Processo Moro Ter
06. Il comunicato sul Lago della Duchessa
Documento aggiornato al 04/04/2005
E' una verità processuale quella della falsità del comunicato n.7 fatto rinvenire, lo stesso giorno della scoperta della base di via Gradoli, dietro il monumento di G.Belli, a Trastevere, con il quale si dà notizia dell'avvenuta esecuzione della condanna a morte dell'on Moro "mediante suicidio" e si dà l'esatta indicazione del luogo - lago della Duchessa sito in provincia di Rieti - di giacitura del cadavere. Il comunicato viene smentito con altro vero, avente la stessa numerazione, con allegata una fotografia dell'on. Moro con in mano una copia del giornale "Repubblica". Questa smentita e quelle successive, anche di Morucci, non risolvono il problema in quanto astrattamente e logicamente - per l'esistenza di voci nel processo, quali quelle di Cianfanelli e di Savasta che attribuiscono proprio a costui la falsificazione e divulgazione del documento - sono possibili varie ipotesi. E' possibile che le Brigate Rosse abbiano voluto saggiare la reazione delle istituzioni alla notizia della uccisione dell'on. Moro. E' improbabile, - ma astrattamente possibile - è questa l'ipotesi prospettata da Morucci, Faranda e dalle stesse Brigate Rosse che parlano di "una lugubre mossa degli specialisti della guerra psicologica" - che i "servizi" abbiano falsificato e diffuso il documento per preparare la popolazione all'evento che sembrava inevitabile. Entrambe le ipotesi non possono essere seguite perché contrastate da quella, basata sulle risultanze delle indagini, di cui vi è traccia in questo processo, dell'attribuzione del falso alle stesse persone, aventi collegamenti inquietanti, legate agli autori della rapina alla Brink Securmak di Valle Aurelia, che fanno rinvenire, ancora una volta dietro la statua di Gioacchino Belli, il 26.3.84, schede dattiloscritte relative ad una operazione denominata ANA, a Pecorelli Nino ed altri.
Si assume che il falso dovrebbe essere attribuito anche alle stesse persone che fanno rinvenire, o dimenticano, il 14.4.79, in un taxi, un borsello contenente una pistola, una testina rotante IBM identica a quella che sarà sequestrata a tale Cincarelli, nell'agosto del 1979, copie delle schede rinvenute in originale dietro la statua di Gioacchino Belli e scritti apparentemente delle BR, asseritamente identici a quelli sequestrati nella base di via Gradoli.
Sul punto, è opportuno non procedere a valutazioni essendo pendente un presso.
Invero, gli elementi acquisiti al processo, valutati ed approfonditi attraverso un coordinamento storico e logico degli avvenimenti, impongono un'unica ipotesi possibile, verosimile, seria e cioè quella di un serio tentativo di salvare la vita dell'on. Moro con un documento falso che, nelle intenzioni, doveva rompere la diabolica strategia di tensione morale e politica creata dalle Brigate Rosse nel paese, quella astuta regia e quello stillicidio continuo di minacce. Nelle intenzioni, con quel documento si prospetta, concretamente, ai teorici deliranti delle Brigate Rosse che l'omicidio dello statista non può determinare nella gente, nelle istituzioni e nella collettività altro che quel diffuso senso condanna morale verso un atto cosi spietato e folle. Il falso documento vuole portare gli invasati a riflettere, a toccare la reazione unanime della gente alla notizia dell'omicidio, vuol prospettare loro in concreto la realtà del paese nel caso di effettivo assassinio dello statista. Con quel documento, si dice sostanzialmente a Moretti ed agli altri compagni che vogliono vestirsi da boia, che quell'omicidio è inutile, è un atto di barbarie che come tale viene vissuto dalla collettività, che non è destabilizzante perché rafforza i vincoli di solidarietà nazionale tra la gente, i partiti, le istituzioni che si distaccano, proprio per quella follia, da una strategia di posizione per giungere ad un movimento di mezzi e idee che possono distruggere il fenomeno terroristico.
