2. L'origine del contrasto
Documento aggiornato al 27/12/2004
Il primo sintomo di quella che doveva poi diventare una notevole divergenza tra le forze politiche circa l'atteggiamento da tenere, dando poi vita ad una polemica ancora non sopita, si manifestò due settimane dopo la strage di via Fani, durante il congresso nazionale del PSI tenutosi a Torino dal 29 marzo al 3 aprile.
Come era naturale, i tragici avvenimenti che in quei giorni scuotevano il Paese ebbero un posto di rilievo nel dibattito congressuale, nel quale trovò anche eco una iniziativa destinata, nei suoi sviluppi, a rompere l'unità di quel che fino a quel momento era apparso un fronte sostanzialmente unito.
L'avvocato Giannino Guiso, militante socialista e difensore di alcuni brigatisti detenuti, aveva infatti dichiarato di essere pronto a far da mediatore tentando di creare, tramite i suoi difesi, che in quei giorni venivano processati proprio a Torino, un canale con le BR al fine di accertare le condizioni alle quali sarebbe stato possibile ottenere la liberazione dell'onorevole Moro.
Il professor Giuliano Vassalli, vecchio amico dell'onorevole Moro, chiedeva perciò all'onorevole Craxi di valutare l'opportunità di incoraggiare un'iniziativa come quella ipotizzata dall'avvocato Guiso. Il segretario del PSI rispondeva favorevolmente ed il congresso, mentre confermava la necessità di un'intransigente lotta al terrorismo, manifestava nello stesso tempo viva sensibilità ad ogni possibile iniziativa atta a salvare l'onorevole Moro.
Nei giorni successivi l'onorevole Craxi, presenti gli onorevoli Maria Magnani Noya e Giuseppe Di Vagno, incontrava l'avvocato Guiso, che confermava di avere la possibilità di conoscere le intenzioni dei sequestratosi dell'onorevole Moro attraverso i suoi assistiti. Con costoro e con Curcio, in effetti, parlò più volte nei giorni successivi in alcuni incontri favoriti dalle autorità carcerarie anche per intervento del generale Dalla Chiesa.
L'avvocato Guiso riferì che i brigatisti detenuti erano pronti ad affrontare le conseguenze di una eventuale uccisione dell'onorevole Moro (ed il riferimento era a quanto avvenuto nella RFT nel carcere di Stemmheim) ma tuttavia ritenevano che si potesse evitare una conclusione cruenta della vicenda. Il caso Moro non si sarebbe però risolto come il caso Sossi, la cui soluzione era stata largamente criticata all'interno dell'organizzazione: era necessaria quindi una contropartita. Si doveva perciò trattare e prendere in considerazione la liberazione di terroristi detenuti. L'avvocato Guiso aggiunse che il principale interlocutore nella trattativa avrebbe potuto essere lo stesso onorevole Moro. "Dialettizzatevi con Moro" gli sarebbe stato raccomandato dai brigatisti interpellati: essi ritenevano, evidentemente, che lo stesso prigioniero si sarebbe potuto rendere, con i suoi messaggi, portatore di indicazioni per la trattativa. L'onorevole Craxi riferiva le valutazioni di Guiso al Governo e alla DC.
Da parte sua l'avvocato Guiso espresse l'opinione che eventuali interventi umanitari, come quello che Amnesty International intendeva svolgere nei confronti dei detenuti nelle carceri di sicurezza, potessero costituire semplicemente una misura integrativa: il problema centrale restava la trattativa con le BR per la scarcerazione di terroristi detenuti. E doveva trattarsi di detenuti di rilievo, tanto che, esaminando con i dirigenti socialisti i nominativi da proporre per eventuali atti di clemenza, Guiso suggerì di prendere in considerazione membri effettivi di gruppi terroristici piuttosto che detenuti meritevoli soltanto sotto il profilo umanitario.
Guiso aggiungeva di essere convinto che il processo all'onorevole Moro si sarebbe concluso rapidamente, perché "i tempi dell'organizzazione non sono gli stessi del mondo politico".
