Quadro storico-politico
01. Il nodo siciliano
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.
Documento aggiornato al 16/02/2006
l periodo storico '69-'84, oggetto di analisi specifica da parte della Commissione, è chiuso dalla cosiddetta "strage di Natale". Il 23 dicembre 1984 un ordigno di notevole potenza comandato a distanza veniva fatto esplodere in una carrozza di seconda classe del rapido 904, in servizio fra Napoli e Milano, che transitava in galleria in località San Benedetto Val di Sambro. L'esplosione provocò la morte di sedici passeggeri e il ferimento di altri 250. Non si è trattato, a differenza di altre che l'avevano preceduta, di una strage impunita (o almeno totalmente impunita), atteso che quale ideatore e organizzatore della strage è stato condannato, unitamente ad altri tre imputati, il noto mafioso Giuseppe (Pippo) Calò. Tale condanna dei responsabili indusse la Commissione, nella relazione 28 febbraio 1994, a ritenere questo episodio liminare alla propria competenza, considerando quest'ultima funzionalizzata all'accertamento delle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, sicché ne restava estranea una strage i cui responsabili erano stati almeno in parte identificati. Né mancò la Commissione di sottolineare in quella sede che l'accertata matrice mafiosa avrebbe comunque imposto una separata considerazione della strage del "904" per la mancanza di legami sostanziali con le altre che, a partire da piazza Fontana, l'avevano preceduta nel quindicennio considerato. E' un giudizio che la Commissione ritiene di dover riconsiderare nella diversa prospettiva di indagine che ha assunto. Vero è che, pur in tale più ampio angolo visuale, l'accertata matrice mafiosa dell'episodio parrebbe in qualche misura separare la strage del "904" dalle precedenti e configurarla quasi come una anticipazione degli attentati di Roma, Milano e Firenze che hanno segnato l'estate del 1993 ed in ordine ai quali indagini giudiziarie già abbastanza avanzate sembrano su solide basi orientate nell'individuare una responsabilità del vertice mafioso. Parrebbe quindi la "strage di Natale" configurarsi come l'atto iniziale o addirittura il prodromo di una nuova strategia da parte di Cosa Nostra e cioè di un'associazione criminale che nella sua storia sanguinosa, pur non indietreggiando dinanzi all'utilizzazione del mezzo stragista, se ne è prevaletemente avvalsa quale modalità necessaria per colpire obiettivi determinati (chiaro è il riferimento alle stragi poste in essere per eliminare magistrati come Chinnici, Falcone e Borsellino) (1). E tuttavia è la stessa personalità del principale responsabile individuato per la strage del "904", a fornire spunti di rilievo opposto nella prospettiva generale di indagine che la Commissione si è proposta. Risultanze processuali da tempo consolidate (e che hanno ricevuto conferma anche in indagini recenti come quella dell'omicidio del giornalista Pecorelli) consentono, infatti, di individuare uno specifico "ruolo di frontiera" svolto da Giuseppe Calò nell'organizzazione mafiosa. Ed infatti il Calò, già capo mandamento di Porta Nuova e vicino dapprima a Stefano Bontade ma in seguito legato al gruppo emergente dei Corleonesi, si trasferisce e diviene operativo in Roma sin dagli inizi degli anni settanta dove, prevalentemente sotto la falsa identità di Mario Aglialoro, stringe rapporti con la criminalità romama ed in particolare con la banda della Magliana, consentendo alla stessa un salto di qualità e di pericolosità in un intreccio di interessi politici e finanziari che le indagini tendono a rendere sempre più chiaro. Né sfugge sul punto dell'analisi della Commissione come già verso la metà degli anni ottanta (e ciò ancor prima che il ruolo del Calò nella strage del "904" fosse stato accertato) il sedicente Mario Aglialoro fu individuato come un "deus ex machina di torbide vicende e di oscure manovre" nell'ambito di quella che già allora appariva "una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica"; e ciò sulla base di "fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che devono essere individuati e colpiti" (2). E' quindi su tali solide basi che la Commissione attribuisce rilievo all'affermata responsabilità di Pippo Calò per la strage del "904" e cioè nella ragionevole certezza che la emersione della matrice mafiosa nell'ultima delle grandi stragi che chiude il quindicennio 1969-84 offre una pista che conduce in una zona grigia caratterizzata da rapporti incrociati tra mafia, servizi segreti, criminalità politica e comune, il cui ruolo appare ormai innegabile in molte delle vicende anche anteriori al 1984, che hanno caratterizzato il periodo (si pensi ai casi Sindona e Calvi, all'affare Moro, all'omicidio Pecorelli...). Emerge quindi "un nodo siciliano" che lungi dal chiudersi nel contesto periferico della storia dell'isola, merita di essere approfonditamente scandagliato per la sua ben più incidenza nella storia del Paese.
