3. L'omicidio D'Antona e la sua rivendicazione
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.
Documento aggiornato al 24/02/2006
Il 20 maggio 1999 alle ore 8,25 circa a Roma in via Salaria due sconosciuti a volto scoperto uccidevano Massimo D’Antona esplodendogli contro diversi colpi di pistola.
Già la personalità della vittima (un docente universitario stretto collaboratore del Ministro del lavoro e già collaboratore del Ministero della funzione pubblica) e le modalità esteriori dell’agguato richiamavano immediatamente lugubri rituali del passato, come veniva confermato subito, alle ore 14,30 dello stesso giorno, dalle modalità della rivendicazione e dai contenuti della stessa. Una telefonata anonima al quotidiano "Il Messaggero" rivendicava l’omicidio in nome delle Brigate Rosse, indicando un cassonetto per la raccolta dei rifiuti urbani in via Crispi dove i giornalisti rinvenivano l’ormai noto documento rivendicativo.
Trattasi di un documento ideologico e programmatico composto da 28 fogli a stampa verosimilmente realizzato con sistema di videoscrittura o personal computer, sormontato dalla scritta BR contrassegnata da una stella a cinque punte circoscritta da un cerchio che rivendica l’uccisione di Massimo D’Antona a nome delle "Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente".
L’analisi del documento rivendicativo operata in Commissione - che in gran parte coincide nei risultati con analoghe analisi acquisite dal Comando ROS dei carabinieri e dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione - consente di pervenire a due preliminari conclusioni, che riguardano:
da un lato la continuità che, almeno nel suo connotato oggettivo, il documento dimostra tra tale contesto eversivo e l’esperienza finale dell’ex ala militarista delle BR;
dall’altro la valutazione che l’omicidio D’Antona non è un episodio isolato, ma viene ad inserirsi nel contesto di una riorganizzazione dell’eversione di sinistra in corso già da diversi anni e di cui costituisce il momento, per ora, di maggiore offensività.
Per il primo dei cennati profili colpisce nella rivendicazione la reiterazione di concetti e valutazioni già espressi in occasione di precedenti agguati, ed in particolare del ferimento del professor Gino Giugni, nonché degli omicidi Tarantelli e Ruffilli (1983, 1985, 1988):
come nei richiamati documenti, vengono analizzate nel dettaglio figure e funzioni della vittima, curando di mostrare conoscenze del personaggio persino minuziose;
vi sono anche espressioni ("rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico", pag. 11 della rivendicazione D’Antona), che appaiono mutuate dal documento Ruffilli ("Progetto di rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico", pag. 1 Doc. Ruffilli);
vi è un richiamo specifico alle esperienze delle BR-PCC, protagoniste dell’omicidio Ruffilli, con le quali la nuova organizzazione afferma di porsi solo in "continuità oggettiva", assumendo la "responsabilità politica di prenderne la denominazione".
Per ciò che concerne, invece, l’inserirsi dell’omicidio D’Antona nel più ampio contesto di riorganizzazione eversiva innanzi esaminato, rilevante appare nel documento rivendicativo l’adesione alla proposta di ricostruzione delle forze rivoluzionarie, già portata avanti attraverso l’attacco dei NCC alla sede della Confindustria (1992), nonché il richiamo espresso all’attentato del 1994 eseguito sempre dai NCC alla NATO di Roma, con cui si intese riproporre e rilanciare la capacità operativa dell’Organizzazione combattente.
Forti sono dunque le analogie che si rilevano anche tra la rivendicazione dell’omicidio D’Antona e quella diffusa in occasione dell’attentato alla sede NATO del Defence College di Roma. In entrambi i documenti si afferma la necessità della costruzione di un "Fronte Combattente Antimperialista", si indica la NATO come obiettivo centrale della lotta armata, si sollecita un’offensiva contro PDS e sindacati confederali, complici della "borghesia imperialista", termine ripetutamente utilizzato nel documento D’Antona. Ciò rende evidente la continuità delle ricostituite BR-PCC rispetto ai NCC, le cui esperienze armate sono espressamente riconosciute e sostanzialmente rivendicate dalle BR-PCC, che si pongono in tal modo in continuità (verosimilmente non soltanto oggettiva) con i NCC.
