Parte II
06. Su Taviani
Memoriale Moro
Documento aggiornato al 12/02/2005
(Comm. stragi, II 10-17)
Filtra fin qui la notizia di una smentita opposta dall'On. Taviani alla mia affermazione, del resto incidentale, contenuta nel mio secondo messaggio e cioè che delle mie idee in materia di scambio di prigionieri (nelle circostanze delle quali ora si tratta) e di modo di disciplinare i rapimenti avrei fatto parola, rispettivamente, all'On. Taviani ed all'On. Gui (oggi entrambi Senatori). L'On. Gui ha correttamente confermato; l'On. Taviani ha smentito, senza evidentemente provare disagio nel contestare la parola di un collega lontano, in condizioni difficili e con scarse e saltuarie comunicazioni. Perché poi la smentita? Non c'è che una spiegazione, per eccesso di zelo cioè, per il rischio di non essere in questa circostanza in prima fila nel difendere lo Stato.
Intanto quello che ho detto è vero e posso precisare allo smemorato Taviani (smemorato non solo per questo) che io gliene ho parlato nel corso di una direzione abbastanza agitata tenuta nella sua sede dell'Eur proprio nei giorni nei quali avvenivano i fatti dai quali ho tratto spunto per il mio occasionale riferimento. E non ho aggiunto, perché mi sarebbe parso estremamente indiscreto riferire l'opinione dell'interlocutore (non l'ho fatto nemmeno per l'On. Gui), qual era l'opinione in proposito che veniva opposta in confronto di quella che, secondo il mio costume, facevo pacatamente valere. Ma perché l'On. Taviani, pronto a smentire il fatto obiettivo della mia opinione, non si allarmi nel timore che io voglia presentarlo come se avesse il mio stesso pensiero, mi affretterò a dire che Taviani la pensava diversamente da me, come tanti anche oggi la pensano diversamente da me ed allo stesso modo di Taviani. Essi, Taviani in testa, sono convinti che sia questo il solo modo per difendere l'autorità ed il potere dello Stato in momenti come questi. Fanno riferimento ad esempi stranieri? O hanno avuto suggerimenti?
Ed io invece ho detto sin d'allora riservatamente al Ministro ed ho ora ripetuto ed ampliato una valutazione per la quale in fatti come questi, che sono di autentica guerriglia (almeno cioè guerriglia), non ci si può comportare come ci si comporta con la delinquenza comune, per la quale del resto all'unanimità il Parlamento ha introdotto correttivi che riteneva indifferibili per ragioni di umanità. Nel caso che ora ci occupa si trattava d'immaginare, con opportune garanzie, di porre il tema di uno scambio di prigionieri politici (terminologia ostica, ma corrispondente alla realtà) con l'effetto di salvare altre vite umane innocenti, di dare umanamente un respiro a dei combattenti, anche se sono al di là della barricata, di realizzare un minimo di sosta, di evitare che la tensione si accresca e lo Stato perda credito e forza, se è sempre impegnato in un duello processuale defatigante, pesante per chi lo subisce, ma anche non utile alla funzionalità dello Stato. C'è insomma un complesso di ragioni politiche da apprezzare ed alle quali dar seguito, senza fare all'istante un blocco impermeabile, nel quale non entrino nemmeno in parte quelle ragioni di umanità e di saggezza, che popoli civilissimi del mondo hanno sentito in circostanze dolorosamente analoghe e che li hanno indotti a quel tanto di ragionevole flessibilità, cui l'Italia si rifiuta, dimenticando di non essere certo lo Stato più ferreo del mondo, attrezzato, materialmente e psicologicamente, a guidare la fila di Paesi come Usa, Israele, Germania (non quella però di Lorenz), ben altrimenti preparati a rifiutare un momento di riflessione e di umanità.
L'inopinata uscita del Sen. Taviani, ancora in questo momento per me incomprensibile e comunque da me giudicata, nelle condizioni in cui mi trovo, irrispettosa e provocatoria, m'induce a valutare un momento questo personaggio di più che trentennale appartenenza alla D.C. Nei miei rilievi non c'è niente di personale, ma sono sospinto dallo stato di necessità. Quel che rilevo, espressione di un malcostume democristiano che dovrebbe essere corretto tutto nell'avviato rinnovamento del partito, è la rigorosa catalogazione di corrente. Di questa appartenenza Taviani è stato una vivente dimostrazione con virate così brusche ed immotivate da lasciare stupefatti. Di matrice cattolico-democratica Taviani è andato in giro per tutte le correnti, portandovi la sua indubbia efficienza, una grande larghezza di mezzi ed una certa spregiudicatezza. Uscito io dalle file dorotee dopo il '68, avevo avuto chiaro sentore che Taviani mi aspettasse a quel passo, per dar vita ad una formazione più robusta ed equilibrata, la quale, pur su posizioni diverse, potesse essere utile al migliore assetto della D.C. Attesi invano un appuntamento che mi era stato dato e poi altri ancora, finché constatai che l'assetto ricercato e conseguito era stato diverso ed opposto. Erano i tempi in cui Taviani parlava di un appoggio tutto a destra, di un'intesa con il Movimento Sociale come formula risolutiva della crisi italiana. E noi che, da anni, lo ascoltavamo proporre altre cose, lo guardavamo stupiti, anche perché il partito della D.C. da tempo aveva bloccato anche le più modeste forme d'intesa con quel partito. Ma, mosso poi da realismo politico, l'On. Taviani si convinse che la salvezza non poteva venire che da uno spostamento verso il partito comunista.
