Da The New York Times del 16/10/2012
L’autostrada della ’ndrangheta
di Rachel Donadio
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Per molti l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un prodotto del voto di scambio e della criminalità organizzata. Due fattori che hanno contribuito a svuotare le casse dello stato e a isolare la Calabria dal punto di vista geograico ed economico. Inoltre questa autostrada è la dimostrazione di quanto poco i inanziamenti europei abbiano promosso gli investimenti produttivi, che oggi potrebbero aiutare l’Europa meridionale a uscire dalla crisi. “In Italia il cattivo uso dei fondi europei ha favorito la criminalità organizzata”, afferma il giornalista Sergio Rizzo. “Più i fondi europei sono intesi come uno strumento di crescita, più i controlli devono essere severi”, sostiene Giovanni Kessler, direttore dell’uicio dell’Unione europea per la lotta antifrode. “Non bastano la polizia e la magistratura”.
Clientelismo politico
Tra il 2000 e il 2011 l’Italia ha beneiciato di oltre 46 miliardi di euro di inanziamenti da parte dell’Unione europea, per vari settori, compresi l’agricoltura e le infrastrutture. Ma i risultati sono stati scarsi. La Spagna, che pure ha ricevuto 80 miliardi di euro, ha costruito una rete ferroviaria ad alta velocità di ottimo livello. La Grecia, invece, ha ricevuto 39 miliardi di euro (una cifra enorme rispetto al suo reddito pro capite), ma a cosa siano serviti non è chiaro. Armata di
quei inanziamenti, nel 2001 l’Italia ha intrapreso l’ambizioso progetto di costruire un’A3 nuova al posto di quella vecchia, che non aveva una corsia d’emergenza. Da allora sono stati spesi per l’autostrada quasi sette miliardi di euro. Quest’estate, dopo che episodi di corruzione difusa erano stati dimostrati da diversi tribunali italiani, l’Unione europea ha ingiunto all’Italia di dirottare su altri progetti i 388 milioni di euro di fondi europei destinati al tratto autostradale.
Fare un viaggio in auto sull’A3 (la principale arteria stradale in una regione dove non esistono linee ferroviarie ad alta velocità, dove la disoccupazione è prossima al 20 per cento e quella giovanile si aggira intorno al 40 per cento) per molti aspetti è come esplorare il lato oscuro della storia recente del paese, dove l’intreccio tra corruzione e clientelismo politico ha contribuito a fare dell’Italia il secondo paese più indebitato d’Europa dopo la Grecia. Capita così di passare davanti ai brutti palazzi di cemento armato non ancora ultimati di Rosarno, in una zona agricola della Calabria nota soprattutto per le violente rivolte degli immigrati africani scoppiate nel 2010, e poi affacciarsi sul mare di Gioia Tauro, città portuale costruita su un’antica necropoli greca dove le tombe del cimitero sono tenute meglio di molti ediici cittadini.
Siccome il porto non è collegato né a strade né a ferrovie adeguate, i container scaricati dalle grandi navi devono essere trasferiti su imbarcazioni più piccole e la città resta esclusa dal traico commerciale. Il porto di Gioia Tauro è noto alle autorità soprattutto come punto di snodo di buona parte della cocaina che arriva in Europa dal Sudamerica.
Da quando la Salerno-Reggio Calabria è stata inaugurata, ci hanno lucrato tre generazioni di appaltatori, scelti da tre generazioni di politici. Dal 2000 a oggi i magistrati hanno ordinato l’arresto – soprattutto per corruzione ed estorsione – di centinaia di persone coinvolte nei lavori dell’autostrada. Finire la SalernoReggio Calabria vorrebbe dire andare contro la cultura del clientelismo politico. Ma il problema è la ’ndrangheta. “Dove ci sono grandi opere pubbliche, la ’ndrangheta ha grandi interessi da difendere”, dice Roberto Di Palma, il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimaia di Reggio Calabria, titolare delle principali inchieste sui lavori di costruzione dell’A3. Fino a oggi sono stati arrestati con l’accusa di essere legati alla maia tre dei 51 componenti del consiglio regionale della Calabria. Il presidente del consiglio regionale, Giuseppe Scopelliti, ha presentato appello contro la sentenza che lo ha condannato per corruzione ed è stato iscritto nel registro degli indagati con quattro diverse accuse (nessuna delle quali è però legata ai lavori autostradali). Scopelliti, intervistato nel suo uicio a Catanzaro, ha respinto ogni accusa. E quando gli ho chiesto come intendeva rimediare alla disastrosa situazione economica della regione, si è limitato a dire di aver chiesto un miliardo e 700mila euro di inanziamenti a Bruxelles.
