La linea militarista e quella movimentista
Documento aggiornato al 25/02/2004
Le iniziative non portarono a nulla di concreto anche perché non avevano colto il nodo della questione: le BR, pur se profondamente divise, erano sostanzialmente indifferenti ad una liberazione di detenuti che non producesse gli effetti politici da loro voluti, e questo tipo di liberazione non era voluta neanche dai dirigenti socialisti più impegnati nella ricerca dello scambio.
Peraltro l'esistenza della possibilità della liberazione anche di un solo detenuto per fatti di terrorismo o convertitosi al terrorismo durante la reclusione, avrebbe certamente creato difficoltà alle BR perché rafforzava la tesi sostenuta dai terroristi così detti movimentisti. Le BR si sarebbero trovate di fronte alla crescita della richiesta interna di liberare Moro senza aver conseguito l'obiettivo che si erano proposte.
Dai comunicati emerge che la leadership brigatista era oggetto di una serie di critiche interne dalle quali era costretta a difendersi volta per volta. Quasi in ogni comunicato c'è una sorta di non richiesta giustificazione. Nel comunicato n. 2, datato 25 marzo, i terroristi spiegavano di aver condotto "nella più completa autonomia la battaglia per la cattura ed il processo ad Aldo Moro", replicando evidentemente a dubbi interni, ma sollevati anche all'esterno, su equivoci appoggi ricevuti per l'esecuzione dell'attentato. Nel comunicato n. 3 replicavano, a chi sosteneva che l'agguato di via Fani aveva militarizzato eccessivamente lo scontro con lo Stato esponendo le organizzazioni terroristiche ad una inattesa repressione, affermando che la controrivoluzione è la "sostanza dell'imperialismo" e che "non siamo noi a creare la controrivoluzione"; e a chi sosteneva che vi era stato un salto di qualità eccessivo che aveva trovato impreparato il complesso delle forze disposte ad impegnarsi nella lotta armata, replicavano che "è fondamentale realizzare quei salti politici ed organizzativi che la guerra di classe impone". Definivano poi coloro che capeggiavano l'opposizione interna all'area della lotta armata come "intrappolati nella visione legalistica e piccolo borghese della lotta di classe" e "grottesco reggicoda di ogni manovra reazionaria".
Il quarto comunicato - come si è detto - cercava di chiarire il problema della liberazione dei detenuti nella strategia brigatista. Nel quinto comunicato le BR ribadivano che "non bisogna spaventarsi della ferocia repressiva dello Stato e tanto meno fermarsi a contemplare i successi dell'iniziativa rivoluzionaria". Il sesto era interamente dedicato a spiegare che non c'erano "clamorose rivelazioni" nelle risposte di Aldo Moro. Gli ultimi tre comunicati sono tutti incentrati attorno allo scambio con i tredici terroristi.
I tentativi operati da esponenti del PSI di giungere ad uno scambio che non costituisse uno "strappo grave alla legalità", per usare una espressione corsa in quei giorni, colsero quindi le BR in una situazione abbastanza complessa sul fronte interno: c'era il pericolo che le critiche si irrobustissero e che diventasse più duro lo scontro con la linea "movimentista".
Peraltro l'esistenza della possibilità della liberazione anche di un solo detenuto per fatti di terrorismo o convertitosi al terrorismo durante la reclusione, avrebbe certamente creato difficoltà alle BR perché rafforzava la tesi sostenuta dai terroristi così detti movimentisti. Le BR si sarebbero trovate di fronte alla crescita della richiesta interna di liberare Moro senza aver conseguito l'obiettivo che si erano proposte.
Dai comunicati emerge che la leadership brigatista era oggetto di una serie di critiche interne dalle quali era costretta a difendersi volta per volta. Quasi in ogni comunicato c'è una sorta di non richiesta giustificazione. Nel comunicato n. 2, datato 25 marzo, i terroristi spiegavano di aver condotto "nella più completa autonomia la battaglia per la cattura ed il processo ad Aldo Moro", replicando evidentemente a dubbi interni, ma sollevati anche all'esterno, su equivoci appoggi ricevuti per l'esecuzione dell'attentato. Nel comunicato n. 3 replicavano, a chi sosteneva che l'agguato di via Fani aveva militarizzato eccessivamente lo scontro con lo Stato esponendo le organizzazioni terroristiche ad una inattesa repressione, affermando che la controrivoluzione è la "sostanza dell'imperialismo" e che "non siamo noi a creare la controrivoluzione"; e a chi sosteneva che vi era stato un salto di qualità eccessivo che aveva trovato impreparato il complesso delle forze disposte ad impegnarsi nella lotta armata, replicavano che "è fondamentale realizzare quei salti politici ed organizzativi che la guerra di classe impone". Definivano poi coloro che capeggiavano l'opposizione interna all'area della lotta armata come "intrappolati nella visione legalistica e piccolo borghese della lotta di classe" e "grottesco reggicoda di ogni manovra reazionaria".
Il quarto comunicato - come si è detto - cercava di chiarire il problema della liberazione dei detenuti nella strategia brigatista. Nel quinto comunicato le BR ribadivano che "non bisogna spaventarsi della ferocia repressiva dello Stato e tanto meno fermarsi a contemplare i successi dell'iniziativa rivoluzionaria". Il sesto era interamente dedicato a spiegare che non c'erano "clamorose rivelazioni" nelle risposte di Aldo Moro. Gli ultimi tre comunicati sono tutti incentrati attorno allo scambio con i tredici terroristi.
I tentativi operati da esponenti del PSI di giungere ad uno scambio che non costituisse uno "strappo grave alla legalità", per usare una espressione corsa in quei giorni, colsero quindi le BR in una situazione abbastanza complessa sul fronte interno: c'era il pericolo che le critiche si irrobustissero e che diventasse più duro lo scontro con la linea "movimentista".