2. L'audizione del prefetto Ferrigno
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.
Documento aggiornato al 24/02/2006
A riflessioni di tal tipo la Commissione fu chiamata già nel dicembre 1996 da una lunga relazione del Direttore centrale della Polizia di prevenzione, prefetto Carlo Ferrigno, audito appunto al fine di un aggiornamento della Commissione sull’azione di prevenzione e contrasto del terrorismo interno ed internazionale.Furono in quella sede esaminati praticamente tutti i profili che potevano determinare in modo diretto e mediato nel nostro Paese una nuova insorgenza del terrorismo, muovendo dal presupposto che l’espressione terrorismo comprende realtà differenti tra loro e spesso eterogenee: patologie (isolate, ma sanguinarie) legate a situazioni interne come quella che negli Stati Uniti ha visto, in recente stagione, protagonisti di attentati gruppi di estrema destra;
l’attivismo di reti internazionali, fra cui quella di matrice islamica, cui sono riferibili gli attentati che alla metà del decennio hanno insanguinato la Francia;
il terrorismo legato a istanze indipendentistiche (ETA, IRA e questione còrsa);
l’estremismo religioso di sette, come quella "Aum" responsabile degli attentati alla metropolitana di Tokyo.
E’, quindi, il quadro internazionale a convincere che nessuna democrazia può oggi dirsi immune dal rischio che il terrorismo, nell’una o nell’altra delle sue varie forme, si manifesti con eruzioni improvvise, che non sempre è possibile prevenire, ma che una democrazia salda e sicura deve essere in grado di isolare, contrastare e sconfiggere in tempo breve.
Le ragioni di questo rischio, che potremmo definire endemico, non sono di difficile individuazione. La complessità sociale determina – è questo un dato innegabile nel presente – sempre nuove sacche di emarginazione e di esclusione, che regole maggioritarie (pur indispensabili per assicurare il governo democratico della complessità) escludono dalla rappresentanza politica.
Ovviamente queste sacche di emarginazione (dal contesto sociale) e di esclusione (dalla rappresentanza politica) non sono in sé terrorismo. Costituiscono però indubbiamente terreni di coltura, in cui il seme del terrorismo, in una delle sue varie forme, può facilmente attecchire. A ciò si aggiunga che la globalizzazione ha reso il mondo in qualche misura più piccolo, escludendo in tal modo che uno Stato possa sentirsi al riparo da tensioni che si generano al di là dei suoi confini; così, ad esempio, le megalopoli di una società multietnica determinano nelle periferie urbane situazioni che agevolano l’operatività di reti internazionali o l’insorgenza di fenomeni di estremismo religioso.
La possibilità concreta di un tal tipo di rischi fu offerta con chiarezza alla riflessione della Commissione dal prefetto Ferrigno, dalla cui audizione, con riferimento al tema specifico della presente relazione, apparve chiaro come al di sotto delle ceneri della disfatta delle BR covassero ancora braci e che quindi fosse reale il pericolo, ove le vicende internazionali ed interne avessero determinato un innalzamento della tensione sociale, di un riaccendersi di nuove fiammate.
Il riferimento fu al riorganizzarsi, già nella prima metà del decennio, di gruppuscoli, che esplicitamente si richiamavano all’esperienza finale dell’ex ala militarista delle BR, utilizzando sigle diverse quali i Nuclei Territoriali Antimperialisti (NTA) e i Nuclei Comunisti Combattenti (NCC); una costellazione di embrionali gruppi clandestini, che manifestavano contiguità con altri, quali i Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC) e l’Associazione Solidarietà Proletaria (ASP), ai quali, pur privi del carattere della clandestinità, perché agenti con iniziative palesi, era riferibile una copiosa produzione documentale caratterizzata da elementi di coincidenza allarmante con i programmi dei gruppi più occulti, che chiaramente si ponevano già alla metà degli anni Novanta in continuità oggettiva con l’esperienza finale delle BR.
Importante fu, inoltre, nell’audizione del prefetto Ferrigno (in un brano che fu segretato) il riferimento ad un documento (che sarebbe stato acquisito da fonte qualificata) della Cellula per la costituzione del Partito Comunista Combattente, datato giugno 1996. Un documento destinato ad esclusiva circolazione interna che, muovendo dalle note tesi (sostenute da tutte le fazioni delle BR e, dopo il crollo della organizzazione, dai vari gruppuscoli che alla sua esperienza si richiamavano) sulla presunta crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico, proponeva di risolvere la questione avanguardia-masse con il ricorso alla forma partito, per giungere all’unità di tutti i comunisti in una visione internazionale del problema della lotta di classe e della lotta alla "borghesia imperialista".
Non vi è dubbio pertanto che il prefetto Ferrigno offrì alla Commissione un quadro allarmante; chiarì anche che l’innegabile - perché sostanzialmente dichiarata - continuità oggettiva delle nuove insorgenze rispetto alla fase finale delle BR si coniugava anche con una continuità soggettiva, affermando – ovviamente sulla base di informazioni in possesso – che, anche se in numero limitato, protagonisti della stagione eversiva degli anni Settanta e Ottanta stavano rivestendo un ruolo importante nella riorganizzazione dei nuovi gruppuscoli.
Può quindi serenamente concludersi che già nel 1996 il rischio di una ripresa del terrorismo di sinistra non fosse sfuggito ad organi della polizia di prevenzione, che apparivano in possesso di un corredo informativo di notevole spessore.