Un invito alla corruzione
Per molti aspetti la Calabria è il migliore esempio dell’inadeguatezza dei controlli dell’Unione europea. Spiega Massimo Florio, docente di economia all’università di Milano, la Commissione europea non è come il Fondo monetario internazionale, che può porre condizioni sui prestiti. Questo in Calabria è stato interpretato come un invito alla corruzione. In uno dei tanti processi gli inquirenti hanno presentato una mappa dell’A3 in cui sono rappresentati tutti i cantieri e a ciascuno è aiancato il nome del clan della ’ndrangheta nella cui “giurisdizione” ricade. Grazie alle intercettazioni telefoniche, i magistrati hanno scoperto che almeno una decina di famiglie criminali hanno stretto “accordi” per spartirsi i lavori e le tangenti. Nel processo, in cui 22 persone sono state condannate per associazione di stampo maioso e altri reati, i giudici hanno studiato uno dei sei grandi cantieri dell’A3, quello che si estende su un tratto di 350 chilometri, dimostrando l’esistenza della cosiddetta “regola del 3 per cento”, in base alla quale le ditte subappaltatrici goniavano del 3 per cento le fatture presentate alla pubblica amministrazione e quella diferenza la intascavano i clan. Inoltre hanno documentato il modo in cui i clan inluenzavano la scelta delle ditte. “Il mezzogiorno è una terra di lavori pubblici ininiti perché le opere ultimate non pagano”, osserva il giornalista Aldo Varano, autore di vari libri sulla Calabria. È vero che i lavori rallentano ogni volta che un tribunale condanna una ditta per corruzione. Ma il problema va ben oltre le mazzette, e arriva al cuore dei sistemi politici di gran parte dell’Europa meridionale, dove spesso i politici ofrono opere pubbliche inanziate dallo stato in cambio di voti.
“Il problema è politico”, mi ha infatti spiegato Varano mentre da Reggio Calabria guardavamo la Sicilia al di là dello stretto di Messina. “Un tempo, il mezzogiorno d’Italia era un serbatoio di manodopera. Negli anni settanta le cose sono cambiate ed è diventato un serbatoio di consensi”, dice. Per assicurarsi quei voti i governi “avevano bisogno di spendere i soldi non per investire nello sviluppo, ma per assicurarsi le clientele”. Secondo Autostrade per l’Italia, l’A3 e le altre opere collegate danno lavoro in ogni momento a circa mille operai. Eppure le volte che abbiamo percorso quell’autostrada non ne abbiamo mai visti più di qualche decina. Pochi di loro indossavano il casco protettivo. Secondo l’Anas, i 120 chilometri che mancano saranno conclusi entro la ine del 2013. Quando chiediamo a Sebastiano Wancolle, l’ingegnere dell’Anas incaricato della supervisione, se questa scadenza è realistica, lui inspira profondamente e dice: “È un traguardo impegnativo, non tutto dipende da noi”. L’ingegnere ci accompagna a vedere due viadotti quasi ultimati, sopra un ripido passo montano che domina il mar Tirreno. Poco più avanti, oltrepassiamo il costone da cui si è staccata la valanga di fango che si è abbattuta ull’autostrada nel 2010. “Per fortuna quel giorno nessuno si è fatto male. Era la festa della Madonna di Fatima”, dice. A Roma intervisto Fabrizio Barca, ministro per la coesione territoriale del governo Monti. Secondo Barca i fondi per il mezzogiorno sono stati spesi male per troppo tempo. “Ciò che chiede il sud sono diritti per i suoi cittadini. La qualità dei servizi di base è insuiciente. E in Calabria il problema è particolarmente acuto”. Quando gli chiedo se in quella regione abbia alleati politici, Barca si rabbuia: “Diciamo che il rinnovamento del mezzogiorno non comincerà dalla Calabria”, risponde.
