Processo Metropoli
05. Le posizioni di Piperno e Pace
Con riferimento alle restanti imputazioni
Documento aggiornato al 15/04/2005
Il nucleo centrale delle imputazioni contestate a Piperno e Pace, quello sul quale, soprattutto, la Corte si è nel corso dell'istruttoria dibattimentale più a lungo soffermata, attiene alla partecipazione dei due imputati alla tragica vicenda Moro.
Va detto che agevolmente potrebbe pervenirsi all'affermazione delle responsabilità dei giudicabili avvalendosi delle "letture" dei comportamenti dei due da parte delle Brigate rosse. Sia, infatti, che ci si soffermi, sulla ragion d'essere del "congelamento" di Morucci e Faranda (sintomatico è lo sbattere della rivista "Pre-print" da parte di Gallinari sul tavolo, come scoperta dei "burattinai") sia che, muovendo anche da alcune dichiarazioni del Savasta, l'attenzione si sposti sul documento della brigata di campo, non par dubbio che, secondo la valutazione delle B.R., Morucci e Faranda erano legati ombelicalmente a Pace e Piperno, che a loro piacimento li manovravano. Esplicita è, ad esempio, nella dichiarazione di Savasta riassunta nella premessa di Gatto della presunta sentenza, l'affermazione del riferimento anche a Piperno e Pace dell'operazione Moro.
In quest'ottica, il muoversi di Piperno e Pace nella ricerca di soldi con le Forze politiche istituzionali per dare sbocco concreto alle trattative, assume, poi, un forte valore indiziante di una partecipazione alla "gestione" del sequestro, sia pure innestando in questa le trame di una tessitura diversa rispetto a quella del Comitato esecutivo delle Brigate rosse.
Un muoversi, tutto sommato, di una minoranza che, dall'interno attraverso Morucci e Faranda, dall'esterno, attraverso le capacità di sviluppare contatti con Forze politiche istituzionali, tenta la strada di un mutamento nella strategia della banda armata, come prosecuzione di un'antica prospettazione.
Sfuma, allora, il contorno della ricerca di una soluzione "umanitaria" e l'azione si colora per quel dì di un insistere su un mutamento degli obiettivi immediati della banda armata.
In questa prospettazione, nella traduzione di essa in termini di qualificazione giuridica, par chiaro il convergere della gestione del sequestro verso la realizzazione del fine perseguito con lo stesso, il disaccordo, centrandosi soltanto sulla pericolosità (ai fini della stessa organizzazione), dell'innalzamento del livello di scontro, fermo restando il raggiungimento dell'obiettivo di un qualche consistente "riconoscimento" dell'interlocutore armato.
Ed è, in fondo, o può essere un tassello per questo mosaico il fatto riferito dal Morucci del rimprovero mossogli dal Piperno per la fuoriuscita dalle B.R., un timore, quindi, per l'impossibilità di manovrare attraverso presenze non trascurabili nell'interno dell'organizzazione.
Ed ancora a contribuire a questa "lettura" delle risultanze processuali può dare un ragguardevole contributo quanto precisato nel processo da una fonte (il Savasta) circa l'impegno asssunto dal Piperno di sostenere su "Metropoli" la linea delle Brigate rosse.
Una ricostruzione questa delle B.R. avente a monte l'intento di coprire la stessa con un "cappello" che saldasse l'efficienza, geometrica, della potenza armata con le istanze immediate del Movimento.
Sarebbe agevole, peraltro, in questa prospettazione, spiegare il gran muoversi di Pace nella ricerca di contatti politici in funzione quasi di interprete autentico di messaggi delle B.R. Ma, tuttavia, se così facesse, la Corte rinuncerebbe al proprio dovere di valutare le risultanze e adagerebbe la propria decisione su quella adottata dalle B.R.. Già par chiaro, sul punto, anzitutto che il giudizio espresso dalla banda armata era un giudizio, nell'ottica di questa interpretazione del comportamento di Morucci e di Faranda in termini politici.
Esatto è, al riguardo, il rilievo di Franceschini circa l'esigenza di "svilire" al livello di marionette i due dissidenti.
Inoltre, che antecedentemente alla strage di via Fani ci fosse stata una qualche partecipazione del Piperno alla relativa decisione, non risulta neanche dalle dichiarazioni dinanzi accennate rese da Antonio Savasta.
