1. La reazione dei partiti di fronte alla strage di via Fani
Documento aggiornato al 27/12/2004
Con l'agguato di via Fani e il sequestro dell'onorevole Moro si avvertì immediatamente che il terrorismo aveva inteso elevare il livello dell'attacco alle istituzioni, colpendone uno degli uomini più rappresentativi.
L'onorevole Moro non era soltanto il leader della Democrazia cristiana, ma altresì un politico che, per le sue elevate qualità e per la sua attenta sensibilità alle nuove esigenze della società e al dialogo tra i partiti, costitutiva un punto di riferimento al vertice della vita nazionale. Con lui perciò le Brigate Rosse avevano attinto un obiettivo altissimo ed ambizioso al fine di determinare nello Stato democratico una crisi gravissima e distruttiva.
A questo attacco le forze democratiche risposero appunto con l'impegno di difendere lo Stato, escludendo ogni cedimento.
Già nella stessa mattina del 16 marzo, immediatamente dopo la tragica aggressione, i segretari dei partiti di maggioranza (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) e del Partito liberale concordarono con il Presidente del Consiglio un atteggiamento di deciso rigetto di un eventuale tentativo di ricatto da parte delle BR, che il precedente del sequestro Sossi lasciava facilmente prevedere, e che in effetti si delineò di lì a qualche tempo. La decisione presa veniva ribadita nel dibattito parlamentare sulla fiducia, svoltosi e conclusosi nella stessa giornata del 16 marzo, con una procedura rapidissima, concordata proprio al fine di dare immediatamente al Governo la pienezza dei suoi poteri costituzionali e l'autorità necessaria per affrontare la grave situazione.
Questo orientamento veniva confermato l'indomani, in un nuovo vertice tra il Presidente del Consiglio e i segretari dei partiti della maggioranza e, successivamente, il 3 aprile, in un analogo incontro tra rappresentanti del Governo e dei partiti della maggioranza, in vista del dibattito del giorno seguente alla Camera dei deputati, in seguito alla presentazione di interrogazioni e interpellanze. In quel dibattito, come in quello analogo avvenuto al Senato della Repubblica il 19 aprile, risultò che la linea di condotta annunciata dal Governo trovava nel Parlamento un consenso ancora più largo di quello già assicurato dai gruppi della maggioranza, in quanto anche il PDUP e i liberali, pur con motivazioni diverse, confermarono l'adesione alla linea della fermezza.
L'onorevole Moro non era soltanto il leader della Democrazia cristiana, ma altresì un politico che, per le sue elevate qualità e per la sua attenta sensibilità alle nuove esigenze della società e al dialogo tra i partiti, costitutiva un punto di riferimento al vertice della vita nazionale. Con lui perciò le Brigate Rosse avevano attinto un obiettivo altissimo ed ambizioso al fine di determinare nello Stato democratico una crisi gravissima e distruttiva.
A questo attacco le forze democratiche risposero appunto con l'impegno di difendere lo Stato, escludendo ogni cedimento.
Già nella stessa mattina del 16 marzo, immediatamente dopo la tragica aggressione, i segretari dei partiti di maggioranza (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) e del Partito liberale concordarono con il Presidente del Consiglio un atteggiamento di deciso rigetto di un eventuale tentativo di ricatto da parte delle BR, che il precedente del sequestro Sossi lasciava facilmente prevedere, e che in effetti si delineò di lì a qualche tempo. La decisione presa veniva ribadita nel dibattito parlamentare sulla fiducia, svoltosi e conclusosi nella stessa giornata del 16 marzo, con una procedura rapidissima, concordata proprio al fine di dare immediatamente al Governo la pienezza dei suoi poteri costituzionali e l'autorità necessaria per affrontare la grave situazione.
Questo orientamento veniva confermato l'indomani, in un nuovo vertice tra il Presidente del Consiglio e i segretari dei partiti della maggioranza e, successivamente, il 3 aprile, in un analogo incontro tra rappresentanti del Governo e dei partiti della maggioranza, in vista del dibattito del giorno seguente alla Camera dei deputati, in seguito alla presentazione di interrogazioni e interpellanze. In quel dibattito, come in quello analogo avvenuto al Senato della Repubblica il 19 aprile, risultò che la linea di condotta annunciata dal Governo trovava nel Parlamento un consenso ancora più largo di quello già assicurato dai gruppi della maggioranza, in quanto anche il PDUP e i liberali, pur con motivazioni diverse, confermarono l'adesione alla linea della fermezza.