esistenza di un rapporto diretto tra settori politici e istituzionali e il potere mafioso è dato che, sin dalla fase fondativa della Repubblica, può ritenersi evincibile da documentate certezze. Nella relazione di minoranza del Movimento sociale italiano, presentata al termine dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia della VI legislatura, vi sono, sotto forma di allegati, due documenti che appaiono di grande interesse per chiarire la possibile origine di un dialogo con la mafia di settori politici e istituzionali, fondando, sia pure sulla base di una valutazione probabilistica, l'ipotesi che tale dialogo (in forme ora armistiziali, ora più intensamente collusive) sia proseguito nei decenni successivi. Sono due rapporti, con classifica di segretezza, inviati dal console generale degli Stati Uniti a Palermo, Alfred T. Nester, al Segretario di Stato il 21 e il 27 novembre 1944. Iltitolo del primo è "Meeting of Maffia Leaders with General Giuseppe Castellano and formation of group favoring autonomy". Il testo, anch'esso in inglese, dice: "Signore, ho l'onore di informarla che il 18 novembre 1944 il generale Giuseppe Castellano, insieme ai capi della Maffia, presente Calogero Vizzini, si è incontrato con Virgilio Nasi, capo della nota famiglia Nasi di Trapani, e gli ha offerto di assumere la direzione del Movimento per l'autonomia siciliana, appoggiato dalla Maffia (...). Il Movimento è ancora in una fase iniziale di organizzazione, quindi questo mio rapporto non potrà essere completo. Il generale Castello (...) ha stretto contatti con i capimaffia e li ha incontrati in più occasioni. Come già riferito nel mio dispaccio n. 65 del 18 novembre 1944, membri importanti della Maffia si sono incontrati a Palermo, e uno dei risultati di questi incontri è stato di chiedere a Virgilio Nasi di Trapani di mettersi alla testa del Movimento, con l'obiettivo di diventare Alto Commissario per la Sicilia. (...) (3). Il secondo documento, datato, come si è detto, 27 novembre 1944, ha per titolo: "Formation of group favoring Autonomy under direction of Maffia". In esso è ripreso il testo di un rapporto dell'OSS nel quale è detto tra l'altro: "Dopo tre giorni di incontri segreti con esponenti della Maffia a Palermo, il generale Giuseppe Castellano, comandante della divisione Aosta di stanza in Sicilia, ha setso una bozza di accordo sulla scelta e l'appoggio di un candidato come Alto Commissario per sostituire il favorito Salvatore Aldisio, della Democrazia Cristiana. (...). Il candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver esposto il suo piano ai capi dell'alta Maffia durante la settimana. L'incontro tra il generale Castellano e Nasi è avvenuto sabato su una spiaggia fuori mano a Castellammare del Golfo. Erano presenti due luogotenenti di Nasi, l'ex aiutante del generale Castellano in Nord Africa e a Roma, il capitano Vito Guarrasi e l'avvocato Vito Fodera" (4). Sono dati che non hanno soltanto un valore storico chiuso alla fase fondativa della nostra Repubblica (5), ma che assumono rilievo anche alla luce di nuove ipotesi accusatorie formulate dalla magistratura inquirente, con riferimento ad una continuità di relazioni che dirigenti politici e di governo di assoluto rilievo avrebbero stabilito, nel corso dell'ultimo quarantennio, con uomini e ambienti vicini e addirittura organici alla mafia. Dovuta è peraltro l'avvertenza che, nell'assunta prospettiva d'indagine, tali clamorosi episodi, che pur meritano opportuna verifica giudiziaria, assumerebbero, se positivamente verificati, il rilievo non tanto come momenti in cui veniva stretto o confermato un patto collusivo, quanto in realtà come momenti di crisi di un rapporto armistiziale ben più antico; un armistizio che, peraltro, acquista un senso compiuto nel chiarimento delle condizioni storiche che lo hanno determinato e reso possibile, in una situazione internazionale che - già e videnziatasi sul finire del secondo conflitto mondiale - ha poi caratterizzato e permeato di sé l'intera storia successiva. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, è degna di qualche rilievo la dichiarazione a suo tempo rilasciata al settimanale Panorama dall'ex agente della Cia Victor Marchetti: "la Mafia, per sua natura anticomunista è uno degli elementi su cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l'Italia" (6). Visto in questa luce, il rapporto con la mafia appare come un fenomeno funzionale ad un più vasto disegno di diplomazia segreta. Naturalmente non si può dimenticare che la mafia è primariamente un fenomeno criminale, ma è certo che, per comprendere pienamente gli eventuali siciliani e talora nazionali dell'ultimo quarto di secolo, occorre tener presente anche questo aspetto. E' molto verosimile che l'iniziale inglobamento della mafia siculo-americana all'interno del piano strategico di sbarco alleato nel luglio 1943 sia stato poi prolungato nel tempo al fine di conservare un controllo della Sicilia come "ridotto" difensivo finale del Mediterraneo meridionale in caso di offensiva terrestre sovietica. Sul punto e conclusivamente basterà sottolineare la specularità di logica che sembra collegare i ricordati anzidetti documenti del 1944 alla risposta che, secondo un collaborante di giustizia, un uomo di vertice della mafia avrebbe dato ad un referente politico di massimo livello in momento di acuta crisi del supposto rapporto: "In Sicilia comandiamo noi" Se non volete cancellare completamente la Democrazia Cristiana dovete fare come diciamo noi. Altrimenti vi leviamo non solo i voti della Sicilia, ma anche quelli di Reggio Calabria e di tutta l'Italia meridionale. Potete contare solo sui voti del Nord, dove votano turri comunista" (7). E' un episodio quest'ultimo che, giova rammentarlo, necessita ancora di una compiuta verifica in sede giudiziaria, ma che, ove verificato, salderebbe in termini di continuità la prova di un lungo armistizio tra il potere costituito e l'organizzazione mafiosa, chiarendone da un lato le ragioni di reciproca convenienza, inserendolo dall'altro in un quadro ben più ampio di quello siciliano e che travalica, nella sua logica complessiva, gli stessi confini italiani.
esistenza di un rapporto diretto tra settori politici e istituzionali e il potere mafioso è dato che, sin dalla fase fondativa della Repubblica, può ritenersi evincibile da documentate certezze. Nella relazione di minoranza del Movimento sociale italiano, presentata al termine dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia della VI legislatura, vi sono, sotto forma di allegati, due documenti che appaiono di grande interesse per chiarire la possibile origine di un dialogo con la mafia di settori politici e istituzionali, fondando, sia pure sulla base di una valutazione probabilistica, l'ipotesi che tale dialogo (in forme ora armistiziali, ora più intensamente collusive) sia proseguito nei decenni successivi. Sono due rapporti, con classifica di segretezza, inviati dal console generale degli Stati Uniti a Palermo, Alfred T. Nester, al Segretario di Stato il 21 e il 27 novembre 1944. Iltitolo del primo è "Meeting of Maffia Leaders with General Giuseppe Castellano and formation of group favoring autonomy". Il testo, anch'esso in inglese, dice: "Signore, ho l'onore di informarla che il 18 novembre 1944 il generale Giuseppe Castellano, insieme ai capi della Maffia, presente Calogero Vizzini, si è incontrato con Virgilio Nasi, capo della nota famiglia Nasi di Trapani, e gli ha offerto di assumere la direzione del Movimento per l'autonomia siciliana, appoggiato dalla Maffia (...). Il Movimento è ancora in una fase iniziale di organizzazione, quindi questo mio rapporto non potrà essere completo. Il generale Castello (...) ha stretto contatti con i capimaffia e li ha incontrati in più occasioni. Come già riferito nel mio dispaccio n. 65 del 18 novembre 1944, membri importanti della Maffia si sono incontrati a Palermo, e uno dei risultati di questi incontri è stato di chiedere a Virgilio Nasi di Trapani di mettersi alla testa del Movimento, con l'obiettivo di diventare Alto Commissario per la Sicilia. (...) (3). Il secondo documento, datato, come si è detto, 27 novembre 1944, ha per titolo: "Formation of group favoring