Parte II
08. Su Andreatta e la formazione dell'ultimo Gabinetto Andreotti
Memoriale Moro
Documento aggiornato al 12/02/2005
(Comm. Moro, 136; Comm. stragi, II 234-237)
Nel corso della composizione dell'ultimo Gabinetto è venuto in evidenza più volte il nome del Sen. Andreatta, studioso economico di chiara fama, di moderna formazione anglosassone, e certamente la più aggiornata, d'indubbia capacità di conduzione degli affari economici in modo tecnicamente efficiente. I contatti tra il gruppo dei Senatori tecnici di estrazione della D.C. e quello dei Senatori (ed anche Deputati) indipendenti di sinistra sono in complesso buoni e la comune competenza, pur con ovvie diversità, fa da base d'intesa utile in non poche circostanze. Specie quando la situazione economica impone di ripristinare nell'immediato il sistema, da dove poi dipartirsi per vie ed obiettivi che dovrebbero essere diversi. L'azione parlamentare dei gruppi in questione è stata caratterizzata da odio-amore, da qualche riconoscimento, da qualche provocazione di studiosi raffinati, da qualche costruttiva intesa. Si pensò in parecchi, ma lo pensò ovviamente soprattutto l'On. Moro, che una compagine ministeriale, arricchita da questo uomo nuovo e di prestigio (era quello che veniva subito in evidenza) avrebbe avuto maggior peso, consentito un miglior lavoro, reso più agevole l'azione di gruppi parlamentari diversi, dai cui malintesi e dai cui arroccamenti sogliono derivare difficoltà per l'attuazione dei programmi dì governo.
Invece con sommo stupore si dové constatare che una simile collaborazione non era né apprezzata né gradita e che si preferiva continuare con personalità meno brillanti e meno qualificate. Non intendo dire che si preferissero soggetti che avevano svolto una significativa opposizione al nuovo corso, anche se la presenza di taluno di essi appariva indispensabile alla D.C. più che per le persone in sé, per ragioni di equilibrio interno. Talune dì queste ragioni dovettero essere riconosciute e dettero luogo alle note contestazioni sull'uguaglianza fastidiosa del nuovo col vecchio ministero, tali da far immaginare una continuità politica, non inutile alla D.C., ma imbarazzante per il partito Comunista. Non si capisce però allora, perché il Partito Comunista da un lato non abbia con ben maggior fermezza sostenuto l'apporto tecnico o tecnico-politico di altri partiti e dall'altro non abbia favorito un mutamento interno nel segno della professionalità, un criterio quest'ultimo, cioè, cui aveva fatto riferimento a più riprese il Partito Comunista in vari campi ed anche nelle nomine bancarie a preferenza del criterio dell'appartenenza di partito. Era nota la difficoltà costituita dalla posizione del Partito Socialdemocratico, il quale, per offrire uomini validi, avrebbe dovuto fare ricorso ai suoi stessi parlamentari, un po' mascherati da tecnici. Ma non sembra questo un motivo sufficiente, per giustificare una gestione un po' incerta, il cui esito è stato di costruire un governo senza almeno alcuni di quei segni che contrassegnano un momento, uno sforzo di novità, per corrispondere a una situazione con caratteristiche proprie da tenere in debito conto.
Nel corso della composizione dell'ultimo Gabinetto è venuto in evidenza più volte il nome del Sen. Andreatta, studioso economico di chiara fama, di moderna formazione anglosassone, e certamente la più aggiornata, d'indubbia capacità di conduzione degli affari economici in modo tecnicamente efficiente. I contatti tra il gruppo dei Senatori tecnici di estrazione della D.C. e quello dei Senatori (ed anche Deputati) indipendenti di sinistra sono in complesso buoni e la comune competenza, pur con ovvie diversità, fa da base d'intesa utile in non poche circostanze. Specie quando la situazione economica impone di ripristinare nell'immediato il sistema, da dove poi dipartirsi per vie ed obiettivi che dovrebbero essere diversi. L'azione parlamentare dei gruppi in questione è stata caratterizzata da odio-amore, da qualche riconoscimento, da qualche provocazione di studiosi raffinati, da qualche costruttiva intesa. Si pensò in parecchi, ma lo pensò ovviamente soprattutto l'On. Moro, che una compagine ministeriale, arricchita da questo uomo nuovo e di prestigio (era quello che veniva subito in evidenza) avrebbe avuto maggior peso, consentito un miglior lavoro, reso più agevole l'azione di gruppi parlamentari diversi, dai cui malintesi e dai cui arroccamenti sogliono derivare difficoltà per l'attuazione dei programmi dì governo.
Invece con sommo stupore si dové constatare che una simile collaborazione non era né apprezzata né gradita e che si preferiva continuare con personalità meno brillanti e meno qualificate. Non intendo dire che si preferissero soggetti che avevano svolto una significativa opposizione al nuovo corso, anche se la presenza di taluno di essi appariva indispensabile alla D.C. più che per le persone in sé, per ragioni di equilibrio interno. Talune dì queste ragioni dovettero essere riconosciute e dettero luogo alle note contestazioni sull'uguaglianza fastidiosa del nuovo col vecchio ministero, tali da far immaginare una continuità politica, non inutile alla D.C., ma imbarazzante per il partito Comunista. Non si capisce però allora, perché il Partito Comunista da un lato non abbia con ben maggior fermezza sostenuto l'apporto tecnico o tecnico-politico di altri partiti e dall'altro non abbia favorito un mutamento interno nel segno della professionalità, un criterio quest'ultimo, cioè, cui aveva fatto riferimento a più riprese il Partito Comunista in vari campi ed anche nelle nomine bancarie a preferenza del criterio dell'appartenenza di partito. Era nota la difficoltà costituita dalla posizione del Partito Socialdemocratico, il quale, per offrire uomini validi, avrebbe dovuto fare ricorso ai suoi stessi parlamentari, un po' mascherati da tecnici. Ma non sembra questo un motivo sufficiente, per giustificare una gestione un po' incerta, il cui esito è stato di costruire un governo senza almeno alcuni di quei segni che contrassegnano un momento, uno sforzo di novità, per corrispondere a una situazione con caratteristiche proprie da tenere in debito conto.