Nessun richiamo è operato invece alla – pur intensa – attività dei NTA, probabilmente ricompresi nella generica dizione "movimento rivoluzionario". Ciò conferma che le nuove insorgenze non sono interamente riconducibili ad un gruppo unitario e cioè ad un’unica organizzazione, ma all’unitarietà di un contesto caratterizzato da una pluralità di gruppuscoli che, pure all’interno di una comune matrice ideologica, operano opzioni politico-operative non pienamente coincidenti e si pongono quindi in un rapporto reciproco di concorrenzialità, o almeno di dialettica, dove l’azione armata costituisce anche un elemento di propaganda funzionale all’assunzione della leadership del movimento.
Inoltre, nella rivendicazione dell’omicidio D’Antona:
si indica come obiettivo il Presidente del Consiglio, responsabile di ricondurre l’opposizione di classe ad un ambito funzionale all’esercizio del Governo;
altro obiettivo sono i DS, che imporrebbero "l’ordine sociale del capitale", rendendo governabili le contraddizioni sociali attraverso la concertazione ed il rilancio "neocorporativo del patto sociale", che comprende Governo, Confindustria e Sindacato;
nel mirino brigatista entrano anche i DS-CGIL, promotori di un accordo funzionale ad un originale ruolo dell’Italia nelle politiche "imperialiste", come l’Unione Europea, la moneta unica, la partecipazione al conflitto nei Balcani accanto alla NATO;
centrale è infine la denuncia contro il ruolo egemone degli USA, avallato dall’ONU, e sostenuto con le armi dalla NATO, oramai con le mani libere a seguito dello stravolgimento degli equilibri di Yalta;
vi è, infine, il preannuncio di ulteriori azioni armate.
Oltre ad una evidente impostazione che richiama l’esperienza dell’ala militarista delle BR, va notato come il documento oggetto di analisi riproduca concetti ed espressioni tratti anche da documenti più recentemente prodotti da detenuti brigatisti irriducibili attraverso il CARC. Il che sta a significare la continuità della ideologia brigatista, la volontà di reclutare proseliti e riattivare vecchie militanze nella popolazione carceraria brigatista, tra i principali destinatari della rivendicazione. E’ un dato, quest’ultimo, che parrebbe contraddire la affermazione di novità della struttura armata, la pretesa discontinuità con le precedenti esperienze terroristiche, la dichiarata continuità solo "oggettiva" della nuova formazione BR-PCC con le vecchie BR.
L’apparente contraddizione può essere, peraltro, agevolmente risolta dalla constatazione che la riorganizzazione eversiva avviene in un contesto mondiale ed interno, che è profondamente mutato rispetto a quello nel quale le BR consumarono la loro esperienza finale. La mutazione del contesto è nel documento rivendicativo oggetto di analisi, e introduce nello schema organizzativo, nella definizione dei programmi, nella individuazione degli obiettivi, indubbi elementi di novità, che pure non contraddicono i rilievi di continuità oggettiva e probabilmente soggettiva tra vecchie esperienze e nuovi fenomeni eversivi. Indicativa in tal senso è, ad esempio, la sostituzione della vecchia categoria del SIM (lo Stato Imperialista delle Multinazionali) con la nuova categoria della BI (Borghesia Imperialista) già apparsa in documenti anteriori, che innanzi sono stati richiamati.
Altri soggetti destinatari della propaganda armata brigatista sono le fasce di emarginazione sociale, il proletariato urbano e l’area del pacifismo.
