L'episodio Viglione - Frezza
Documento aggiornato al 25/02/2004
Proprio negli ultimi giorni immediatamente precedenti l'assassinio dell'onorevole Moro si colloca un preteso tentativo di ottenere un'intervista sulle condizioni di Moro.
Il giornalista Ernesto Viglione sarebbe stato informato, il 5 maggio, da un certo Luigi Salvadori, che uno sconosciuto lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto di trovare un giornalista che facesse pubblicare una intervista con Moro su un giornale straniero. Viglione avrebbe accettato di incontrare il "postino", e questi avrebbe precisato che l'intervista era voluta per ristabilire la verità circa le condizioni di Moro. L'incontro con Moro sarebbe stato deciso per lunedì 8 maggio. Ad un incontro successivo si sarebbe presentata anche un'altra persona che doveva fare da tramite con i brigatisti che tenevano prigioniero Moro. Ma ci sarebbe stato un nuovo rinvio dell'appuntamento. Il martedì 9 maggio veniva trovato il corpo di Aldo Moro.
Successivamente, essendo continuati i contatti con il secondo uomo, questi avrebbe dichiarato che i brigatisti non avevano alcuna intenzione di uccidere Moro, e che il presidente della DC era stato assassinato perché vittima di una congiura ordita da uomini politici, con la complicità di carabinieri e agenti di PS. In sostanza tutti costoro si sarebbero serviti delle BR come copertura.
Viglione informò a questo punto gli onorevoli Flaminio Piccoli e Oscar Luigi Scalfaro: entrambi gli suggerirono di parlare con il generale Dalla Chiesa. Dopo la notizia che l'onorevole Vittorio Cervone aveva sollecitato una inchiesta parlamentare, Viglione avrebbe ricevuto una telefonata dallo sconosciuto che affermava di voler collaborare con l'onorevole Cervone, anzi gli avrebbe fatto registrare un messaggio per lui, nel quale l'uomo ribadiva che l'uccisione di Moro era stata decisa da alcuni uomini politici e da una personalità del Vaticano.
L'onorevole Cervone accettò allora di parlare con lo sconosciuto, e questi gli promise informazioni per fare arrestare i capi delle Brigate Rosse. Vennero avanzate da parte dello sconosciuto (tale Pasquale Frezza) una serie di richieste di denaro per portare avanti l'azione. Viglione stesso chiese al generale Dalla Chiesa la somma di 2 milioni da passare al "brigatista pentito", senza però ottenerla.
Viglione consegnò a Frezza somme in franchi francesi e in lire italiane ottenute dall'onorevole Egidio Carenini. In seguito avrebbe scoperto che Frezza aveva precedenti manicomiali; ma non ritenne di doverne parlare col generale Dalla Chiesa per non screditare quanto in precedenza affermato.
Essendosi proceduto penalmente, i personaggi coinvolti nella vicenda e riconosciuti in Pasquale Frezza, Carlo Pelliccioli, Luigi Salvadori e lo stesso Ernesto Viglione, il 30 giugno 1980 sono stati condannati per reati vari, oltre che per truffa.
L'eloquente vicenda giudiziaria - i cui atti sono stati acquisiti dalla Commissione - ha suggerito la inopportunità di ulteriori approfondimenti.
Il giornalista Ernesto Viglione sarebbe stato informato, il 5 maggio, da un certo Luigi Salvadori, che uno sconosciuto lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto di trovare un giornalista che facesse pubblicare una intervista con Moro su un giornale straniero. Viglione avrebbe accettato di incontrare il "postino", e questi avrebbe precisato che l'intervista era voluta per ristabilire la verità circa le condizioni di Moro. L'incontro con Moro sarebbe stato deciso per lunedì 8 maggio. Ad un incontro successivo si sarebbe presentata anche un'altra persona che doveva fare da tramite con i brigatisti che tenevano prigioniero Moro. Ma ci sarebbe stato un nuovo rinvio dell'appuntamento. Il martedì 9 maggio veniva trovato il corpo di Aldo Moro.
Successivamente, essendo continuati i contatti con il secondo uomo, questi avrebbe dichiarato che i brigatisti non avevano alcuna intenzione di uccidere Moro, e che il presidente della DC era stato assassinato perché vittima di una congiura ordita da uomini politici, con la complicità di carabinieri e agenti di PS. In sostanza tutti costoro si sarebbero serviti delle BR come copertura.
Viglione informò a questo punto gli onorevoli Flaminio Piccoli e Oscar Luigi Scalfaro: entrambi gli suggerirono di parlare con il generale Dalla Chiesa. Dopo la notizia che l'onorevole Vittorio Cervone aveva sollecitato una inchiesta parlamentare, Viglione avrebbe ricevuto una telefonata dallo sconosciuto che affermava di voler collaborare con l'onorevole Cervone, anzi gli avrebbe fatto registrare un messaggio per lui, nel quale l'uomo ribadiva che l'uccisione di Moro era stata decisa da alcuni uomini politici e da una personalità del Vaticano.
L'onorevole Cervone accettò allora di parlare con lo sconosciuto, e questi gli promise informazioni per fare arrestare i capi delle Brigate Rosse. Vennero avanzate da parte dello sconosciuto (tale Pasquale Frezza) una serie di richieste di denaro per portare avanti l'azione. Viglione stesso chiese al generale Dalla Chiesa la somma di 2 milioni da passare al "brigatista pentito", senza però ottenerla.
Viglione consegnò a Frezza somme in franchi francesi e in lire italiane ottenute dall'onorevole Egidio Carenini. In seguito avrebbe scoperto che Frezza aveva precedenti manicomiali; ma non ritenne di doverne parlare col generale Dalla Chiesa per non screditare quanto in precedenza affermato.
Essendosi proceduto penalmente, i personaggi coinvolti nella vicenda e riconosciuti in Pasquale Frezza, Carlo Pelliccioli, Luigi Salvadori e lo stesso Ernesto Viglione, il 30 giugno 1980 sono stati condannati per reati vari, oltre che per truffa.
L'eloquente vicenda giudiziaria - i cui atti sono stati acquisiti dalla Commissione - ha suggerito la inopportunità di ulteriori approfondimenti.