L'attacco alla DC e al Governo di solidarietà nazionale
Documento aggiornato al 25/02/2004
Con il sequestro di Aldo Moro le BR intendevano colpire non solo la Democrazia cristiana, ma anche e soprattutto il progetto politico di cui Moro era in quel momento portatore per il coinvolgimento di tutte le grandi componenti democratiche nella direzione del Paese.
Questo programma, definito dai terroristi imperialista e controrivoluzionario, costituiva l'obiettivo dell'attacco del 16 marzo. Nella risoluzione strategica denominata "campagna di primavera", i terroristi scrivevano: "Il progetto politico di fase che Moro s'era tanto adoperato a costruire aveva un'importanza decisiva per le centrali imperialiste. Il 16 marzo, infatti, nelle intenzioni della borghesia era destinato a segnare l'inizio di un nuovo regime politico nel nostro paese. In quel giorno si usciva da una crisi politica senza precedenti con il progetto di un'intesa di programma tra i cinque maggiori partiti costituzionali".
Più avanti i terroristi, precisando che la parola d'ordine "attaccare il cuore dello Stato" non doveva essere intesa come attacco ad un uomo, ma come attacco al progetto che in un momento storico determinato il sistema politico si dà, scrivevano: "Il progetto politico dell"intesa di programma" si configurava senza alcun dubbio come "cuore dello Stato imperialista". Per questo proprio lì ed in quel preciso momento andava portato l'attacco disarticolante della guerriglia".
Non si trattava di una giustificazione o di una spiegazione a posteriori. Già nel primo comunicato dopo la strage, fatto trovare a Roma il 17 marzo, i terroristi avevano scritto che l'attacco era rivolto contro il progetto politico di cui Moro era portatore in quel momento. Ed in documenti del 1977 avevano preso in esame con puntiglio la situazione politica italiana ed avevano duramente attaccato il III Governo Andreotti, il quale aveva presentato come maggiore novità politica l'astensione del PCI, e che appariva politicamente propedeutico alla fase successiva, quella del IV Governo Andreotti, caratterizzata dal voto favorevole del PCI. La preoccupazione delle BR in quella fase era che ad uno Stato fondato sui "rapporti di clientele" si sostituisse uno Stato fondato "sull'efficientismo di tutte le sue componenti". Ulteriore preoccupazione era che la DC facesse un "salto politico": il III Governo Andreotti rappresentava secondo le BR "il punto più alto della volontà della DC" di effettuare questa svolta della sua tradizionale politica.
Tale affermazione è contenuta in un documento del novembre 1977 tutto dedicato all'analisi della situazione politica italiana. In esso è altresì scritto: "Lo strumento migliore per muoversi in questa direzione (la riforma dello Stato e la sua difesa dal terrorismo) è oggi rappresentato dal famigerato "accordo a sei" tra i partiti politici. Questo accordo rappresenta oggi la migliore garanzia per la costruzione dello Stato di polizia; rappresenta il punto più alto nella creazione del consenso al progetto di ristrutturazione imperialista dello Stato".
Durante i cinquantacinque giorni, il 4 aprile 1978, le BR fecero trovare, insieme al comunicato n. 4, una risoluzione strategica datata febbraio 1978. Scritto alla vigilia della strage e del sequestro, il lungo documento ripeteva la loro solita analisi sulla crisi mondiale dello Stato imperialista delle multinazionali e sulla situazione italiana per poi precisare: "Il principio tattico della guerriglia in questa congiuntura è la disarticolazione delle forze del nemico. Disarticolare le forze del nemico significa portare un attacco il cui obiettivo principale è ancora quello di propagandare la lotta armata e la sua necessità, ma in esso già comincia ad operare anche il principio tattico proprio della fase successiva: la distruzione delle forze del nemico; questo attacco deve propagandare e contemporaneamente disarticolare la nuova forma che lo Stato imperialista va assumendo, deve cioè tendere anche ad inceppare, creare disfunzioni nell'apparato di guerra che la controrivoluzione va approntando". "Compito dell'organizzazione guerrigliera - concludevano su questo punto i terroristi - è di passare da azioni cosiddette dimostrative a quelle che danno al combattimento un inequivocabile significato 'distruttivo della forza nemica' ".