Ciò malgrado, i dati ulteriori che la Commissione ha acquisito dopo l’omicidio D’Antona rendono certo – e impongono su ciò una riflessione critica – che lo stillicidio di attentati e rivendicazioni è proseguito negli anni seguenti. Allegato alla presente relazione è un quadro sinottico degli attentati rivendicati dal PCC, dai NCC e dai NTA, dotato indubbiamente di indiscutibile ed allarmante eloquenza.
l’attivismo di reti internazionali, fra cui quella di matrice islamica, cui sono riferibili gli attentati che alla metà del decennio hanno insanguinato la Francia;
il terrorismo legato a istanze indipendentistiche (ETA, IRA e questione còrsa);
l’estremismo religioso di sette, come quella "Aum" responsabile degli attentati alla metropolitana di Tokyo.
E’, quindi, il quadro internazionale a convincere che nessuna democrazia può oggi dirsi immune dal rischio che il terrorismo, nell’una o nell’altra delle sue varie forme, si manifesti con eruzioni improvvise, che non sempre è possibile prevenire, ma che una democrazia salda e sicura deve essere in grado di isolare, contrastare e sconfiggere in tempo breve.
Le ragioni di questo rischio, che potremmo definire endemico, non sono di difficile individuazione. La complessità sociale determina – è questo un dato innegabile nel presente – sempre nuove sacche di emarginazione e di esclusione, che regole maggioritarie (pur indispensabili per assicurare il governo democratico della complessità) escludono dalla rappresentanza politica.
Ovviamente queste sacche di emarginazione (dal contesto sociale) e di esclusione (dalla rappresentanza politica) non sono in sé terrorismo. Costituiscono però indubbiamente terreni di coltura, in cui il seme del terrorismo, in una delle sue varie forme, può facilmente attecchire. A ciò si aggiunga che la globalizzazione ha reso il mondo in qualche misura più piccolo, escludendo in tal modo che uno Stato possa sentirsi al riparo da tensioni che si generano al di là dei suoi confini; così, ad esempio, le megalopoli di una società multietnica determinano nelle periferie urbane situazioni che agevolano l’operatività di reti internazionali o l’insorgenza di fenomeni di estremismo religioso.
La possibilità concreta di un tal tipo di rischi fu offerta con chiarezza alla riflessione della Commissione dal prefetto Ferrigno, dalla cui audizione, con riferimento al tema specifico della presente relazione, apparve chiaro come al di sotto delle ceneri della disfatta delle BR covassero ancora braci e che quindi fosse reale il pericolo, ove le vicende internazionali ed interne avessero determinato un innalzamento della tensione sociale, di un riaccendersi di nuove fiammate.
Il riferimento fu al riorganizzarsi, già nella prima metà del decennio, di gruppuscoli, che esplicitamente si richiamavano all’esperienza finale dell’ex ala militarista delle BR, utilizzando sigle diverse quali i Nuclei Territoriali Antimperialisti (NTA) e i Nuclei Comunisti Combattenti (NCC); una costellazione di embrionali gruppi clandestini, che manifestavano contiguità con altri, quali i Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC) e l’Associazione Solidarietà Proletaria (ASP), ai quali, pur privi del carattere della clandestinità, perché agenti con iniziative palesi, era riferibile una copiosa produzione documentale caratterizzata da elementi di coincidenza allarmante con i programmi dei gruppi più occulti, che chiaramente si ponevano già alla metà degli anni Novanta in continuità oggettiva con l’esperienza finale delle BR.
Importante fu, inoltre, nell’audizione del prefetto Ferrigno (in un brano che fu segretato) il riferimento ad un documento (che sarebbe stato acquisito da fonte qualificata) della Cellula per la costituzione del Partito Comunista Combattente, datato giugno 1996. Un documento destinato ad esclusiva circolazione interna che, muovendo dalle note tesi (sostenute da tutte le fazioni delle BR e, dopo il crollo della organizzazione, dai vari gruppuscoli che alla sua esperienza si richiamavano) sulla presunta crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico, proponeva di risolvere la questione avanguardia-masse con il ricorso alla forma partito, per giungere all’unità di tutti i comunisti in una visione internazionale del problema della lotta di classe e della lotta alla "borghesia imperialista".
Non vi è dubbio pertanto che il prefetto Ferrigno offrì alla Commissione un quadro allarmante; chiarì anche che l’innegabile - perché sostanzialmente dichiarata - continuità oggettiva delle nuove insorgenze rispetto alla fase finale delle BR si coniugava anche con una continuità soggettiva, affermando – ovviamente sulla base di informazioni in possesso – che, anche se in numero limitato, protagonisti della stagione eversiva degli anni Settanta e Ottanta stavano rivestendo un ruolo importante nella riorganizzazione dei nuovi gruppuscoli.
Può quindi serenamente concludersi che già nel 1996 il rischio di una ripresa del terrorismo di sinistra non fosse sfuggito ad organi della polizia di prevenzione, che apparivano in possesso di un corredo informativo di notevole spessore.
Ciò malgrado, i dati ulteriori che la Commissione ha acquisito dopo l’omicidio D’Antona rendono certo – e impongono su ciò una riflessione critica – che lo stillicidio di attentati e rivendicazioni è proseguito negli anni seguenti. Allegato alla presente relazione è un quadro sinottico degli attentati rivendicati dal PCC, dai NCC e dai NTA, dotato indubbiamente di indiscutibile ed allarmante eloquenza.