Ma al tempo in cui avvenne l'ultima elezione del Presidente della Repubblica, il terrore del valore contaminante dei voti comunisti sulla mia persona (estranea, come sempre, alle contese) indusse lui e qualche altro personaggio del mio Partito ad una sorta di quotidiana lotta all'uomo, fastidiosa per l'aspetto personale che pareva avere, tale da far sospettare eventuali interferenze di ambienti americani, perfettamente inutile, perché non vi era nessun accanito aspirante alla successione in colui che si voleva combattere.
Nella sua lunga carriera politica che poi ha abbandonato di colpo senza una plausibile spiegazione, salvo che non sia per riservarsi a più alte responsabilità, Taviani ha ricoperto, dopo anche un breve periodo di Segretario del Partito, senza però successo, i più diversi ed importanti incarichi ministeriali. Tra essi vanno segnalati per la loro importanza il Ministero della Difesa e quello dell'Interno, tenuti entrambi a lungo con tutti i complessi meccanismi, centri di potere e diramazioni segrete che essi comportano. A questo proposito si può ricordare che l'Amm. Henke, divenuto Capo del Sid e poi Capo di Stato Maggiore della Difesa, era un suo uomo che aveva a lungo collaborato con lui. L'importanza e la delicatezza dei molteplici uffici ricoperti può spiegare il peso che egli ha avuto nel partito e nella politica italiana, fino a quando è sembrato uscire di scena. In entrambi i delicati posti ricoperti ha avuto contatti diretti e fiduciari con il mondo americano. Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?
Aldo Moro
Filtra fin qui la notizia di una smentita opposta dall'On. Taviani alla mia affermazione, del resto incidentale, contenuta nel mio secondo messaggio e cioè che delle mie idee in materia di scambio di prigionieri (nelle circostanze delle quali ora si tratta) e di modo di disciplinare i rapimenti avrei fatto parola, rispettivamente, all'On. Taviani ed all'On. Gui (oggi entrambi Senatori). L'On. Gui ha correttamente confermato; l'On. Taviani ha smentito, senza evidentemente provare disagio nel contestare la parola di un collega lontano, in condizioni difficili e con scarse e saltuarie comunicazioni. Perché poi la smentita? Non c'è che una spiegazione, per eccesso di zelo cioè, per il rischio di non essere in questa circostanza in prima fila nel difendere lo Stato.
Intanto quello che ho detto è vero e posso precisare allo smemorato Taviani (smemorato non solo per questo) che io gliene ho parlato nel corso di una direzione abbastanza agitata tenuta nella sua sede dell'Eur proprio nei giorni nei quali avvenivano i fatti dai quali ho tratto spunto per il mio occasionale riferimento. E non ho aggiunto, perché mi sarebbe parso estremamente indiscreto riferire l'opinione dell'interlocutore (non l'ho fatto nemmeno per l'On. Gui), qual era l'opinione in proposito che veniva opposta in confronto di quella che, secondo il mio costume, facevo pacatamente valere. Ma perché l'On. Taviani, pronto a smentire il fatto obiettivo della mia opinione, non si allarmi nel timore che io voglia presentarlo come se avesse il mio stesso pensiero, mi affretterò a dire che Taviani la pensava diversamente da me, come tanti anche oggi la pensano diversamente da me ed allo stesso modo di Taviani. Essi, Taviani in testa, sono convinti che sia questo il solo modo per difendere l'autorità ed il potere dello Stato in momenti come questi. Fanno riferimento ad esempi stranieri? O hanno avuto suggerimenti?