Il quadro è chiaro. Le BR avvertivano che poteva verificarsi una svolta nel sistema politico italiano dopo decenni di sostanziale immobilismo: il progetto politico in corso di attuazione era diretto a modificare le tradizionali alleanze del partito di maggioranza relativa, a riformare lo Stato, a combattere con decisione ed efficienza contro il terrorismo. Il loro ruolo essenzialmente reazionario trovava modo di dispiegarsi con chiarezza; loro obiettivo in questa fase era impedire la svolta, inceppare il processo politico in corso, "distruggere" gli uomini che costituivano il punto di forza del nuovo schieramento che si andava costituendo.
Questa linea è puntualmente riscontrabile nei comunicati fatti pervenire durante il sequestro. Nel primo, che è particolarmente significativo perché contiene anche la rivendicazione della strage e del sequestro, si spiegava che Moro era stato colpito perché dopo De Gasperi era stato il teorico e lo stratega più autorevole della DC, dalla svolta del centro-sinistra all'accordo a sei. Si ribadiva che gli Stati di tipo liberale in Europa si vanno trasformando in Stati imperialisti delle multinazionali (SIM) e si affermava: "Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale; la creazione di un personale politico-economico-militare che lo realizzi. Negli ultimi anni questo personale politico strettamente legato ai circoli imperialisti è emerso in modo egemone in tutti i partiti del cosiddetto "arco costituzionale", ma ha la sua massima concentrazione e il suo punto di riferimento principale nella Democrazia cristiana".
Una puntuale conferma di questi obiettivi è venuta dalle deposizioni rese alla Commissione da Antonio Savasta, Valerio Morucci, Patrizio Peci nonché da Prospero Gallinari davanti alla Corte d'Assise di Roma.
Alla Commissione che gli chiedeva se Moro fosse stato sequestrato ed ucciso perché espressione di una DC nuova, popolare, Savasta ha spiegato, quasi con le stesse parole dei documenti citati: "No. Il Problema di Moro era squisitamente l'attacco al cuore dello Stato, di superare le varie contraddizioni tra le consorterie, cioè lo sviluppo di quello che noi chiamavamo lo Stato imperialista delle multinazionali. Moro come esponente politico al di sopra delle parti, cioè la possibilità realmente della distruzione delle contraddizioni tra quelle che poi saranno chiamate le consorterie all'interno dello Stato e invece l'assunzione dello Stato imperialista. Se fosse stato preso Fanfani, ci saremmo tutti un po' scandalizzati, perché rappresentava per noi quell'altro tipo di Democrazia cristiana... anche Andreotti ... ".
Anche per Morucci, che nelle BR aveva rivestito un ruolo diverso da Savasta, il problema era di colpire insieme l'uomo e il progetto politico: Moro fu colpito perché "per le BR rappresentava l'asse attorno a cui ruotava una possibilità di ridefinizione dell'identità della Democrazia cristiana".
Queste affermazioni sono stata sostanzialmente confermato da Peci, il quale ha riferito che era stato l'esecutivo, insieme alla colonna romana, della quale Savasta faceva parte, a decidere di rapire Moro e non Andreotti.
E Gallinari, in chiusura del dibattimento al processo di Roma, ha ribadito che obiettivo dell'assassinio era il progetto politico che in quella fase seguiva lo statista democristiano.
D'altra parte, evidentemente prescindendo dal merito delle scelte tra le varie potenziali vittime, le organizzazioni terroristiche hanno abitualmente colpito uomini che si erano distinti per fedeltà alla democrazia, uomini appunto che rafforzavano il rapporto tra classe operaia e democrazia politica e che perciò rendevano credibile la scelta della democrazia politica agli occhi della classe operaia. I nomi dell'operaio Guido Rossa, dei magistrati Ernilio Alessandrini, Guido Galli, Girolamo Minervini e Girolamo Tartaglione sono emblematici, anche se non sono i soli, di questo tipo di scelta.