Analogie in tal senso, specie in ordine alla insistenza con cui si vede nel sottoproletariato urbano il soggetto rivoluzionario, possono cogliersi anche rispetto a più antichi documenti del partito-guerriglia di Senzani, che chiamava a raccolta le fasce della disperazione meridionale e napoletana in particolare (disoccupati, precari, corsisti, eccetera), sollecitando un’alleanza stabile fra queste, le organizzazioni della criminalità comune, i detenuti e gli ex detenuti. In particolare non sembra possibile dubitare che il documento rivendicativo tenda a sollecitare una specifica interlocuzione, con quello che ben può definirsi, come nel passato, il "segmento carcerario" dell’intero movimento. Sul punto le acquisizioni in possesso destano fondate preoccupazioni, atteso che allo stato attuale, come ha riferito a questa Commissione il sottosegretario per l’interno Sinisi, nelle nostre carceri si trovano 150 BR reclusi, 81 dei quali sono irriducibili.
Il dato desta particolare allarme alla luce delle ricorrenti dichiarazioni di adesione espresse da brigatisti detenuti al documento diffuso dal BR-PCC dopo l’omicidio D’Antona (così Francesco Aiosa, Cesare Di Lenardo, Ario Pizzarelli, Fabrizio Minguzzi, Daniele Bencini, Antonino Fosso, Anna Maria Cotone ed altri) i quali, anche attraverso documenti fatti uscire dal carcere, hanno inteso fornire copertura politica al crimine con sospetta tempestività. Inoltre, 48 brigatisti sono tuttora latitanti, e, di questi, 29 si trovano in Francia.
Infine, ben 70 detenuti godono dei benefici della legge penitenziaria e tra questi "non pochi sono gli irriducibili" tra cui, come ha ancora riferito a questa Commissione il sottosegretario Sinisi, pluriomicidi e noti terroristi professionali.
In conclusione, due appaiono le direttrici strategiche perseguite dalle attuali BR: l’attacco allo Stato per "disarticolare i progetti neocorporativi della borghesia e dei revisionisti" e gli attacchi militari alle strutture che "rappresentano il dominio della borghesia imperialista", al fine di "trasformare la guerra imperialista in guerra di classe".
Va da ultimo annotato che l’attenzione verso un ruolo eversivo da assegnare alla diffusa cultura pacifista esistente nel nostro Paese ed alle forme di esasperazione che essa ha assunto, anche se in dimensioni limitate, in occasione delle azioni militari dei paesi NATO nei Balcani, potrebbe anche presupporre (ed insieme essere indicativo di) un tentativo revanscista di vecchi apparati segreti dei Paesi ex comunisti, teso ad indebolire l’Italia agli occhi dei suoi alleati, creare tensioni interne, far circolare veleni favorevoli ai vecchi equilibri di Yalta.
Del resto, infiltrazioni o comunque tentativi di condizionamento delle attività delle formazioni eversive operanti in Italia da parte di servizi segreti stranieri non sarebbero una novità; in tale prospettiva la scelta dei tempi per portare a compimento l’assassinio D’Antona, che ha suscitato perplessità, troverebbe una sua giustificazione nella fase politica, densa di tensioni anche interne, indotte dal conflitto NATO-Serbia.
Tuttavia sarebbe pericoloso se considerazioni di tal tipo inducessero, nel ripercorrere antichi sentieri, a commettere errori che già in passato furono commessi, se cioè inducessero a ritenere che le BR (anche nella nuova fase riorganizzativa) siano cosa diversa da ciò che dicono (e dissero) di essere (e di essere state): una formazione armata che non nascose mai (come oggi non nasconde) il suo credo ideologico e fa (come già in passato fece) del terrorismo lo strumento per la realizzazione di obiettivi intermedi e fini ultimi apertamente dichiarati e annunciati; avanguardia armata di un movimento antagonista di contestazione (con il quale interloquisce e si dialettizza), che fortunatamente oggi, come già avvertito, ha dimensioni notevolmente minori rispetto al passato.