Ed io invece ho detto sin d'allora riservatamente al Ministro ed ho ora ripetuto ed ampliato una valutazione per la quale in fatti come questi, che sono di autentica guerriglia (almeno cioè guerriglia), non ci si può comportare come ci si comporta con la delinquenza comune, per la quale del resto all'unanimità il Parlamento ha introdotto correttivi che riteneva indifferibili per ragioni di umanità. Nel caso che ora ci occupa si trattava d'immaginare, con opportune garanzie, di porre il tema di uno scambio di prigionieri politici (terminologia ostica, ma corrispondente alla realtà) con l'effetto di salvare altre vite umane innocenti, di dare umanamente un respiro a dei combattenti, anche se sono al di là della barricata, di realizzare un minimo di sosta, di evitare che la tensione si accresca e lo Stato perda credito e forza, se è sempre impegnato in un duello processuale defatigante, pesante per chi lo subisce, ma anche non utile alla funzionalità dello Stato. C'è insomma un complesso di ragioni politiche da apprezzare ed alle quali dar seguito, senza fare all'istante un blocco impermeabile, nel quale non entrino nemmeno in parte quelle ragioni di umanità e di saggezza, che popoli civilissimi del mondo hanno sentito in circostanze dolorosamente analoghe e che li hanno indotti a quel tanto di ragionevole flessibilità, cui l'Italia si rifiuta, dimenticando di non essere certo lo Stato più ferreo del mondo, attrezzato, materialmente e psicologicamente, a guidare la fila di Paesi come Usa, Israele, Germania (non quella però di Lorenz), ben altrimenti preparati a rifiutare un momento di riflessione e di umanità.
L'inopinata uscita del Sen. Taviani, ancora in questo momento per me incomprensibile e comunque da me giudicata, nelle condizioni in cui mi trovo, irrispettosa e provocatoria, m'induce a valutare un momento questo personaggio di più che trentennale appartenenza alla D.C. Nei miei rilievi non c'è niente di personale, ma sono sospinto dallo stato di necessità. Quel che rilevo, espressione di un malcostume democristiano che dovrebbe essere corretto tutto nell'avviato rinnovamento del partito, è la rigorosa catalogazione di corrente. Di questa appartenenza Taviani è stato una vivente dimostrazione con virate così brusche ed immotivate da lasciare stupefatti. Di matrice cattolico-democratica Taviani è andato in giro per tutte le correnti, portandovi la sua indubbia efficienza, una grande larghezza di mezzi ed una certa spregiudicatezza. Uscito io dalle file dorotee dopo il '68, avevo avuto chiaro sentore che Taviani mi aspettasse a quel passo, per dar vita ad una formazione più robusta ed equilibrata, la quale, pur su posizioni diverse, potesse essere utile al migliore assetto della D.C. Attesi invano un appuntamento che mi era stato dato e poi altri ancora, finché constatai che l'assetto ricercato e conseguito era stato diverso ed opposto. Erano i tempi in cui Taviani parlava di un appoggio tutto a destra, di un'intesa con il Movimento Sociale come formula risolutiva della crisi italiana. E noi che, da anni, lo ascoltavamo proporre altre cose, lo guardavamo stupiti, anche perché il partito della D.C. da tempo aveva bloccato anche le più modeste forme d'intesa con quel partito. Ma, mosso poi da realismo politico, l'On. Taviani si convinse che la salvezza non poteva venire che da uno spostamento verso il partito comunista.
Ma al tempo in cui avvenne l'ultima elezione del Presidente della Repubblica, il terrore del valore contaminante dei voti comunisti sulla mia persona (estranea, come sempre, alle contese) indusse lui e qualche altro personaggio del mio Partito ad una sorta di quotidiana lotta all'uomo, fastidiosa per l'aspetto personale che pareva avere, tale da far sospettare eventuali interferenze di ambienti americani, perfettamente inutile, perché non vi era nessun accanito aspirante alla successione in colui che si voleva combattere.
Nella sua lunga carriera politica che poi ha abbandonato di colpo senza una plausibile spiegazione, salvo che non sia per riservarsi a più alte responsabilità, Taviani ha ricoperto, dopo anche un breve periodo di Segretario del Partito, senza però successo, i più diversi ed importanti incarichi ministeriali. Tra essi vanno segnalati per la loro importanza il Ministero della Difesa e quello dell'Interno, tenuti entrambi a lungo con tutti i complessi meccanismi, centri di potere e diramazioni segrete che essi comportano. A questo proposito si può ricordare che l'Amm. Henke, divenuto Capo del Sid e poi Capo di Stato Maggiore della Difesa, era un suo uomo che aveva a lungo collaborato con lui. L'importanza e la delicatezza dei molteplici uffici ricoperti può spiegare il peso che egli ha avuto nel partito e nella politica italiana, fino a quando è sembrato uscire di scena. In entrambi i delicati posti ricoperti ha avuto contatti diretti e fiduciari con il mondo americano. Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?
Aldo Moro