Questo programma, definito dai terroristi imperialista e controrivoluzionario, costituiva l'obiettivo dell'attacco del 16 marzo. Nella risoluzione strategica denominata "campagna di primavera", i terroristi scrivevano: "Il progetto politico di fase che Moro s'era tanto adoperato a costruire aveva un'importanza decisiva per le centrali imperialiste. Il 16 marzo, infatti, nelle intenzioni della borghesia era destinato a segnare l'inizio di un nuovo regime politico nel nostro paese. In quel giorno si usciva da una crisi politica senza precedenti con il progetto di un'intesa di programma tra i cinque maggiori partiti costituzionali".
Più avanti i terroristi, precisando che la parola d'ordine "attaccare il cuore dello Stato" non doveva essere intesa come attacco ad un uomo, ma come attacco al progetto che in un momento storico determinato il sistema politico si dà, scrivevano: "Il progetto politico dell"intesa di programma" si configurava senza alcun dubbio come "cuore dello Stato imperialista". Per questo proprio lì ed in quel preciso momento andava portato l'attacco disarticolante della guerriglia".
Non si trattava di una giustificazione o di una spiegazione a posteriori. Già nel primo comunicato dopo la strage, fatto trovare a Roma il 17 marzo, i terroristi avevano scritto che l'attacco era rivolto contro il progetto politico di cui Moro era portatore in quel momento. Ed in documenti del 1977 avevano preso in esame con puntiglio la situazione politica italiana ed avevano duramente attaccato il III Governo Andreotti, il quale aveva presentato come maggiore novità politica l'astensione del PCI, e che appariva politicamente propedeutico alla fase successiva, quella del IV Governo Andreotti, caratterizzata dal voto favorevole del PCI. La preoccupazione delle BR in quella fase era che ad uno Stato fondato sui "rapporti di clientele" si sostituisse uno Stato fondato "sull'efficientismo di tutte le sue componenti". Ulteriore preoccupazione era che la DC facesse un "salto politico": il III Governo Andreotti rappresentava secondo le BR "il punto più alto della volontà della DC" di effettuare questa svolta della sua tradizionale politica.
Tale affermazione è contenuta in un documento del novembre 1977 tutto dedicato all'analisi della situazione politica italiana. In esso è altresì scritto: "Lo strumento migliore per muoversi in questa direzione (la riforma dello Stato e la sua difesa dal terrorismo) è oggi rappresentato dal famigerato "accordo a sei" tra i partiti politici. Questo accordo rappresenta oggi la migliore garanzia per la costruzione dello Stato di polizia; rappresenta il punto più alto nella creazione del consenso al progetto di ristrutturazione imperialista dello Stato".
Durante i cinquantacinque giorni, il 4 aprile 1978, le BR fecero trovare, insieme al comunicato n. 4, una risoluzione strategica datata febbraio 1978. Scritto alla vigilia della strage e del sequestro, il lungo documento ripeteva la loro solita analisi sulla crisi mondiale dello Stato imperialista delle multinazionali e sulla situazione italiana per poi precisare: "Il principio tattico della guerriglia in questa congiuntura è la disarticolazione delle forze del nemico. Disarticolare le forze del nemico significa portare un attacco il cui obiettivo principale è ancora quello di propagandare la lotta armata e la sua necessità, ma in esso già comincia ad operare anche il principio tattico proprio della fase successiva: la distruzione delle forze del nemico; questo attacco deve propagandare e contemporaneamente disarticolare la nuova forma che lo Stato imperialista va assumendo, deve cioè tendere anche ad inceppare, creare disfunzioni nell'apparato di guerra che la controrivoluzione va approntando". "Compito dell'organizzazione guerrigliera - concludevano su questo punto i terroristi - è di passare da azioni cosiddette dimostrative a quelle che danno al combattimento un inequivocabile significato 'distruttivo della forza nemica' ".