Quivi, infatti, il "dopo", acquista un valore sintomatico del "prima", cioè una volta stabilito il collegamento tra la diaspora e Piperno, a questo si fa carico di tutto il comportamento delle "pedine" manovrate.
Ma di queste "pedine" non c'è il processo, un elemento probatorio che consenta alla Corte di ritenere che trattasi effettivamente di pezzi da manovrare, fedeli esecutori di ordini, ubbidienti, pronti a richiedere autorizzazioni ad agire.
Peraltro, la convergenza su posizioni politiche non implica necessariamente subalternità degli uni all'altro.
Non ha rilievo per la Corte ricercare le ragioni profonde del muoversi di Piperno in occasione del tentativo di intrattenere trattative sulla sorte dell'on. Moro. Ad eccezion fatta, però, di una esclusione. Quella relativa, cioè, all'innestarsi dell'attività di Piperno sul filone esclusivo del raggiungimento del risultato perseguito. La Corte non ignora la linea giurisprudenziale tracciata dalla Suprema Corte di Cassazione di termini di responsabilità a titolo di concorso dell'attività di chi svolge, a sequestro avvenuto, un comportamento diretto, comunque, a fare ottenere il vantaggio perseguito con il sequestro stesso (ad esempio il prezzo del riscatto).
Osserva però al riguardo, la Corte, che deve trattarsi, pur sempre, di un'attività che si inserisca con efficienza causale nel mantenimento del sequestro. Là dove il comportamento dell'intervento si limiti a "spiegare", ad "interpretare" messaggi degli altri, senza alcuna possibilità di incidere direttamente sulla sorte del sequestrato, non par dubbio al Collegio che non si tratti di un'attività concorsuale.
Piperno formulava da anni, sia pure con qualche interruzione, conseguente al "ritiro" cosentino, una data ipotesi politica e la prospettiva anche, ovviamente, per influire sulla linea di sviluppo delle B.R.
Con momenti di avvicinamento od anche, a volte, di contatto più penetrante, ma le risultanze processuali, in primo luogo, le nette affermazioni anche di Bonisoli, consentono di ritenere che il Piperno fu del tutto estraneo all'eccidio di via Fani e alla gestione del sequestro Moro.
Egli agì, durante questo sequestro, preoccupato delle sorti del Movimento, dall'impatto su questo dell'innalzamento del livello di scontro, ponendosi in un'ottica diversa da quanti, per la realizzazione di fini umanitari, lo contattarono.
Ma questo suo agire per un fine diverso rispetto a quello perseguito da alcune Forze istituzionali, non legittima l'inferenza che egli agì "in concorso" con le Brigate rosse.
Il discorso sulla "contiguità" delle aree non si può tradurre nell'affermazione della medesimezza delle aree stesse e, più ancora, per quello che interessa i giudici da vicino, non legittima l'assunzione di responsabilità penale concorsuale.
Se i giudici avessero raccolto adeguato materiale probatorio per coonestare il giudizio espresso, dopo la diaspora, dalle B.R., il risultato del processo sarebbe stato diverso.
Ma il materiale raccolto costituito anche dalle affermazioni dibattimentali di Bonisoli e di Franceschini dimostra, invece, che Piperno restò fuori dall'organizzazione "B.R." e non fu coinvolto né nella strage di via Fani né nell'uccisione dell'on. Moro. Consegue il proscioglimento con la formula per non aver commesso il fatto da tutte le imputazioni residue rispetto a quelle per le quali già in precedenza, nel corpo di questa stessa sentenza, si è pervenuti all'affermazione di colpevolezza del Piperno o al proscioglimento con una diversa formula.
Diverso è il problema relativo alla posizione di Lanfranco Pace per quanto concerne la responsabilità di questo in ordine alla strage di via Fani, al sequestro e all'omicidio dell'on. Moro e ai reati commessi (diversi, si intende, da quello di banda armata) dalle Brigate rosse e contestati come attività concorsuali al Pace.
Questi, invero, militò sicuramente, per la sua stessa affermazione, avvalorata dalle dichiarazioni di Morucci, nella brigata servizi delle B.R. Una brigata che, nell'organigramma della banda, aveva compiti essenziali per la sopravvivenza e la realizzazione dei fini delittuosi perseguiti dalle bande stesse.
Pace, secondo l'assunto suo e di Morucci, soggiornò, però per un limitato periodo di tempo, in questa struttura, per allontanarsene, quasi "placidamente" poco tempo dopo.