Clientelismo politico
Tra il 2000 e il 2011 l’Italia ha beneiciato di oltre 46 miliardi di euro di inanziamenti da parte dell’Unione europea, per vari settori, compresi l’agricoltura e le infrastrutture. Ma i risultati sono stati scarsi. La Spagna, che pure ha ricevuto 80 miliardi di euro, ha costruito una rete ferroviaria ad alta velocità di ottimo livello. La Grecia, invece, ha ricevuto 39 miliardi di euro (una cifra enorme rispetto al suo reddito pro capite), ma a cosa siano serviti non è chiaro. Armata di
quei inanziamenti, nel 2001 l’Italia ha intrapreso l’ambizioso progetto di costruire un’A3 nuova al posto di quella vecchia, che non aveva una corsia d’emergenza. Da allora sono stati spesi per l’autostrada quasi sette miliardi di euro. Quest’estate, dopo che episodi di corruzione difusa erano stati dimostrati da diversi tribunali italiani, l’Unione europea ha ingiunto all’Italia di dirottare su altri progetti i 388 milioni di euro di fondi europei destinati al tratto autostradale.
Fare un viaggio in auto sull’A3 (la principale arteria stradale in una regione dove non esistono linee ferroviarie ad alta velocità, dove la disoccupazione è prossima al 20 per cento e quella giovanile si aggira intorno al 40 per cento) per molti aspetti è come esplorare il lato oscuro della storia recente del paese, dove l’intreccio tra corruzione e clientelismo politico ha contribuito a fare dell’Italia il secondo paese più indebitato d’Europa dopo la Grecia. Capita così di passare davanti ai brutti palazzi di cemento armato non ancora ultimati di Rosarno, in una zona agricola della Calabria nota soprattutto per le violente rivolte degli immigrati africani scoppiate nel 2010, e poi affacciarsi sul mare di Gioia Tauro, città portuale costruita su un’antica necropoli greca dove le tombe del cimitero sono tenute meglio di molti ediici cittadini.
Siccome il porto non è collegato né a strade né a ferrovie adeguate, i container scaricati dalle grandi navi devono essere trasferiti su imbarcazioni più piccole e la città resta esclusa dal traico commerciale. Il porto di Gioia Tauro è noto alle autorità soprattutto come punto di snodo di buona parte della cocaina che arriva in Europa dal Sudamerica.
Da quando la Salerno-Reggio Calabria è stata inaugurata, ci hanno lucrato tre generazioni di appaltatori, scelti da tre generazioni di politici. Dal 2000 a oggi i magistrati hanno ordinato l’arresto – soprattutto per corruzione ed estorsione – di centinaia di persone coinvolte nei lavori dell’autostrada. Finire la SalernoReggio Calabria vorrebbe dire andare contro la cultura del clientelismo politico. Ma il problema è la ’ndrangheta. “Dove ci sono grandi opere pubbliche, la ’ndrangheta ha grandi interessi da difendere”, dice Roberto Di Palma, il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimaia di Reggio Calabria, titolare delle principali inchieste sui lavori di costruzione dell’A3. Fino a oggi sono stati arrestati con l’accusa di essere legati alla maia tre dei 51 componenti del consiglio regionale della Calabria. Il presidente del consiglio regionale, Giuseppe Scopelliti, ha presentato appello contro la sentenza che lo ha condannato per corruzione ed è stato iscritto nel registro degli indagati con quattro diverse accuse (nessuna delle quali è però legata ai lavori autostradali). Scopelliti, intervistato nel suo uicio a Catanzaro, ha respinto ogni accusa. E quando gli ho chiesto come intendeva rimediare alla disastrosa situazione economica della regione, si è limitato a dire di aver chiesto un miliardo e 700mila euro di inanziamenti a Bruxelles.