Il quadro è chiaro. Le BR avvertivano che poteva verificarsi una svolta nel sistema politico italiano dopo decenni di sostanziale immobilismo: il progetto politico in corso di attuazione era diretto a modificare le tradizionali alleanze del partito di maggioranza relativa, a riformare lo Stato, a combattere con decisione ed efficienza contro il terrorismo. Il loro ruolo essenzialmente reazionario trovava modo di dispiegarsi con chiarezza; loro obiettivo in questa fase era impedire la svolta, inceppare il processo politico in corso, "distruggere" gli uomini che costituivano il punto di forza del nuovo schieramento che si andava costituendo.
Questa linea è puntualmente riscontrabile nei comunicati fatti pervenire durante il sequestro. Nel primo, che è particolarmente significativo perché contiene anche la rivendicazione della strage e del sequestro, si spiegava che Moro era stato colpito perché dopo De Gasperi era stato il teorico e lo stratega più autorevole della DC, dalla svolta del centro-sinistra all'accordo a sei. Si ribadiva che gli Stati di tipo liberale in Europa si vanno trasformando in Stati imperialisti delle multinazionali (SIM) e si affermava: "Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale; la creazione di un personale politico-economico-militare che lo realizzi. Negli ultimi anni questo personale politico strettamente legato ai circoli imperialisti è emerso in modo egemone in tutti i partiti del cosiddetto "arco costituzionale", ma ha la sua massima concentrazione e il suo punto di riferimento principale nella Democrazia cristiana".
Una puntuale conferma di questi obiettivi è venuta dalle deposizioni rese alla Commissione da Antonio Savasta, Valerio Morucci, Patrizio Peci nonché da Prospero Gallinari davanti alla Corte d'Assise di Roma.
Alla Commissione che gli chiedeva se Moro fosse stato sequestrato ed ucciso perché espressione di una DC nuova, popolare, Savasta ha spiegato, quasi con le stesse parole dei documenti citati: "No. Il Problema di Moro era squisitamente l'attacco al cuore dello Stato, di superare le varie contraddizioni tra le consorterie, cioè lo sviluppo di quello che noi chiamavamo lo Stato imperialista delle multinazionali. Moro come esponente politico al di sopra delle parti, cioè la possibilità realmente della distruzione delle contraddizioni tra quelle che poi saranno chiamate le consorterie all'interno dello Stato e invece l'assunzione dello Stato imperialista. Se fosse stato preso Fanfani, ci saremmo tutti un po' scandalizzati, perché rappresentava per noi quell'altro tipo di Democrazia cristiana... anche Andreotti ... ".
Anche per Morucci, che nelle BR aveva rivestito un ruolo diverso da Savasta, il problema era di colpire insieme l'uomo e il progetto politico: Moro fu colpito perché "per le BR rappresentava l'asse attorno a cui ruotava una possibilità di ridefinizione dell'identità della Democrazia cristiana".
Queste affermazioni sono stata sostanzialmente confermato da Peci, il quale ha riferito che era stato l'esecutivo, insieme alla colonna romana, della quale Savasta faceva parte, a decidere di rapire Moro e non Andreotti.
E Gallinari, in chiusura del dibattimento al processo di Roma, ha ribadito che obiettivo dell'assassinio era il progetto politico che in quella fase seguiva lo statista democristiano.
D'altra parte, evidentemente prescindendo dal merito delle scelte tra le varie potenziali vittime, le organizzazioni terroristiche hanno abitualmente colpito uomini che si erano distinti per fedeltà alla democrazia, uomini appunto che rafforzavano il rapporto tra classe operaia e democrazia politica e che perciò rendevano credibile la scelta della democrazia politica agli occhi della classe operaia. I nomi dell'operaio Guido Rossa, dei magistrati Ernilio Alessandrini, Guido Galli, Girolamo Minervini e Girolamo Tartaglione sono emblematici, anche se non sono i soli, di questo tipo di scelta.