Un allontanamento che avrebbe assunto la dimensione quasi di un "defilarsi" attraverso il mancato rispetto degli appuntamenti anche "di recupero".
Uno strano ritorno di Pace alla legalità senza alcun rimbrotto ed anche senza alcuna richiesta di "spiegazioni" da parte di un organizzazione che considerava se stessa come particolarmente rigida. Lo strano fu ancora quello che, nonostante la pretesa inaffidabilità (a volte par di capire per la tendenza al gioco del poker), tanto i dissidenti, quanto il nucleo direttivo delle B.R. tornano a contattare Pace per finalità non trascurabili. Uno scopo di aggiornamento della situazione e della ricerca di aiuto anche "per armi e bagagli" (vistosi in ogni caso) da parte di Morucci e Faranda e questo consentirebbe l'approdo "de plano" ad un giudizio di definitivo allontanamento da parte del Pace dall'organizzazione B.R.. Con in più il corollario del muoversi del Pace durante il sequestro dell'on. Moro in una posizione assolutamente esterna rispetto a quella delle B.R.
Di contro, tuttavia, c'è un fatto di particolare rilievo costituito dal ricorso al Pace da parte dei vertici delle B.R. per ristabilire contatti con altre organizzazioni armate. Ne deriva inquietudine su questo ruolo di cucitore di Pace quasi una posizione di supervisione dell'uno e l'altro gruppo; una posizione che non può essere facilmente accantonata specie quando si tengano in considerazione i comportamenti antecedenti del Pace in ordine ai vari tentativi di cucire strappi di condurre ad un'unità e di dotare di armi e di supporti ideologici la lotta armata.
Un ruolo, in ogni caso, che smentisce il giudizio di inaffidabilità non fosse altro che per l'estrema delicatezza dell'incarico affidatogli, la pericolosità dell'espletamento dello stesso e la potenzialità criminosa dell'alleanze da stabilire.
In questa situazione, la Corte deve valutare il peso delle affermazioni relative all'estraneità del Pace ai reati contestategli diversi da quelli della banda armata e soppesarle alla luce della prova di un comportamento oggettivamente di sostegno alla continuità delle B.R. Con possibili inferenze sulla sostanziale permanenza del Pace in seno all'organizzazione, inferenze, tuttavia, a livello di dubbio; tali, appunto, da legittimare un giudizio di proscioglimento con formula dubitativa.
Va detto che agevolmente potrebbe pervenirsi all'affermazione delle responsabilità dei giudicabili avvalendosi delle "letture" dei comportamenti dei due da parte delle Brigate rosse. Sia, infatti, che ci si soffermi, sulla ragion d'essere del "congelamento" di Morucci e Faranda (sintomatico è lo sbattere della rivista "Pre-print" da parte di Gallinari sul tavolo, come scoperta dei "burattinai") sia che, muovendo anche da alcune dichiarazioni del Savasta, l'attenzione si sposti sul documento della brigata di campo, non par dubbio che, secondo la valutazione delle B.R., Morucci e Faranda erano legati ombelicalmente a Pace e Piperno, che a loro piacimento li manovravano. Esplicita è, ad esempio, nella dichiarazione di Savasta riassunta nella premessa di Gatto della presunta sentenza, l'affermazione del riferimento anche a Piperno e Pace dell'operazione Moro.
In quest'ottica, il muoversi di Piperno e Pace nella ricerca di soldi con le Forze politiche istituzionali per dare sbocco concreto alle trattative, assume, poi, un forte valore indiziante di una partecipazione alla "gestione" del sequestro, sia pure innestando in questa le trame di una tessitura diversa rispetto a quella del Comitato esecutivo delle Brigate rosse.
Un muoversi, tutto sommato, di una minoranza che, dall'interno attraverso Morucci e Faranda, dall'esterno, attraverso le capacità di sviluppare contatti con Forze politiche istituzionali, tenta la strada di un mutamento nella strategia della banda armata, come prosecuzione di un'antica prospettazione.
Sfuma, allora, il contorno della ricerca di una soluzione "umanitaria" e l'azione si colora per quel dì di un insistere su un mutamento degli obiettivi immediati della banda armata.
