Maggio 1972

5. L'attentato di Pateano

Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.

Documento aggiornato al 24/02/2006
2.1. L'attentato di Peteano, che con qualche improprietà viene annoverato nella pubblicistica tra gli eventi di strage, costituisce uno degli episodi attribuiti alla destra radicale per i quali in sede giudiziaria si è giunti ad una conclusione di colpevolezza passata in giudicato, resa possibile dalla confessione dell'esecutore. Trattasi di un attentato che per il numero delle vittime da un lato può considerarsi minore rispetto ad altri che tragicamente segnarono la prima metà degli anni '70, dall'altro e anche per la specificità dell'obiettivo non può considerarsi, come già affermato, un atto di strage indiscriminato. Tuttavia esso assume importanza nell'analisi della Commissione perché nella sua ormai certa attribuibilità ad una cellula periferica di Ordine Nuovo, consente di penetrare nel complesso di una realtà occulta più ampia, idonea a consentire sul piano storico un attendibile lettura ricostruttiva dell'intero periodo. Ciò giustifica, ad avviso della Commissione, la persistenza, anche a molti anni di distanza della formazione del giudicato penale di condanna, di indagini giudiziarie ancora in corso e che potranno avere in un futuro anche immediato ulteriori utili sviluppi.


2.2. Nel maggio del 1972 una Fiat 500 fu abbandonata in un bosco vicino a Peteano, in provincia di Gorizia, imbottita di esplosivo innescato. Alcuni colpi di pistola furono esplosi contro il suo parabrezza; una telefonata anonima richiamò sul posto una pattuglia dei Carabinieri; quando i militari aprirono il cofano la bomba esplose uccidendo tre di loro e ferendone gravemente un quarto. Per una dozzina d'anni le indagini ed i procedimenti giudiziari ignorarono i veri colpevoli, focalizzandosi invece su una varietà di indiziati e imputati che nulla avevano a che fare con il crimine. Fu imboccata dapprima una "pista rossa", poi rapidamente abbandonata per la sua palese inconsistenza. Le indagini puntarono su un nucleo di Lotta Continua ed erano basate sulle presunte affermazioni che un celebre protopentito di sinistra, Marco Pisetta, avrebbe rilasciato al comandante del Gruppo CC di Trento, colonnello Michele Santoro. Ma sia i magistrati presenti all'incontro con Santoro che lo stesso Pisetta hanno smentito che quest'ultimo abbia mai parlato di Peteano. La "velina" col riferimento a Lotta Continua era stata inviata, in maniera del tutto anomala (fuor di protocollo, tramite corriere e soprattutto senza seguire le vie gerarchiche) al colonnello Dino Mingarelli, comandante la Legione di Udine, che aveva avocato a sè la responsabilità delle indagini, dal g enerale Palumbo, comandante della Divisione Pastrengo di Milano, che si era precipitato a Gorizia già il 1 giugno 1972. "Quella fu l'origine della cosiddetta pista rossa", dichiarò Mingarelli, "io sapevo che quelle notizie arrivavano da Trento e che la fonte confidenziale era Marco Pisetta" (160). La succesisva "pista gialla" sembrava più solida, e fu seguita più a lungo. Anche questa era basata su pretese affermazioni di un informatore dei Carabinieri, che, pure, davanti alla Corte rifiutò di riconoscere le affermazioni attribuitegli (161). Essa riguardava alcuni piccoli pregiudicati locali che, fra il 1974 e il 1979, furono sottoposti a lunghe indagini e a vari giudizi, prima che fosse provata la loro innocenza. Per contro, tutti gli indizi a sostegno di una "pista nera" furono ignorati o scartati (ci sarebbe anzi addirittura stato un preciso ordine di bloccare ogni indagine sugli ambienti di destra) (162).


