06. Moro vale più di una "astrazione".

Commissione Parlamentare - Relazione Minoranza MSI

Il tramonto delle ideologie e l'arte della mediazione di Aldo Moro. Il sessantotto come reazione rabbiosa dell'utopia rivoluzionaria contro i partiti che hanno ucciso tutte le certezze.

Documento aggiornato il 04/01/2005
Ma c'è qualcosa di più e di peggio. La loro febbre intellettuale che generò il terrorismo ora la vedono tutta concentrata nelle gabbie che racchiudono i terroristi. Pagano solo questi ultimi. Anche per tutti coloro che nei folli anni settanta, o hanno lasciato fare, massacrando le Istituzioni (in testa i Servizi e la Polizia, allora sputacchiata e disprezzata), o hanno alimentato, con il malgoverno, dei pericolosi stati confusionali di indignazione popolare. 0 peggio hanno scritto e urlato: "a morte!".
La funzione di Moro è stata quella di portare sino alle estreme conseguenze logiche il teorema dello spappolamento dello Stato nazionale unitario (Moro chiedeva, per salvarsi, uno scambio di prigionieri tra lo Stato e le BR) con il risultato di dimostrarne l'assurdo e di morirci abbandonato dal partito, che pure di questa teorizzazione aveva largamente approfittato allargando il proprio potere per decenni.
La domanda di Moro: come è possibile accettare questo rigore, questa fermezza, in un paese scombinato come l'Italia? "Con quale senso di giustizia... lo Stato con la sua inerzia, il suo lassismo, con la sua mancanza di senso storico consente che per una libertà che si intenda negare si accetti e, si dia come scontata la più grave e irrecuperabile pena di morte?" (24 aprile 1978 a Zaccagnini). "Possibile che siate tutti d'accordo nel volere la mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce?" (I lettera a Zaccagnini): "Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità... è inammissibile" (lettera a Cossiga). In altri termini Moro chiede pressantemente di considerare che la sua vita non può essere sacrificata di fronte a una astrazione, lo Stato, che non ha alcun peso, che non ha neppure da salvare la faccia perché l'ha già perduta non avendo impedito il "rapimento di un'alta personalità che significa qualcosa nella vita dello Stato" (lettera a Cossiga). In definitiva: conta più Aldo Moro o questa astrazione che chiamate "ragion di Stato"?
Moro è lucido e coerente. IL l'uomo del Rinascimento che si colloca sopra ogni cosa e sopra ogni astrazione. Caso mai come la DC si identifica con Moro, lo Stato stesso è Moro. Ma ora, con Moro prigioniero, e con la DC legata al PCI senza Aldo Moro le parti si invertono e Moro cade nella ragnatela che ha pazientemente ideato e tessuto. Si è detto: Moro, l'uomo delle preziosità e tortuosità verbali. Vediamo ora da che cosa era dettata la sua "solitudine", il suo consapevole scetticismo. I compromessi degli altri, i suoi compromessi. In che cosa divergono?
I compromessi a cui gli altri si adattavano erano (e sono) dettati da semplici esigenze di potere. Vengono degradati ad intrallazzo e chi li realizza vi lascia brandelli della propria coscienza.
L'obiettivo dei dorotei, quando nel gennaio 1959 portano Moro alla Segreteria del partito, spezzando la prassi che voleva nelle stesse mani partito e Governo (De Gasperi e Fanfani), non è quello di contrapporsi e reagire allo spappolamento permissivo della società, e dello Stato, quanto piuttosto di galleggiarvi sopra, inventando nuovi modi di fare politica, diversi dalla tradizione dello Stato risorgimentale apparentemente destinata a perdersi.
I compromessi di Moro hanno diverso spessore, diversa lucidità, rappresentano l'abbandono di cose ormai finite, ormai indifendibili. Moro, lucidamente, capisce che siamo al tramonto di tutte le "fedi", e non solo di quella cristiana, ma anche di quelle laiche, in testa socialismo e comunismo.
Di qui la sua disinvoltura come manovratore di "aperture", prima verso i socialisti, ed in seguito verso i comunisti, quando cominciò a capire che anche questi ultimi, dietro un marxismo-leninismo di facciata e salottiero, si apprestavano a diventare un partito come gli altri.