In questa prospettazione, nella traduzione di essa in termini di qualificazione giuridica, par chiaro il convergere della gestione del sequestro verso la realizzazione del fine perseguito con lo stesso, il disaccordo, centrandosi soltanto sulla pericolosità (ai fini della stessa organizzazione), dell'innalzamento del livello di scontro, fermo restando il raggiungimento dell'obiettivo di un qualche consistente "riconoscimento" dell'interlocutore armato.
Ed è, in fondo, o può essere un tassello per questo mosaico il fatto riferito dal Morucci del rimprovero mossogli dal Piperno per la fuoriuscita dalle B.R., un timore, quindi, per l'impossibilità di manovrare attraverso presenze non trascurabili nell'interno dell'organizzazione.
Ed ancora a contribuire a questa "lettura" delle risultanze processuali può dare un ragguardevole contributo quanto precisato nel processo da una fonte (il Savasta) circa l'impegno asssunto dal Piperno di sostenere su "Metropoli" la linea delle Brigate rosse.
Una ricostruzione questa delle B.R. avente a monte l'intento di coprire la stessa con un "cappello" che saldasse l'efficienza, geometrica, della potenza armata con le istanze immediate del Movimento.
Sarebbe agevole, peraltro, in questa prospettazione, spiegare il gran muoversi di Pace nella ricerca di contatti politici in funzione quasi di interprete autentico di messaggi delle B.R. Ma, tuttavia, se così facesse, la Corte rinuncerebbe al proprio dovere di valutare le risultanze e adagerebbe la propria decisione su quella adottata dalle B.R.. Già par chiaro, sul punto, anzitutto che il giudizio espresso dalla banda armata era un giudizio, nell'ottica di questa interpretazione del comportamento di Morucci e di Faranda in termini politici.
Esatto è, al riguardo, il rilievo di Franceschini circa l'esigenza di "svilire" al livello di marionette i due dissidenti.
Inoltre, che antecedentemente alla strage di via Fani ci fosse stata una qualche partecipazione del Piperno alla relativa decisione, non risulta neanche dalle dichiarazioni dinanzi accennate rese da Antonio Savasta.
Quivi, infatti, il "dopo", acquista un valore sintomatico del "prima", cioè una volta stabilito il collegamento tra la diaspora e Piperno, a questo si fa carico di tutto il comportamento delle "pedine" manovrate.
Ma di queste "pedine" non c'è il processo, un elemento probatorio che consenta alla Corte di ritenere che trattasi effettivamente di pezzi da manovrare, fedeli esecutori di ordini, ubbidienti, pronti a richiedere autorizzazioni ad agire.
Peraltro, la convergenza su posizioni politiche non implica necessariamente subalternità degli uni all'altro.
Non ha rilievo per la Corte ricercare le ragioni profonde del muoversi di Piperno in occasione del tentativo di intrattenere trattative sulla sorte dell'on. Moro. Ad eccezion fatta, però, di una esclusione. Quella relativa, cioè, all'innestarsi dell'attività di Piperno sul filone esclusivo del raggiungimento del risultato perseguito. La Corte non ignora la linea giurisprudenziale tracciata dalla Suprema Corte di Cassazione di termini di responsabilità a titolo di concorso dell'attività di chi svolge, a sequestro avvenuto, un comportamento diretto, comunque, a fare ottenere il vantaggio perseguito con il sequestro stesso (ad esempio il prezzo del riscatto).
Osserva però al riguardo, la Corte, che deve trattarsi, pur sempre, di un'attività che si inserisca con efficienza causale nel mantenimento del sequestro. Là dove il comportamento dell'intervento si limiti a "spiegare", ad "interpretare" messaggi degli altri, senza alcuna possibilità di incidere direttamente sulla sorte del sequestrato, non par dubbio al Collegio che non si tratti di un'attività concorsuale.
Piperno formulava da anni, sia pure con qualche interruzione, conseguente al "ritiro" cosentino, una data ipotesi politica e la prospettiva anche, ovviamente, per influire sulla linea di sviluppo delle B.R.
Con momenti di avvicinamento od anche, a volte, di contatto più penetrante, ma le risultanze processuali, in primo luogo, le nette affermazioni anche di Bonisoli, consentono di ritenere che il Piperno fu del tutto estraneo all'eccidio di via Fani e alla gestione del sequestro Moro.
Egli agì, durante questo sequestro, preoccupato delle sorti del Movimento, dall'impatto su questo dell'innalzamento del livello di scontro, ponendosi in un'ottica diversa da quanti, per la realizzazione di fini umanitari, lo contattarono.