Il 21 aprile l' "Avanti" pubblicava un articolo di fondo nel quale si affermava che vi era l'imperativo di salvare la vita di Moro ma che, nello stesso tempo, lo Stato non poteva rinunciare a far rispettare le leggi della Repubblica. L'articolo continuava affermando: "Non si può porre perciò un problema di scambio di prigionieri che si scontrerebbe, oltre che contro ragioni di principio, anche contro ostacoli insuperabili di carattere tecnico e giuridico. Non si può neppure porre un problema di trattativa formale tra lo Stato ed i rapitori dell'onorevole Moro". Dopo aver affermato che potevano tuttavia esistere margini, sia pure esigui, capaci di consentire, fuori da questi ostacoli insuperabili, di ottenere la liberazione di Moro, l' "Avanti" concludeva affermando che in una società democratica "i principi devono essere al servizio degli uomini, non gli uomini al servizio di principi astratti ".
Lo stesso giorno la Direzione del PSI emetteva un comunicato nel quale si ribadivano i concetti già espressi dall' "Avanti" e si aggiungeva: "Non è il momento delle polemiche che potrebbero investire le responsabilità delle condizioni in cui lo Stato e la società si trovano ad affrontare un rischio sconvolgente, una minaccia eversiva, responsabilità di ordine diverso di forze politiche e di governo, ma non è neppure il momento di dichiarazioni demagogiche. La giustizia per le vittime di ieri e la difesa di chi può essere vittima oggi non sono in contraddizione. Ciò che si può fare o agevolare ai fini della liberazione di Aldo Moro deve essere fatto o agevolato. Non è questione di uno scambio di prigionieri, per il quale non esiste un presupposto di principio e nessuna oggettiva possibilità pratica, ma ora non è neppure accettabile - e per parte nostra non è accettato - una sorta di immobilismo pregiudiziale e assoluto genericamente motivato che porta ad escludere persino la ricerca di ogni ragionevole e legittima possibilità. Tra gli estremi del cedimento al ricatto e del rifiuto pregiudiziale possono esistere altre vie, che in diverse forme, diversi Stati democratico non hanno esitato ad esplorare. Che ciò si faccia nelle drammatiche circostanze che si sono determinate è la ferma richiesta del Partito socialista".
La polemica cominciava così a prendere corpo e andavano delineandosi, via via sempre più nettamente, due diverse posizioni: quella definita della fermezza e quella favorevole alla trattativa.
Come era naturale, i tragici avvenimenti che in quei giorni scuotevano il Paese ebbero un posto di rilievo nel dibattito congressuale, nel quale trovò anche eco una iniziativa destinata, nei suoi sviluppi, a rompere l'unità di quel che fino a quel momento era apparso un fronte sostanzialmente unito.
L'avvocato Giannino Guiso, militante socialista e difensore di alcuni brigatisti detenuti, aveva infatti dichiarato di essere pronto a far da mediatore tentando di creare, tramite i suoi difesi, che in quei giorni venivano processati proprio a Torino, un canale con le BR al fine di accertare le condizioni alle quali sarebbe stato possibile ottenere la liberazione dell'onorevole Moro.
Il professor Giuliano Vassalli, vecchio amico dell'onorevole Moro, chiedeva perciò all'onorevole Craxi di valutare l'opportunità di incoraggiare un'iniziativa come quella ipotizzata dall'avvocato Guiso. Il segretario del PSI rispondeva favorevolmente ed il congresso, mentre confermava la necessità di un'intransigente lotta al terrorismo, manifestava nello stesso tempo viva sensibilità ad ogni possibile iniziativa atta a salvare l'onorevole Moro.
Nei giorni successivi l'onorevole Craxi, presenti gli onorevoli Maria Magnani Noya e Giuseppe Di Vagno, incontrava l'avvocato Guiso, che confermava di avere la possibilità di conoscere le intenzioni dei sequestratosi dell'onorevole Moro attraverso i suoi assistiti. Con costoro e con Curcio, in effetti, parlò più volte nei giorni successivi in alcuni incontri favoriti dalle autorità carcerarie anche per intervento del generale Dalla Chiesa.
