04. Le Lettere e il Memoriale di Aldo Moro. La condanna della DC.
Commissione Parlamentare - Relazione Minoranza MSI
Il messaggio per il partito nuovo. Il riscatto morale e politico dalla cella della morte. Chi lo ha lasciato morire?
Documento aggiornato il 04/01/2005
Le Lettere e il Memoriale di Aldo Moro (vedi allegati) sono documenti certi, di grande valore umano, e di eccezionale importanza perché contengono quasi vent'anni della triste storia d'Italia.
Ogni Italiano dovrebbe conoscerli e leggerne una pagina al giorno.
Moro non è preparato al martirio. Abbiamo visto che il nuovo modello di "Principe" non può rassegnarsi ad essere immolato sull'altare di un qualcosa che per lui non esiste o non conta. E, coerentemente, chiede di essere salvato indicandone la via. Quando la DC gli risponde che è impazzito, comprende che nel rapporto DC-PCI, senza Moro, il PCI determina e conduce il gioco. E allora sente che questa alleanza è "impossibile". Sente che l'epoca dell'egemonia democristiana è finita. E condanna duramente la DC; ne denuncia la malafede; scaglia invettive dantesche contro i suoi dirigenti, che definisce inesorabilmente per quelli che sono: "Nemini parco". Non risparmio nessuno. Non perdono a nessuno.
Per Moro la funzione stessa della DC guida della politica italiana è finita. Moro ripudia la DC e la sua classe dirigente, perché la DC è diventata un'altra Cosa: "... se non avverrà il miracolo del ritorno della DC a se stessa ... "; "... questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti né per la DC né per il Paese ... " (lettera al Partito).
Moro resta "come un punto irriducibile di contestazione e di alterativa" (3 a lettera a Zaccagnini), cioè si pone idealmente alla testa di un partito nuovo che rompe l'alleanza col PCI, divenuta impraticabile alla luce dei fatti. Ed è quello il suo "messaggio" per chi vuole intendere le sue parole. Dice di aver sbagliato nella vita "ma per fini di bene", e c'è da credergli per le idee che predicava e che, a poco a poco, lo hanno condotto nelle mani dei brigatisti. Vittima di se stesso, vittima del cinismo di una coalizione da lui stesso ideata e realizzata e della ferocia delle BR. Aldo Moro si riscatta con la lunga via crucis. Il suo dolore più grande, dopo quello per la "adorata" famiglia perduta, è di non essere creduto dai suoi vecchi amici, beneficiari della sua politica e della sua azione.
Non accetta il ruolo dell'eroe, ma nelle Lettere che si chiudono alla speranza, c'è un tipo di anti-eroe che impone grande rispetto. Fino all'ultimo istante si sarà chiesto perché il "Principe" debba essere distrutto da una cosa che non esiste o che non vale.
Andreotti, Zaccagnini, Berlinguer lo hanno lasciato morire: se almeno avessero creduto ed operato per difendere, al di sopra di tutto, i valori eterni dello Stato, il sangue di Aldo Moro non sarebbe stato vano.
Ma in che cosa credevano Andreotti, Zaccagnini, Berlinguer?
Ogni Italiano dovrebbe conoscerli e leggerne una pagina al giorno.
Moro non è preparato al martirio. Abbiamo visto che il nuovo modello di "Principe" non può rassegnarsi ad essere immolato sull'altare di un qualcosa che per lui non esiste o non conta. E, coerentemente, chiede di essere salvato indicandone la via. Quando la DC gli risponde che è impazzito, comprende che nel rapporto DC-PCI, senza Moro, il PCI determina e conduce il gioco. E allora sente che questa alleanza è "impossibile". Sente che l'epoca dell'egemonia democristiana è finita. E condanna duramente la DC; ne denuncia la malafede; scaglia invettive dantesche contro i suoi dirigenti, che definisce inesorabilmente per quelli che sono: "Nemini parco". Non risparmio nessuno. Non perdono a nessuno.
Per Moro la funzione stessa della DC guida della politica italiana è finita. Moro ripudia la DC e la sua classe dirigente, perché la DC è diventata un'altra Cosa: "... se non avverrà il miracolo del ritorno della DC a se stessa ... "; "... questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti né per la DC né per il Paese ... " (lettera al Partito).
Moro resta "come un punto irriducibile di contestazione e di alterativa" (3 a lettera a Zaccagnini), cioè si pone idealmente alla testa di un partito nuovo che rompe l'alleanza col PCI, divenuta impraticabile alla luce dei fatti. Ed è quello il suo "messaggio" per chi vuole intendere le sue parole. Dice di aver sbagliato nella vita "ma per fini di bene", e c'è da credergli per le idee che predicava e che, a poco a poco, lo hanno condotto nelle mani dei brigatisti. Vittima di se stesso, vittima del cinismo di una coalizione da lui stesso ideata e realizzata e della ferocia delle BR. Aldo Moro si riscatta con la lunga via crucis. Il suo dolore più grande, dopo quello per la "adorata" famiglia perduta, è di non essere creduto dai suoi vecchi amici, beneficiari della sua politica e della sua azione.
Non accetta il ruolo dell'eroe, ma nelle Lettere che si chiudono alla speranza, c'è un tipo di anti-eroe che impone grande rispetto. Fino all'ultimo istante si sarà chiesto perché il "Principe" debba essere distrutto da una cosa che non esiste o che non vale.
Andreotti, Zaccagnini, Berlinguer lo hanno lasciato morire: se almeno avessero creduto ed operato per difendere, al di sopra di tutto, i valori eterni dello Stato, il sangue di Aldo Moro non sarebbe stato vano.
Ma in che cosa credevano Andreotti, Zaccagnini, Berlinguer?