Tutto ciò ovviamente non esclude – come già osservato – che l’esperienza delle BR conosca processi di attraversamento, di congiunzione, di contatti e di contaminazioni che già conobbe nel passato e che oggi ben possono riprodursi, sia pure in forme nuove, in ragione della notevole diversità del contesto internazionale ed interno.
Già la personalità della vittima (un docente universitario stretto collaboratore del Ministro del lavoro e già collaboratore del Ministero della funzione pubblica) e le modalità esteriori dell’agguato richiamavano immediatamente lugubri rituali del passato, come veniva confermato subito, alle ore 14,30 dello stesso giorno, dalle modalità della rivendicazione e dai contenuti della stessa. Una telefonata anonima al quotidiano "Il Messaggero" rivendicava l’omicidio in nome delle Brigate Rosse, indicando un cassonetto per la raccolta dei rifiuti urbani in via Crispi dove i giornalisti rinvenivano l’ormai noto documento rivendicativo.
Trattasi di un documento ideologico e programmatico composto da 28 fogli a stampa verosimilmente realizzato con sistema di videoscrittura o personal computer, sormontato dalla scritta BR contrassegnata da una stella a cinque punte circoscritta da un cerchio che rivendica l’uccisione di Massimo D’Antona a nome delle "Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente".
L’analisi del documento rivendicativo operata in Commissione - che in gran parte coincide nei risultati con analoghe analisi acquisite dal Comando ROS dei carabinieri e dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione - consente di pervenire a due preliminari conclusioni, che riguardano:
da un lato la continuità che, almeno nel suo connotato oggettivo, il documento dimostra tra tale contesto eversivo e l’esperienza finale dell’ex ala militarista delle BR;
dall’altro la valutazione che l’omicidio D’Antona non è un episodio isolato, ma viene ad inserirsi nel contesto di una riorganizzazione dell’eversione di sinistra in corso già da diversi anni e di cui costituisce il momento, per ora, di maggiore offensività.
Per il primo dei cennati profili colpisce nella rivendicazione la reiterazione di concetti e valutazioni già espressi in occasione di precedenti agguati, ed in particolare del ferimento del professor Gino Giugni, nonché degli omicidi Tarantelli e Ruffilli (1983, 1985, 1988):
come nei richiamati documenti, vengono analizzate nel dettaglio figure e funzioni della vittima, curando di mostrare conoscenze del personaggio persino minuziose;
vi sono anche espressioni ("rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico", pag. 11 della rivendicazione D’Antona), che appaiono mutuate dal documento Ruffilli ("Progetto di rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico", pag. 1 Doc. Ruffilli);
vi è un richiamo specifico alle esperienze delle BR-PCC, protagoniste dell’omicidio Ruffilli, con le quali la nuova organizzazione afferma di porsi solo in "continuità oggettiva", assumendo la "responsabilità politica di prenderne la denominazione".
Per ciò che concerne, invece, l’inserirsi dell’omicidio D’Antona nel più ampio contesto di riorganizzazione eversiva innanzi esaminato, rilevante appare nel documento rivendicativo l’adesione alla proposta di ricostruzione delle forze rivoluzionarie, già portata avanti attraverso l’attacco dei NCC alla sede della Confindustria (1992), nonché il richiamo espresso all’attentato del 1994 eseguito sempre dai NCC alla NATO di Roma, con cui si intese riproporre e rilanciare la capacità operativa dell’Organizzazione combattente.
Forti sono dunque le analogie che si rilevano anche tra la rivendicazione dell’omicidio D’Antona e quella diffusa in occasione dell’attentato alla sede NATO del Defence College di Roma. In entrambi i documenti si afferma la necessità della costruzione di un "Fronte Combattente Antimperialista", si indica la NATO come obiettivo centrale della lotta armata, si sollecita un’offensiva contro PDS e sindacati confederali, complici della "borghesia imperialista", termine ripetutamente utilizzato nel documento D’Antona. Ciò rende evidente la continuità delle ricostituite BR-PCC rispetto ai NCC, le cui esperienze armate sono espressamente riconosciute e sostanzialmente rivendicate dalle BR-PCC, che si pongono in tal modo in continuità (verosimilmente non soltanto oggettiva) con i NCC.