Ma questo suo agire per un fine diverso rispetto a quello perseguito da alcune Forze istituzionali, non legittima l'inferenza che egli agì "in concorso" con le Brigate rosse.
Il discorso sulla "contiguità" delle aree non si può tradurre nell'affermazione della medesimezza delle aree stesse e, più ancora, per quello che interessa i giudici da vicino, non legittima l'assunzione di responsabilità penale concorsuale.
Se i giudici avessero raccolto adeguato materiale probatorio per coonestare il giudizio espresso, dopo la diaspora, dalle B.R., il risultato del processo sarebbe stato diverso.
Ma il materiale raccolto costituito anche dalle affermazioni dibattimentali di Bonisoli e di Franceschini dimostra, invece, che Piperno restò fuori dall'organizzazione "B.R." e non fu coinvolto né nella strage di via Fani né nell'uccisione dell'on. Moro. Consegue il proscioglimento con la formula per non aver commesso il fatto da tutte le imputazioni residue rispetto a quelle per le quali già in precedenza, nel corpo di questa stessa sentenza, si è pervenuti all'affermazione di colpevolezza del Piperno o al proscioglimento con una diversa formula.
Diverso è il problema relativo alla posizione di Lanfranco Pace per quanto concerne la responsabilità di questo in ordine alla strage di via Fani, al sequestro e all'omicidio dell'on. Moro e ai reati commessi (diversi, si intende, da quello di banda armata) dalle Brigate rosse e contestati come attività concorsuali al Pace.
Questi, invero, militò sicuramente, per la sua stessa affermazione, avvalorata dalle dichiarazioni di Morucci, nella brigata servizi delle B.R. Una brigata che, nell'organigramma della banda, aveva compiti essenziali per la sopravvivenza e la realizzazione dei fini delittuosi perseguiti dalle bande stesse.
Pace, secondo l'assunto suo e di Morucci, soggiornò, però per un limitato periodo di tempo, in questa struttura, per allontanarsene, quasi "placidamente" poco tempo dopo.
Un allontanamento che avrebbe assunto la dimensione quasi di un "defilarsi" attraverso il mancato rispetto degli appuntamenti anche "di recupero".
Uno strano ritorno di Pace alla legalità senza alcun rimbrotto ed anche senza alcuna richiesta di "spiegazioni" da parte di un organizzazione che considerava se stessa come particolarmente rigida. Lo strano fu ancora quello che, nonostante la pretesa inaffidabilità (a volte par di capire per la tendenza al gioco del poker), tanto i dissidenti, quanto il nucleo direttivo delle B.R. tornano a contattare Pace per finalità non trascurabili. Uno scopo di aggiornamento della situazione e della ricerca di aiuto anche "per armi e bagagli" (vistosi in ogni caso) da parte di Morucci e Faranda e questo consentirebbe l'approdo "de plano" ad un giudizio di definitivo allontanamento da parte del Pace dall'organizzazione B.R.. Con in più il corollario del muoversi del Pace durante il sequestro dell'on. Moro in una posizione assolutamente esterna rispetto a quella delle B.R.
Di contro, tuttavia, c'è un fatto di particolare rilievo costituito dal ricorso al Pace da parte dei vertici delle B.R. per ristabilire contatti con altre organizzazioni armate. Ne deriva inquietudine su questo ruolo di cucitore di Pace quasi una posizione di supervisione dell'uno e l'altro gruppo; una posizione che non può essere facilmente accantonata specie quando si tengano in considerazione i comportamenti antecedenti del Pace in ordine ai vari tentativi di cucire strappi di condurre ad un'unità e di dotare di armi e di supporti ideologici la lotta armata.
Un ruolo, in ogni caso, che smentisce il giudizio di inaffidabilità non fosse altro che per l'estrema delicatezza dell'incarico affidatogli, la pericolosità dell'espletamento dello stesso e la potenzialità criminosa dell'alleanze da stabilire.
In questa situazione, la Corte deve valutare il peso delle affermazioni relative all'estraneità del Pace ai reati contestategli diversi da quelli della banda armata e soppesarle alla luce della prova di un comportamento oggettivamente di sostegno alla continuità delle B.R. Con possibili inferenze sulla sostanziale permanenza del Pace in seno all'organizzazione, inferenze, tuttavia, a livello di dubbio; tali, appunto, da legittimare un giudizio di proscioglimento con formula dubitativa.