La propensione a gettare ponti sulle macerie delle vecchie tensioni ideali gli è stata fatale, facendo proprio di lui la più illustre vittima dei colpi di coda del fanatismo ideologico.
Il tramonto delle ideologie, su cui Aldo Moro aveva fondato la sua abilità di mediatore politico, provoca, a partire dal 1968 delle reazioni rabbiose. Il sessantotto è stata la controffensiva dell'utopia rivoluzionaria contro il pragmatismo dei partiti divenuti scettici e cinici. Una controffensiva giocata sulla pelle dello Stato, che la reazione utopistico credeva ancora centro di potere, mentre questo si andava spostando in una serie di sedi extracostituzionali (le segreterie dei partiti, dei sindacati, i vertici delle banche, delle grandi industrie, degli enti) dalle quali si assisteva impassibili alla derisione della Polizia, alla smobilitazione dei servizi segreti, al caos delle carceri e della magistratura, allo sfacelo delle strutture scolastiche e universitarie.
La domanda è d'obbligo: Aldo Moro, insieme ad altri, non è forse l'apprendista stregone di una macchina che poi gli si volterà contro, fino a farlo morire?
La risposta è cruda, ce ne rendiamo conto, ma per noi è affermativa: Aldo Moro, non solo è vittima della ferocia delle BR, ma è anche vittima di tutta una situazione da lui stesso scientemente preparata assieme a tutta la classe politica di vertice dell'Italia repubblicana.
Quando la polemica scoppia, vivacissima, in seguito alle dichiarazioni di Tina Anselmi, Presidente della Commissione di inchiesta sulla P.2, per cui sarebbero stati i Servizi di informazione, nella loro inefficienza, "ad assassinare Moro", noi possiamo anche concordare, purché si precisino le responsabilità di tutti.
Che dire infatti, delle vicende del luglio-agosto 1974, quando ministro della Difesa Andreotti, quest'ultimo, per stornare da sé il dramma del crack Sindona, non esita a buttare allo sbaraglio i Servizi, già debilitati da precedenti vicende, gettando le premesse di quel "rinnovamento", o meglio "rigenerazione" dei Servizi stessi, per cui si vedranno i senatori Pecchioli e Boldrini, concordare, con i vertici più chiacchierati, e perfino condannati per la strage di Piazza Fontana, le nomine militari; "nomine" che puntualmente poi abbiamo trovato negli elenchi della P2?
(Panorama, 14 settembre 1981, sotto il titolo "Boldrini: tutto alla luce del sole"):
"Durante la guerra è stato un leggendario capo partigiano con il nome di Bulow. Da 33 anni, come parlamentare del PCI, fa parte della commissione Difesa. Nel 1974 è stato l'artefice del nuovo corso comunista nei riguardi delle Forze armate. Arrigo Boldrini viene anche definito il "ministro della Difesa" del PCI. A lui Panorama ha chiesto di parlare della svolta del '74 e dei rapporti con i servizi segreti.
Domanda. Come si arrivò alla svolta?
Risposta. Bisognava rispondere ad anni di immobilismo dei governi di centro-sinistra nella politica militare. Nelle Forze armate c'erano già elementi di rinnovamento. Era urgente isolare i gruppi più reazionari.,
D.Come risposero i militari?
R.Basta guardare i risultati: oggi il Parlamento ha una funzione di controllo della politica militare.
D.Dopo la svolta, lei incontrò ufficiali dei servizi segreti?
R. Si.
D.Chi prese l'iniziativa?
R.Alcuni elementi dei servizi. Si rendevano conto che una riforma era necessaria. Presero la stessa iniziativa con altri parlamentari della commissione Difesa.
D.Ma chi in particolare chiese di incontrarla?
R.Non ricordo. E' passato tanto tempo.
D.Perché alcuni di questi colloqui avvennero in uffici coperti del Sid
R.Non è vero. Non si svolsero in luoghi segreti.
D.Fino a quando durarono gli incontri?
R.lo ne ho avuti fino alla riforma dei servizi, nella primavera del 1978".
 
Cos'è Archivio900?
"Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere"... [Leggi]
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