2.3. Ma le responsabilità dei veri autori dell'attentato e quindi la sua attribuibilità alla destra radicale divennero chiare solo molto più tardi e cioè quando si era ormai concluso il fosco quindicennio ('69-'84) che la Commissione fa oggetto della sua indagine specifica. Fu infatti soltanto nel 1984 che la responsabilità dell'ideazione e dell'esecuzione materiale dell'attentato di Peteano fu confessata da Vincenzo Vinciguerra, un militante di Ordine Nuovo che era latitante dal 1974, prima in Spagna (dove aderì ad Avanguardia Nazionale gravitando intorno all'immancabile Stefano Delle Chiaie) e quindi in Argentina; si costituì nel 1979 (asseritamente perché la vita di latitante lo avrebbe costretto a compromettere la sua dignità di militante rivoluzionario). Al momento della confessione Vinciguerra era in carcere per una accusa connessa ad un episodio avvenuto nell'ottobre del 1972 nell'aeroporto di Ronchi dei Legionali, dove un altro mili tante di Ordine Nuovo, un ex paracadutista di nome Ivano Boccaccio tentò di dirottare un aereo, al fine di ottenere un riscatto per finanziare il gruppo. Quando l'aereo fu circondato, Boccaccio aprì il fuoco sulla Polizia che, rispondendo ai colpi, lo uccise. Vinciguerra detenuto confessa spontaneamente l'attentato di Peteano, senza ripudiare le sue azioni passate, rivendicando anzi con orgoglio la propria qualità di soldato politico. Egli affermò di confessare allo scopo di "fare chiarezza", avendo compreso che tutte le precedenti azioni della destra radicale, incluse le stragi, in realtà erano state manovrate da quello stesso regime che si proponeva di attaccare: "Mi assumo la responsabilità piena, completa e totale dell'ideazione, dell'organizzazione e dell'esecuzione materiale dell'attentato di Peteano, che si inquadra in una logica di rottura con la strategia che viniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie, cosiddette di destra, e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali e internazionali collocati ai vertici dello Stato. [...] Il fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere è molto chiaro: attraverso gravi provocazioni innescare una r isposta popolare di rabbia da utilizzare poi per una successiva repressione. In ultima analisi il fine massimo era quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione dello stato di emergenza. In tal modo si sarebbe realizzata quell'operazione di rafforzamento del potere che di volta in volta sentiva vacillare il proprio dominio. Il tutto, ovviamente inserito in un contesto internazionale nel quadro dell'inserimento italiano nel sistema delle alleanze occidentali" (163). L'unico fatto realmente rivoluzionario, secondo Vinciguerra, fu quello di Peteano, un'azione di guerra, esplicitamente rivolta contro lo Stato (nelle persone dei Carabinieri) e non contro una folla indiscriminata. La confessione di Vinciguerra ne determinò la condanna all'ergastolo. Solo dopo che questa passò in giudicato Vinciguerra ha assunto nei confronti della Magistratura inquirente un atteggiamento collaborativo che dura tuttora, da cui non trae alcun beneficio e il cui carattere progressivo la Commissione ha già illustrato. In tal modo è divenuto possibile ricostruire la specifica attività di Ordine Nuovo di Udine, che Vincenzo Vinciguerra guidò insieme ad un suo fratello gemello, Gaetano a partire dalla fine degli anni '60. Il repertorio d'azione del gruppo si sviluppò attraverso il consueto crescendo, cioè "propaganda attiva", risse e pestaggi degli avversari, ed almeno un caso di autofinanziamento tramite rapina ad ufficio postale (aprile 1970). Nel 1971 il gruppo iniziò a far uso di esplosivo: prima una bomba carta contro la sede della D.C., quindi attentati dinamitardi alle linee ferroviarie per protestare contro la visita ufficiale d el Maresciallo Tito in Italia. Seguirono l'esplosione di un ordigno al monumento ai caduti di Latisana, vicino a Udine, e l'incendio all'auto di un militante di sinistra. Quest'ultimo perì alcuni mesi dopo in un oscuro incidente. Dopo breve tempo (gennaio 1972), il gruppo danneggiò gravemente con una bomba la casa di un deputato missino: prevedibilmente, la sinistra fu accusata dell'accaduto (164). E' comprensibile che un simile curriculum abbia suscitato l'entusiasmo di Franco Freda. Secondo G. Ventura egli parlava compiaciuto dell'esistenza, a Udine, di "un gruppo di giovani decisi, disposti a tutto, anche a commettere attentati per simulare l'esistenza di gruppi terroristici di diversa estrazione politica" (165). L'acme dell'attività di questo gruppo di Ordine Nuovo fu l'attentato di Peteano cui seguì il già ricordato tentativo di dirottamento aereo nell'aeroporto di Ronchi dei Legionari, dove morì Ivano Boccaccio, altro componente del gruppo cui G. Vinciguerra aveva dato "uno scopo nuovo nella vita".


