Le iniziative dell'ultima ora
Documento aggiornato al 25/02/2004
Le Brigate Rosse assassinarono il loro prigioniero il 9 maggio, proprio quando sembrava che si stesse aprendo uno spiraglio alla trattativa.
Qualche esponente socialista aveva lasciato intendere di aver ricevuto assicurazioni che lo scambio uno contro uno poteva condurre alla liberazione di Moro; il Presidente del Senato Amintore Fanfani, tramite il capo gruppo DC al Senato, Giuseppe Bartolomei, aveva larvatamente segnalato una propria disponibilità ad investire la direzione del suo partito del problema dell'autonoma iniziativa. Morucci ha dichiarato alla Commissione che quella notizia venne interpretata come un segnale di maggior disponibilità di una parte della DC: questa infatti aveva annunciato una riunione della propria direzione per il 9 maggio, che avrebbe dovuto pronunciarsi sui problemi posti da chi insisteva a favore di una linea meno intransigente.
"Si scelse il 9 maggio - ha spiegato Morucci alla Commissione perché il 10 non sarebbe stato possibile, - in quanto vi erano stati dei segnali di possibile apertura... non nel senso di prigionieri (della liberazione di terroristi detenuti, n.d.C.) bensì nel senso... della disponibilità a riconoscere l'interlocutore. Vi erano stati infatti segni di questa disponibilità... si può essere ritenuto (dalle BR, n.d.C.)... che la direzione della Democrazia cristiana del 9 maggio avrebbe potuto configurare, in modo più esplicito, quella disponibilità, ma non ad un punto ritenuto sufficiente dall'organizzazione, bensì ad un punto ritenuto sufficiente a rendere ingestibile l'esecuzione: insufficiente per liberare l'ostaggio, ma sufficiente a creare delle difficoltà politiche nella gestione dell'esecuzione". "Come è possibile - ha spiegato lo stesso Morucci - che a quel segnale di apertura (quello che avrebbe potuto dare la direzione DC, n.d.C.), che è quello che tu hai chiesto, rispondi negativamente? Sarebbe stato difficile spiegare il perché e probabilmente, stanti le pressioni... all'interno dell'organizzazione, soprattutto da parte nostra molto pressanti, dato che questa cosa era saputa all'interno di tutta l'organizzazione, si può essere pensato (da parte delle BR, n.d.C.) che quel tipo di apertura, anche minima, che poteva venir fuori dalla direzione della Democrazia cristiana del 9 maggio, avrebbe potuto innescare un livello di discussione,, di ridiscussione della decisione che avrebbe posto dei problemi, soprattutto di carattere politico".
Le BR - ha sostenuto ancora Morucci vollero l'esecuzione perché essa serviva ad imporre la loro egemonia sui vari fronti della lotta armata, serviva a dimostrare che non era più perseguibile "un terreno di lotta legale-illegale, con un confine sempre labile di spostamento, che è quello che ha sempre perseguito il movimento nel suo insieme".
La stessa spiegazione era stata data alla Commissione da Antonio Savasta, che nelle BR aveva una collocazione diversa da quella di Morucci, e da Alfredo Buonavita, che aveva a lungo discusso della questione in carcere con Azzolini.
Perduto lo scontro con il Paese e con lo Stato, le BR miravano almeno a non perdere lo scontro politico che era dentro il mondo dell'eversione. Si trattava di far prevalere l'una o l'altra egemonia nella lotta armata. Lo scontro non è mai stato sulla vita o la morte del prigioniero: è stato prima su quale fosse la strada da perseguire per destabilizzare più a fondo il sistema, e poi su quale progetto di lotta armata dovesse attuarsi in Italia: se dovesse prevalere il progetto più "politico", dell'ala che nelle BR faceva capo a Morucci e che aveva autorevoli sostenitori fuori dell'organizzazione, o se dovesse prevalere il progetto più "militare" delle BR. Perciò i brigatisti, temendo di non poter più reggere alle contraddizioni che si erano già aperte al loro interno, e che avrebbero potuto aggravarsi per effetto delle aperture trattativistiche, accelerarono i tempi ed uccisero il loro prigioniero, lasciandone il corpo a pochi metri dalle sedi della DC e del PCI per ribadire, forse prima ai propri militanti che all'esterno, la coerenza dell'esecuzione con l'ispirazione originaria dell'attentato.