Autonomy under direction of Maffia". In esso è ripreso il testo di un rapporto dell'OSS nel quale è detto tra l'altro: "Dopo tre giorni di incontri segreti con esponenti della Maffia a Palermo, il generale Giuseppe Castellano, comandante della divisione Aosta di stanza in Sicilia, ha setso una bozza di accordo sulla scelta e l'appoggio di un candidato come Alto Commissario per sostituire il favorito Salvatore Aldisio, della Democrazia Cristiana. (...). Il candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver esposto il suo piano ai capi dell'alta Maffia durante la settimana. L'incontro tra il generale Castellano e Nasi è avvenuto sabato su una spiaggia fuori mano a Castellammare del Golfo. Erano presenti due luogotenenti di Nasi, l'ex aiutante del generale Castellano in Nord Africa e a Roma, il capitano Vito Guarrasi e l'avvocato Vito Fodera" (4). Sono dati che non hanno soltanto un valore storico chiuso alla fase fondativa della nostra Repubblica (5), ma che assumono rilievo anche alla luce di nuove ipotesi accusatorie formulate dalla magistratura inquirente, con riferimento ad una continuità di relazioni che dirigenti politici e di governo di assoluto rilievo avrebbero stabilito, nel corso dell'ultimo quarantennio, con uomini e ambienti vicini e addirittura organici alla mafia. Dovuta è peraltro l'avvertenza che, nell'assunta prospettiva d'indagine, tali clamorosi episodi, che pur meritano opportuna verifica giudiziaria, assumerebbero, se positivamente verificati, il rilievo non tanto come momenti in cui veniva stretto o confermato un patto collusivo, quanto in realtà come momenti di crisi di un rapporto armistiziale ben più antico; un armistizio che, peraltro, acquista un senso compiuto nel chiarimento delle condizioni storiche che lo hanno determinato e reso possibile, in una situazione internazionale che - già e videnziatasi sul finire del secondo conflitto mondiale - ha poi caratterizzato e permeato di sé l'intera storia successiva. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, è degna di qualche rilievo la dichiarazione a suo tempo rilasciata al settimanale Panorama dall'ex agente della Cia Victor Marchetti: "la Mafia, per sua natura anticomunista è uno degli elementi su cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l'Italia" (6). Visto in questa luce, il rapporto con la mafia appare come un fenomeno funzionale ad un più vasto disegno di diplomazia segreta. Naturalmente non si può dimenticare che la mafia è primariamente un fenomeno criminale, ma è certo che, per comprendere pienamente gli eventuali siciliani e talora nazionali dell'ultimo quarto di secolo, occorre tener presente anche questo aspetto. E' molto verosimile che l'iniziale inglobamento della mafia siculo-americana all'interno del piano strategico di sbarco alleato nel luglio 1943 sia stato poi prolungato nel tempo al fine di conservare un controllo della Sicilia come "ridotto" difensivo finale del Mediterraneo meridionale in caso di offensiva terrestre sovietica. Sul punto e conclusivamente basterà sottolineare la specularità di logica che sembra collegare i ricordati anzidetti documenti del 1944 alla risposta che, secondo un collaborante di giustizia, un uomo di vertice della mafia avrebbe dato ad un referente politico di massimo livello in momento di acuta crisi del supposto rapporto: "In Sicilia comandiamo noi" Se non volete cancellare completamente la Democrazia Cristiana dovete fare come diciamo noi. Altrimenti vi leviamo non solo i voti della Sicilia, ma anche quelli di Reggio Calabria e di tutta l'Italia meridionale. Potete contare solo sui voti del Nord, dove votano turri comunista" (7). E' un episodio quest'ultimo che, giova rammentarlo, necessita ancora di una compiuta verifica in sede giudiziaria, ma che, ove verificato, salderebbe in termini di continuità la prova di un lungo armistizio tra il potere costituito e l'organizzazione mafiosa, chiarendone da un lato le ragioni di reciproca convenienza, inserendolo dall'altro in un quadro ben più ampio di quello siciliano e che travalica, nella sua logica complessiva, gli stessi confini italiani.