivá, il quale pensava che lo stesso diavolo si era installato al Vertice della Chiesa. Lo stile interno dell’organizzazione è totalizzante. Credono di raggiungere la perfezione attraverso la sottomissione totale e l’obbedienza cieca. Non a caso nel 1981 il cardinale Basil Hume intervenne per raccomandare ai responsabili dell’Opus in Gran Bretagna il rispetto per la libertà individuale nell’entrare e nell’uscire dall’organizzazione e la libertà di scelta del proprio direttore spirituale a prescindere o meno della sua appartenenza all’Associazione. Nel mio ultimo libro El día de la cuenta viene affrontato il ruolo dell’Opus nel pontificato wojtyliano. A mio avviso il movimento è stato al servizio dell’involuzione ecclesiale, che oggi viene fatta addirittura passare come modello di rinnovamento Conciliare. Ma una cosa è chiara. I papi che hanno condotto il Concilio - Giovanni XXIII e Paolo VI -, sono stati osteggiati dall’Opus. Giovanni Paolo I aveva anche un atteggiamento molto critico nei suoi confronti. In Spagna lo consideravamo rappresentante di un tipo di cattolicesimo superato dal Concilio, che aveva perso potere con la morte di Franco. Poi è venuto l’aiuto di papa Wojtyla. Ma, come non ricordare che, in Cile, all’apogeo della repressione di Pinochet, il fondatore dell’Opus dichiarò in una conferenza del 1974: “Io vi dico che quel sangue era necessario”.
Nel Febbraio del 2001, Camilo Bassotto, responsabile principale della fonte veneziana di Papa Luciani, mi scriveva quanto segue: “Papa Luciani non avrebbe mai istituita la Prelatura, né tanto meno avrebbe beatificato Escrivá de Balaguer. Non amava l’Opus Dei”. Affermare il contrario “è una menzogna”.

* * *
A pagina 681 del terzo volume della ponderosa “Enciclopedia dei Papi” edita nel 2000 dall’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Giovanni Maria Vian, consulente scientifico della stessa opera così conclude la biografia di Giovanni Paolo I: “Giovanni Paolo I morì nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, quasi certamente per una patologia dell’apparato cardiocircolatorio, in circostanze che non sono state ancora chiarite completamente”.
Padre Jesus Lopez Saez, è nato a Aldeaseca (Avila) nel 1944. È responsabile dell’Associazione Comunità di Ayala di Madrid che promuove il rinnovamento ecclesiastico mediante la creazione di gruppi e comunità.
È ispiratore di altre associazioni affini come la “Fondazione Betesda” che ha come missione il recupero integrale dei disabili fisici e psichici.È laureato in lettere e filosofia, teologia e psicologia. Ha collaborato con il Segretariato Nazionale della Catechesi ed è stato membro del Gruppo Europeo dei Catecumeni dal 1978 al 1986. Nello stesso anno ha collaborato con il Dipartimento della Pastorale della Salute nonché alla Commissione Episcopale della Pastorale.
È considerato un esperto del Pontificato di Papa Luciani cui ha dedicato molti anni di ricerche essendo autore di diverse opere: “La incognita Juan Pablo I” (1985 ), “La Renovación eclesial” (1987), “Se Pedirá Cuenta” (1990).
Ha collaborato anche al “Nuevo Diccionario de Catequética” (1999).

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