L'avvocato Guiso riferì che i brigatisti detenuti erano pronti ad affrontare le conseguenze di una eventuale uccisione dell'onorevole Moro (ed il riferimento era a quanto avvenuto nella RFT nel carcere di Stemmheim) ma tuttavia ritenevano che si potesse evitare una conclusione cruenta della vicenda. Il caso Moro non si sarebbe però risolto come il caso Sossi, la cui soluzione era stata largamente criticata all'interno dell'organizzazione: era necessaria quindi una contropartita. Si doveva perciò trattare e prendere in considerazione la liberazione di terroristi detenuti. L'avvocato Guiso aggiunse che il principale interlocutore nella trattativa avrebbe potuto essere lo stesso onorevole Moro. "Dialettizzatevi con Moro" gli sarebbe stato raccomandato dai brigatisti interpellati: essi ritenevano, evidentemente, che lo stesso prigioniero si sarebbe potuto rendere, con i suoi messaggi, portatore di indicazioni per la trattativa. L'onorevole Craxi riferiva le valutazioni di Guiso al Governo e alla DC.
Da parte sua l'avvocato Guiso espresse l'opinione che eventuali interventi umanitari, come quello che Amnesty International intendeva svolgere nei confronti dei detenuti nelle carceri di sicurezza, potessero costituire semplicemente una misura integrativa: il problema centrale restava la trattativa con le BR per la scarcerazione di terroristi detenuti. E doveva trattarsi di detenuti di rilievo, tanto che, esaminando con i dirigenti socialisti i nominativi da proporre per eventuali atti di clemenza, Guiso suggerì di prendere in considerazione membri effettivi di gruppi terroristici piuttosto che detenuti meritevoli soltanto sotto il profilo umanitario.
Guiso aggiungeva di essere convinto che il processo all'onorevole Moro si sarebbe concluso rapidamente, perché "i tempi dell'organizzazione non sono gli stessi del mondo politico".
Il 21 aprile l' "Avanti" pubblicava un articolo di fondo nel quale si affermava che vi era l'imperativo di salvare la vita di Moro ma che, nello stesso tempo, lo Stato non poteva rinunciare a far rispettare le leggi della Repubblica. L'articolo continuava affermando: "Non si può porre perciò un problema di scambio di prigionieri che si scontrerebbe, oltre che contro ragioni di principio, anche contro ostacoli insuperabili di carattere tecnico e giuridico. Non si può neppure porre un problema di trattativa formale tra lo Stato ed i rapitori dell'onorevole Moro". Dopo aver affermato che potevano tuttavia esistere margini, sia pure esigui, capaci di consentire, fuori da questi ostacoli insuperabili, di ottenere la liberazione di Moro, l' "Avanti" concludeva affermando che in una società democratica "i principi devono essere al servizio degli uomini, non gli uomini al servizio di principi astratti ".
Lo stesso giorno la Direzione del PSI emetteva un comunicato nel quale si ribadivano i concetti già espressi dall' "Avanti" e si aggiungeva: "Non è il momento delle polemiche che potrebbero investire le responsabilità delle condizioni in cui lo Stato e la società si trovano ad affrontare un rischio sconvolgente, una minaccia eversiva, responsabilità di ordine diverso di forze politiche e di governo, ma non è neppure il momento di dichiarazioni demagogiche. La giustizia per le vittime di ieri e la difesa di chi può essere vittima oggi non sono in contraddizione. Ciò che si può fare o agevolare ai fini della liberazione di Aldo Moro deve essere fatto o agevolato. Non è questione di uno scambio di prigionieri, per il quale non esiste un presupposto di principio e nessuna oggettiva possibilità pratica, ma ora non è neppure accettabile - e per parte nostra non è accettato - una sorta di immobilismo pregiudiziale e assoluto genericamente motivato che porta ad escludere persino la ricerca di ogni ragionevole e legittima possibilità. Tra gli estremi del cedimento al ricatto e del rifiuto pregiudiziale possono esistere altre vie, che in diverse forme, diversi Stati democratico non hanno esitato ad esplorare. Che ciò si faccia nelle drammatiche circostanze che si sono determinate è la ferma richiesta del Partito socialista".
La polemica cominciava così a prendere corpo e andavano delineandosi, via via sempre più nettamente, due diverse posizioni: quella definita della fermezza e quella favorevole alla trattativa.