Un invito alla corruzione
Per molti aspetti la Calabria è il migliore esempio dell’inadeguatezza dei controlli dell’Unione europea. Spiega Massimo Florio, docente di economia all’università di Milano, la Commissione europea non è come il Fondo monetario internazionale, che può porre condizioni sui prestiti. Questo in Calabria è stato interpretato come un invito alla corruzione. In uno dei tanti processi gli inquirenti hanno presentato una mappa dell’A3 in cui sono rappresentati tutti i cantieri e a ciascuno è aiancato il nome del clan della ’ndrangheta nella cui “giurisdizione” ricade. Grazie alle intercettazioni telefoniche, i magistrati hanno scoperto che almeno una decina di famiglie criminali hanno stretto “accordi” per spartirsi i lavori e le tangenti. Nel processo, in cui 22 persone sono state condannate per associazione di stampo maioso e altri reati, i giudici hanno studiato uno dei sei grandi cantieri dell’A3, quello che si estende su un tratto di 350 chilometri, dimostrando l’esistenza della cosiddetta “regola del 3 per cento”, in base alla quale le ditte subappaltatrici goniavano del 3 per cento le fatture presentate alla pubblica amministrazione e quella diferenza la intascavano i clan. Inoltre hanno documentato il modo in cui i clan inluenzavano la scelta delle ditte. “Il mezzogiorno è una terra di lavori pubblici ininiti perché le opere ultimate non pagano”, osserva il giornalista Aldo Varano, autore di vari libri sulla Calabria. È vero che i lavori rallentano ogni volta che un tribunale condanna una ditta per corruzione. Ma il problema va ben oltre le mazzette, e arriva al cuore dei sistemi politici di gran parte dell’Europa meridionale, dove spesso i politici ofrono opere pubbliche inanziate dallo stato in cambio di voti.
“Il problema è politico”, mi ha infatti spiegato Varano mentre da Reggio Calabria guardavamo la Sicilia al di là dello stretto di Messina. “Un tempo, il mezzogiorno d’Italia era un serbatoio di manodopera. Negli anni settanta le cose sono cambiate ed è diventato un serbatoio di consensi”, dice. Per assicurarsi quei voti i governi “avevano bisogno di spendere i soldi non per investire nello sviluppo, ma per assicurarsi le clientele”. Secondo Autostrade per l’Italia, l’A3 e le altre opere collegate danno lavoro in ogni momento a circa mille operai. Eppure le volte che abbiamo percorso quell’autostrada non ne abbiamo mai visti più di qualche decina. Pochi di loro indossavano il casco protettivo. Secondo l’Anas, i 120 chilometri che mancano saranno conclusi entro la ine del 2013. Quando chiediamo a Sebastiano Wancolle, l’ingegnere dell’Anas incaricato della supervisione, se questa scadenza è realistica, lui inspira profondamente e dice: “È un traguardo impegnativo, non tutto dipende da noi”. L’ingegnere ci accompagna a vedere due viadotti quasi ultimati, sopra un ripido passo montano che domina il mar Tirreno. Poco più avanti, oltrepassiamo il costone da cui si è staccata la valanga di fango che si è abbattuta ull’autostrada nel 2010. “Per fortuna quel giorno nessuno si è fatto male. Era la festa della Madonna di Fatima”, dice. A Roma intervisto Fabrizio Barca, ministro per la coesione territoriale del governo Monti. Secondo Barca i fondi per il mezzogiorno sono stati spesi male per troppo tempo. “Ciò che chiede il sud sono diritti per i suoi cittadini. La qualità dei servizi di base è insuiciente. E in Calabria il problema è particolarmente acuto”. Quando gli chiedo se in quella regione abbia alleati politici, Barca si rabbuia: “Diciamo che il rinnovamento del mezzogiorno non comincerà dalla Calabria”, risponde.
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