2.4. Alla Commissione in ordine a tale episodio non resta che prendere atto di ciò che può ritenersi rmai un fatto storico accertato e consacrato in giudicati penali di condanna; e cioè l'illecita copertura attribuita agli estremisti di destra autori dell'attentato da parte di alti ufficiali dell'Arma dei Carabinieri, tra questi il colonnello Mingarelli condannato dalla Corte di Assise di Appello di Venezia per falso materiale ed ideologico e per soppressione di prove, con decisione confermata dalla Cassazione nel maggio del 1992. Appare sul punto innegabile che i Carabinieri disponessero di un elemento chiarissimo per l'individuazione della matrice della strage, in quanto l'ordinovista Ivano Boccaccio, ucciso nel conflitto a fuoco nel corso del tentativo di dirottamento aereo di Ronchi dei Legionari, era stato trovato in possesso della stessa arma utilizzata per sparare contro i vetri della "500", ove era stata collocata la bomba di Peteano, e i cui bossoli esplosi erano stati repertati dai Carabinieri. Alla luce di ciò, è del tutto evidente come la "pista rossa" subito imboccata non può giustificarsi neppure con una volontà di trovare "comunque" il colpevole, anche a fini di "immagine"; emerge infatti chiaro l'intento deliberato di strumentalizzare un episodio, pure così tragico ed una criminalizzazione della sinistra eversiva, secondo un disegno strategico preciso. Certo o almeno estremamente probabile deve ritenersi altresì che altro settore degli apparati, e cioè il SID, conoscesse l'identità dei colpevoli fin dal 1972, come proverebbe secondo le dichiarazioni di Vinciguerra un intervento del capitano Labruna che, sempre secondo il reo confesso, si era recato a Padova pochi giorni dopo il dirottamento aereo e aveva parlato con Massimiliano Fachini dell'episodio di Ronchi dei Legionari e anche di Peteano. Labruna avrebbe detto testualmente: 'ora basta fare fesserie', ritenendo erroneamente che Vinciguerra dipendesse gerarchicamente da Fachini o comunque da elementi vicini a lui" (166). D'altro canto nell'ambiente della destra radicale in tutta Italia la convinzione che Peteano fosse opera di destra appunto era del tutto pacifica (167), anche perché la fuga in Spagna di uno dei principali imputati, C. Cicuttini era stata organizzata dalla rete ordinovista italiana ed internazionale. Cicuttini è il proprietario della pistola calibro 22 utilizzata dal Boccaccio nel già ricordato tentativo di dirottamento aereo. Secondo la Corte di Assise veneziana la sostituzione dei rapporti, le false affermazioni circa calibro e destinazione dei bossoli e l'apposizione delle firme false ebbero luogo nell'ottobre del 1972, dopo il tentato dirottamento di Ronchi, nel corso del quale il dirottatore aveva usato la pistola calibro 22 di Cicuttini, già utilizzata a Peteano. Un accurato esame dei bossoli di Peteano, ragionò la Corte, avrebbe rivelato che i colpi erano partiti dalla stessa pistola, indirizzando così le indagini sul gruppo di Ordine Nuovo, che, al contrario, non fu toccato, malgrado i numerosi e convergenti indizi a suo carico (168). Cicuttini, il proprietario della pistola, era non soltanto un membro di Ordine Nuovo, ma anche segretario di sezione dell'MSI in un vicino paese. La sua fuga in Spagna (dove si unì al gruppo di rifugiati guidato da Stefano D elle Chiaie) fu, come si è detto, favorita da un massiccio intervento dalla rete neofascista italiana ed internazionale. Vinciguerra denuncia in modo esplicito il coinvolgimento, a vario titolo, nell'episodio di alcuni dei più prestigiosi dirigenti della destra estrema e radicale, da Paolo Signorelli a Massimiliano Fachini, fino a Pino Rauti (che ne sarebbe stato solo a conoscenza). Una volta in Spagna, Cicuttini continuò ad essere protetto dai massimi vertici del partito neofascista. Egli fu poi riconosciuto autore della telefonata anonima che aveva chiamato i Carabinieri sul luogo della strage e condannato all'ergastolo. La Spagna però rifiutò di concedere l'estradizione, e Cicuttini è sempre rimasto in libertà (169). Gli ufficiali dei Carabinieri che assunsero l'incarico delle indagini, non soltanto le monopolizzarono ad esclusione di forze come la Polizia (suscitando così le vibrateproteste del Questore), ma istituirono una catena di comando eterodossa, che escludeva anche altri ufficiali dei Carabinieri non appartenenti al loro gruppo (170). Essi costituivano un gruppo strettamente coeso, che faceva riferimento al generale Palumbo, già collaboratore di De Lorenzo all'epoca del Sifar (comandava la Legione di Genova), poi risultato iscritto alla P2 e nei cui confronti la Commissione Anselmi aveva avuto parole durissime (171), identificando fra l'altro il suo comando della divisione Pastrengo di Milano con la creazione di "un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia" (172).


2.5 Dei due episodi che la Commissione ha fatto oggetto di analisi specifica (e cioé il tentato golpe del dicembre 1970 e l'attentato di Peteano) emergono quali caratteri comuni il diretto coinvolgimento della destra radicale da un lato, rilevanti episodi di copertura delle sue responsabilità da parte del Servizio di informazione e di settori istituzionali dall'altro. Tale secondo elemento è di per sé sufficiente a fondare, sia pure in via presuntiva, la convinzione di un coinvolgimento di apparati e strutture istituzionali nelle vicende medesime o in altre alle stesse collegate, perché la presupposizione di un tessuto collusivo è idonea a motivare logicamente la successiva attività di copertura. Peraltro un tal tipo di coinvolgimento, almeno con riferimento al golpe Borghese, può affermarsi risultato di un'accertamento diretto e non soltanto di una ragionevole presunzione. Le costanti innanzi ricordate sono rinvenibili altresì in molti degli episodi, tutti relativi alla prima metà degli anni '70, evidenziati nella parte finale del precedente capitolo; e caratterizzano l'attività di due gruppi (di minore ampiezza rispetto ai già esaminati ON e AN), il cui ruolo negli eventi del periodo tende ad assumere maggior rilievo in indagini recenti, cui si è già fatto più volte riferimento.
 
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"Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere"... [Leggi]
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