Nessun richiamo è operato invece alla – pur intensa – attività dei NTA, probabilmente ricompresi nella generica dizione "movimento rivoluzionario". Ciò conferma che le nuove insorgenze non sono interamente riconducibili ad un gruppo unitario e cioè ad un’unica organizzazione, ma all’unitarietà di un contesto caratterizzato da una pluralità di gruppuscoli che, pure all’interno di una comune matrice ideologica, operano opzioni politico-operative non pienamente coincidenti e si pongono quindi in un rapporto reciproco di concorrenzialità, o almeno di dialettica, dove l’azione armata costituisce anche un elemento di propaganda funzionale all’assunzione della leadership del movimento.
Inoltre, nella rivendicazione dell’omicidio D’Antona:
si indica come obiettivo il Presidente del Consiglio, responsabile di ricondurre l’opposizione di classe ad un ambito funzionale all’esercizio del Governo;
altro obiettivo sono i DS, che imporrebbero "l’ordine sociale del capitale", rendendo governabili le contraddizioni sociali attraverso la concertazione ed il rilancio "neocorporativo del patto sociale", che comprende Governo, Confindustria e Sindacato;
nel mirino brigatista entrano anche i DS-CGIL, promotori di un accordo funzionale ad un originale ruolo dell’Italia nelle politiche "imperialiste", come l’Unione Europea, la moneta unica, la partecipazione al conflitto nei Balcani accanto alla NATO;
centrale è infine la denuncia contro il ruolo egemone degli USA, avallato dall’ONU, e sostenuto con le armi dalla NATO, oramai con le mani libere a seguito dello stravolgimento degli equilibri di Yalta;
vi è, infine, il preannuncio di ulteriori azioni armate.
Oltre ad una evidente impostazione che richiama l’esperienza dell’ala militarista delle BR, va notato come il documento oggetto di analisi riproduca concetti ed espressioni tratti anche da documenti più recentemente prodotti da detenuti brigatisti irriducibili attraverso il CARC. Il che sta a significare la continuità della ideologia brigatista, la volontà di reclutare proseliti e riattivare vecchie militanze nella popolazione carceraria brigatista, tra i principali destinatari della rivendicazione. E’ un dato, quest’ultimo, che parrebbe contraddire la affermazione di novità della struttura armata, la pretesa discontinuità con le precedenti esperienze terroristiche, la dichiarata continuità solo "oggettiva" della nuova formazione BR-PCC con le vecchie BR.
L’apparente contraddizione può essere, peraltro, agevolmente risolta dalla constatazione che la riorganizzazione eversiva avviene in un contesto mondiale ed interno, che è profondamente mutato rispetto a quello nel quale le BR consumarono la loro esperienza finale. La mutazione del contesto è nel documento rivendicativo oggetto di analisi, e introduce nello schema organizzativo, nella definizione dei programmi, nella individuazione degli obiettivi, indubbi elementi di novità, che pure non contraddicono i rilievi di continuità oggettiva e probabilmente soggettiva tra vecchie esperienze e nuovi fenomeni eversivi. Indicativa in tal senso è, ad esempio, la sostituzione della vecchia categoria del SIM (lo Stato Imperialista delle Multinazionali) con la nuova categoria della BI (Borghesia Imperialista) già apparsa in documenti anteriori, che innanzi sono stati richiamati.
Altri soggetti destinatari della propaganda armata brigatista sono le fasce di emarginazione sociale, il proletariato urbano e l’area del pacifismo.