Qualche esponente socialista aveva lasciato intendere di aver ricevuto assicurazioni che lo scambio uno contro uno poteva condurre alla liberazione di Moro; il Presidente del Senato Amintore Fanfani, tramite il capo gruppo DC al Senato, Giuseppe Bartolomei, aveva larvatamente segnalato una propria disponibilità ad investire la direzione del suo partito del problema dell'autonoma iniziativa. Morucci ha dichiarato alla Commissione che quella notizia venne interpretata come un segnale di maggior disponibilità di una parte della DC: questa infatti aveva annunciato una riunione della propria direzione per il 9 maggio, che avrebbe dovuto pronunciarsi sui problemi posti da chi insisteva a favore di una linea meno intransigente.
"Si scelse il 9 maggio - ha spiegato Morucci alla Commissione perché il 10 non sarebbe stato possibile, - in quanto vi erano stati dei segnali di possibile apertura... non nel senso di prigionieri (della liberazione di terroristi detenuti, n.d.C.) bensì nel senso... della disponibilità a riconoscere l'interlocutore. Vi erano stati infatti segni di questa disponibilità... si può essere ritenuto (dalle BR, n.d.C.)... che la direzione della Democrazia cristiana del 9 maggio avrebbe potuto configurare, in modo più esplicito, quella disponibilità, ma non ad un punto ritenuto sufficiente dall'organizzazione, bensì ad un punto ritenuto sufficiente a rendere ingestibile l'esecuzione: insufficiente per liberare l'ostaggio, ma sufficiente a creare delle difficoltà politiche nella gestione dell'esecuzione". "Come è possibile - ha spiegato lo stesso Morucci - che a quel segnale di apertura (quello che avrebbe potuto dare la direzione DC, n.d.C.), che è quello che tu hai chiesto, rispondi negativamente? Sarebbe stato difficile spiegare il perché e probabilmente, stanti le pressioni... all'interno dell'organizzazione, soprattutto da parte nostra molto pressanti, dato che questa cosa era saputa all'interno di tutta l'organizzazione, si può essere pensato (da parte delle BR, n.d.C.) che quel tipo di apertura, anche minima, che poteva venir fuori dalla direzione della Democrazia cristiana del 9 maggio, avrebbe potuto innescare un livello di discussione,, di ridiscussione della decisione che avrebbe posto dei problemi, soprattutto di carattere politico".
Le BR - ha sostenuto ancora Morucci vollero l'esecuzione perché essa serviva ad imporre la loro egemonia sui vari fronti della lotta armata, serviva a dimostrare che non era più perseguibile "un terreno di lotta legale-illegale, con un confine sempre labile di spostamento, che è quello che ha sempre perseguito il movimento nel suo insieme".
La stessa spiegazione era stata data alla Commissione da Antonio Savasta, che nelle BR aveva una collocazione diversa da quella di Morucci, e da Alfredo Buonavita, che aveva a lungo discusso della questione in carcere con Azzolini.
Perduto lo scontro con il Paese e con lo Stato, le BR miravano almeno a non perdere lo scontro politico che era dentro il mondo dell'eversione. Si trattava di far prevalere l'una o l'altra egemonia nella lotta armata. Lo scontro non è mai stato sulla vita o la morte del prigioniero: è stato prima su quale fosse la strada da perseguire per destabilizzare più a fondo il sistema, e poi su quale progetto di lotta armata dovesse attuarsi in Italia: se dovesse prevalere il progetto più "politico", dell'ala che nelle BR faceva capo a Morucci e che aveva autorevoli sostenitori fuori dell'organizzazione, o se dovesse prevalere il progetto più "militare" delle BR. Perciò i brigatisti, temendo di non poter più reggere alle contraddizioni che si erano già aperte al loro interno, e che avrebbero potuto aggravarsi per effetto delle aperture trattativistiche, accelerarono i tempi ed uccisero il loro prigioniero, lasciandone il corpo a pochi metri dalle sedi della DC e del PCI per ribadire, forse prima ai propri militanti che all'esterno, la coerenza dell'esecuzione con l'ispirazione originaria dell'attentato.