Le Brigate Rosse, però, non riflettono, non hanno il tempo di riflettere perché, immediatamente promulgano il comunicato di smentita. Dirà Morucci, nel corso del dibattimento, che quel falso comunicato rende irreversibile la condanna a morte dell'on. Moro, accelerandone i tempi di esecuzione. Questa è una tesi inaccettabile che è propria delle Brigate Rosse. E' un tentativo subdolo, miserevole di trasferire su altri la responsabilità morale dell'omicidio, tentativo che non è il fatto psicologico di chi avverte il peso di un'azione cosi nefanda e vuole rimuoverla dalla coscienza ma tipico di chi, macerato da una ideologia di morte ed invasato dalla follia sanguinaria, non avverte la colpa di aver ucciso e giustifica il proprio gesto con l'ideologia e le pretese colpe altrui. Morucci e gli altri brigatisti sanno di aver assassinato Moro, non per quel comunicato, bensì perché ormai gli idealisti si sono trasformati in sciacalli capaci soltanto di colpire a tradimento uomini inermi ed inerti che li sovrastano per dignità anche nell'affrontare la morte.
Si assume che il falso dovrebbe essere attribuito anche alle stesse persone che fanno rinvenire, o dimenticano, il 14.4.79, in un taxi, un borsello contenente una pistola, una testina rotante IBM identica a quella che sarà sequestrata a tale Cincarelli, nell'agosto del 1979, copie delle schede rinvenute in originale dietro la statua di Gioacchino Belli e scritti apparentemente delle BR, asseritamente identici a quelli sequestrati nella base di via Gradoli.
Sul punto, è opportuno non procedere a valutazioni essendo pendente un presso.
Invero, gli elementi acquisiti al processo, valutati ed approfonditi attraverso un coordinamento storico e logico degli avvenimenti, impongono un'unica ipotesi possibile, verosimile, seria e cioè quella di un serio tentativo di salvare la vita dell'on. Moro con un documento falso che, nelle intenzioni, doveva rompere la diabolica strategia di tensione morale e politica creata dalle Brigate Rosse nel paese, quella astuta regia e quello stillicidio continuo di minacce. Nelle intenzioni, con quel documento si prospetta, concretamente, ai teorici deliranti delle Brigate Rosse che l'omicidio dello statista non può determinare nella gente, nelle istituzioni e nella collettività altro che quel diffuso senso condanna morale verso un atto cosi spietato e folle. Il falso documento vuole portare gli invasati a riflettere, a toccare la reazione unanime della gente alla notizia dell'omicidio, vuol prospettare loro in concreto la realtà del paese nel caso di effettivo assassinio dello statista. Con quel documento, si dice sostanzialmente a Moretti ed agli altri compagni che vogliono vestirsi da boia, che quell'omicidio è inutile, è un atto di barbarie che come tale viene vissuto dalla collettività, che non è destabilizzante perché rafforza i vincoli di solidarietà nazionale tra la gente, i partiti, le istituzioni che si distaccano, proprio per quella follia, da una strategia di posizione per giungere ad un movimento di mezzi e idee che possono distruggere il fenomeno terroristico.
Le Brigate Rosse, però, non riflettono, non hanno il tempo di riflettere perché, immediatamente promulgano il comunicato di smentita. Dirà Morucci, nel corso del dibattimento, che quel falso comunicato rende irreversibile la condanna a morte dell'on. Moro, accelerandone i tempi di esecuzione. Questa è una tesi inaccettabile che è propria delle Brigate Rosse. E' un tentativo subdolo, miserevole di trasferire su altri la responsabilità morale dell'omicidio, tentativo che non è il fatto psicologico di chi avverte il peso di un'azione cosi nefanda e vuole rimuoverla dalla coscienza ma tipico di chi, macerato da una ideologia di morte ed invasato dalla follia sanguinaria, non avverte la colpa di aver ucciso e giustifica il proprio gesto con l'ideologia e le pretese colpe altrui. Morucci e gli altri brigatisti sanno di aver assassinato Moro, non per quel comunicato, bensì perché ormai gli idealisti si sono trasformati in sciacalli capaci soltanto di colpire a tradimento uomini inermi ed inerti che li sovrastano per dignità anche nell'affrontare la morte.