Analogie in tal senso, specie in ordine alla insistenza con cui si vede nel sottoproletariato urbano il soggetto rivoluzionario, possono cogliersi anche rispetto a più antichi documenti del partito-guerriglia di Senzani, che chiamava a raccolta le fasce della disperazione meridionale e napoletana in particolare (disoccupati, precari, corsisti, eccetera), sollecitando un’alleanza stabile fra queste, le organizzazioni della criminalità comune, i detenuti e gli ex detenuti. In particolare non sembra possibile dubitare che il documento rivendicativo tenda a sollecitare una specifica interlocuzione, con quello che ben può definirsi, come nel passato, il "segmento carcerario" dell’intero movimento. Sul punto le acquisizioni in possesso destano fondate preoccupazioni, atteso che allo stato attuale, come ha riferito a questa Commissione il sottosegretario per l’interno Sinisi, nelle nostre carceri si trovano 150 BR reclusi, 81 dei quali sono irriducibili.
Il dato desta particolare allarme alla luce delle ricorrenti dichiarazioni di adesione espresse da brigatisti detenuti al documento diffuso dal BR-PCC dopo l’omicidio D’Antona (così Francesco Aiosa, Cesare Di Lenardo, Ario Pizzarelli, Fabrizio Minguzzi, Daniele Bencini, Antonino Fosso, Anna Maria Cotone ed altri) i quali, anche attraverso documenti fatti uscire dal carcere, hanno inteso fornire copertura politica al crimine con sospetta tempestività. Inoltre, 48 brigatisti sono tuttora latitanti, e, di questi, 29 si trovano in Francia.
Infine, ben 70 detenuti godono dei benefici della legge penitenziaria e tra questi "non pochi sono gli irriducibili" tra cui, come ha ancora riferito a questa Commissione il sottosegretario Sinisi, pluriomicidi e noti terroristi professionali.
In conclusione, due appaiono le direttrici strategiche perseguite dalle attuali BR: l’attacco allo Stato per "disarticolare i progetti neocorporativi della borghesia e dei revisionisti" e gli attacchi militari alle strutture che "rappresentano il dominio della borghesia imperialista", al fine di "trasformare la guerra imperialista in guerra di classe".
Va da ultimo annotato che l’attenzione verso un ruolo eversivo da assegnare alla diffusa cultura pacifista esistente nel nostro Paese ed alle forme di esasperazione che essa ha assunto, anche se in dimensioni limitate, in occasione delle azioni militari dei paesi NATO nei Balcani, potrebbe anche presupporre (ed insieme essere indicativo di) un tentativo revanscista di vecchi apparati segreti dei Paesi ex comunisti, teso ad indebolire l’Italia agli occhi dei suoi alleati, creare tensioni interne, far circolare veleni favorevoli ai vecchi equilibri di Yalta.
Del resto, infiltrazioni o comunque tentativi di condizionamento delle attività delle formazioni eversive operanti in Italia da parte di servizi segreti stranieri non sarebbero una novità; in tale prospettiva la scelta dei tempi per portare a compimento l’assassinio D’Antona, che ha suscitato perplessità, troverebbe una sua giustificazione nella fase politica, densa di tensioni anche interne, indotte dal conflitto NATO-Serbia.
Tuttavia sarebbe pericoloso se considerazioni di tal tipo inducessero, nel ripercorrere antichi sentieri, a commettere errori che già in passato furono commessi, se cioè inducessero a ritenere che le BR (anche nella nuova fase riorganizzativa) siano cosa diversa da ciò che dicono (e dissero) di essere (e di essere state): una formazione armata che non nascose mai (come oggi non nasconde) il suo credo ideologico e fa (come già in passato fece) del terrorismo lo strumento per la realizzazione di obiettivi intermedi e fini ultimi apertamente dichiarati e annunciati; avanguardia armata di un movimento antagonista di contestazione (con il quale interloquisce e si dialettizza), che fortunatamente oggi, come già avvertito, ha dimensioni notevolmente minori rispetto al passato.
Tutto ciò ovviamente non esclude – come già osservato – che l’esperienza delle BR conosca processi di attraversamento, di congiunzione, di contatti e di contaminazioni che già conobbe nel passato e che oggi ben possono riprodursi, sia pure in forme nuove, in ragione della notevole diversità del contesto internazionale ed interno.