Relazione del Sen. Raniero La Valle
03. Una gestione inadeguata della crisi
Gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente del Senato
Documento aggiornato al 29/04/2005
Questa domanda non esclude altre domande o riflessioni su responsabilità specifiche e comportamenti inadeguati che hanno contrassegnato la gestione della crisi.
1) C'è da chiedersi il perché della sottovalutazione, fino al 15 marzo 1978, del fenomeno terroristico, da parte degli apparati dello Stato, sottovalutazione ammessa da tutti i responsabili politici dell'epoca, benché il terrorismo avesse fatto irruzione già da dieci anni nella vita politica italiana con la strage di Piazza Fontana e presentasse uno stato di servizio tutt'altro che trascurabile e benché non mancassero elementi di conoscenza apprezzabili nel patrimonio informativo delle forze di polizia.
2) C'è da interrogarsi su quello che potrebbe chiamarsi un basso profilo nella gestione politica della crisi da parte di uno degli organi istituzionali dello Stato, cioè del Governo inteso nella sua collegialità come Consiglio dei Ministri, che al caso Moro dedicò nei 55 giorni, come risulta dai verbali, rare e rapidissime attenzioni, delegando la questione al Comitato interministeriale per la sicurezza, organo politico-burocratico formato da un certo numero di ministri e di alti funzionari dello Stato, integrato per l'occasione dal Ministro Morlino, e ad organi prevalentemente tecnici, come il cosiddetto gruppo tecnico-operativo del Ministero degli Interni. Il Consiglio dei Ministri, come tale, fu per la prima volta investito della questione subito dopo il sequestro e la strage, in una febbrile riunione di venti minuti, tra le 11 e le 11.20 del 16 marzo 1978. La decisione politica detta della "fermezza", che il Governo adottò e poi sempre mantenne, non fu discussa e prescelta in quella sede, né successivamente fu oggetto di discussione e deliberazione da parte dell'organo collegale di Governo. Essa venne data per presupposta e per ovvia. Nel secondo Consiglio dei Ministri dopo il sequestro, il 21 marzo, come si legge nella lettera che accompagna i verbali, "l'argomento non risulta trattato".Nel successivo Consiglio dei Ministri del 30 marzo il Presidente del Consiglio diede notizia dell'arrivo della lettera di Moro a Cossiga, ma trattandosi di "cosa delicata" ritenne che non fosse il caso di discuterne quel giorno, riservandosi di convocare il Consiglio se ci fossero state decisioni da prendere. Ma non ce ne furono, e il Consiglio non tornò a riunirsi che il 14 aprile. Quel giorno il Ministro degli Interni Cossiga riferì sugli incontri con i colleghi tedesco, austriaco e svizzero; nella successiva riunione del 21 aprile assicurò che le indagini proseguivano, nei Consigli dei Ministri del 28 aprile e del 5 maggio l'argomento non venne trattato, nel Consiglio dei Ministri del 9 maggio infine venne commemorata la figura dell'onorevole Moro e, in luogo di indire celebrazioni pubbliche non gradite dalla famiglia, fu dichiarata l'intenzione di istituire borse di studio in suo onore.
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3) Vanno ulteriormente precisate le responsabilità specifiche delle gravi deficienze ed omissioni sul piano operativo, a cominciare dalla inadeguatezza dei mezzi messi a disposizione dei magistrati inquirenti (il telefono a gettoni!) come ampiamente si documenta nella relazione conclusiva della Commissione.
4) Ci si può chiedere se non ci fu una valutazione squilibrata dell'evento; venne dato in effetti il massimo risalto al sequestro come attentato allo Stato democratico, nella sua figura complessiva di ordinamento giuridico fondato sulla certezza e imparzialità del diritto; venne dato il massimo risalto all'attentato alla persona dell'on. Moro come individuo appartenente alla specie umana, e come cittadino meritevole di tutela come ogni altro cittadino ingiustamente minacciato o colpito; venne dato il minimo rilievo al significato peculiarissimo dell'attentato alla persona dell'on. Moro come portatore di un ruolo e di un disegno politico assolutamente cruciali e determinanti in quella particolare fase della vita del nostro Paese, ben al di là della rilevanza della stessa carica pubblica che egli in quel momento materialmente rivestiva, con la conseguenza di graduare e proporzionare la risposta operativa e politica dello Stato ai primi due significati della sfida, e di lasciare invece senza adeguata risposta la terza, che pur era, dal punto di vista degli attentatori, la più importante e la ragione stessa dell'attacco.
5) Ci si può chiedere infine se non ci fu una inadeguata percezione non tanto e non solo delle connessioni internazionali del terrorismo, quanto del quadro internazionale in cui la vicenda veniva a collocarsi, e da cui traeva il suo pieno significato.
Su questi ultimi due punti, a cui non mancano accenni, tuttavia non sufficienti, nella relazione di maggioranza, si intendono suggerire qui alcune riflessioni.
1) C'è da chiedersi il perché della sottovalutazione, fino al 15 marzo 1978, del fenomeno terroristico, da parte degli apparati dello Stato, sottovalutazione ammessa da tutti i responsabili politici dell'epoca, benché il terrorismo avesse fatto irruzione già da dieci anni nella vita politica italiana con la strage di Piazza Fontana e presentasse uno stato di servizio tutt'altro che trascurabile e benché non mancassero elementi di conoscenza apprezzabili nel patrimonio informativo delle forze di polizia.
2) C'è da interrogarsi su quello che potrebbe chiamarsi un basso profilo nella gestione politica della crisi da parte di uno degli organi istituzionali dello Stato, cioè del Governo inteso nella sua collegialità come Consiglio dei Ministri, che al caso Moro dedicò nei 55 giorni, come risulta dai verbali, rare e rapidissime attenzioni, delegando la questione al Comitato interministeriale per la sicurezza, organo politico-burocratico formato da un certo numero di ministri e di alti funzionari dello Stato, integrato per l'occasione dal Ministro Morlino, e ad organi prevalentemente tecnici, come il cosiddetto gruppo tecnico-operativo del Ministero degli Interni. Il Consiglio dei Ministri, come tale, fu per la prima volta investito della questione subito dopo il sequestro e la strage, in una febbrile riunione di venti minuti, tra le 11 e le 11.20 del 16 marzo 1978. La decisione politica detta della "fermezza", che il Governo adottò e poi sempre mantenne, non fu discussa e prescelta in quella sede, né successivamente fu oggetto di discussione e deliberazione da parte dell'organo collegale di Governo. Essa venne data per presupposta e per ovvia. Nel secondo Consiglio dei Ministri dopo il sequestro, il 21 marzo, come si legge nella lettera che accompagna i verbali, "l'argomento non risulta trattato".Nel successivo Consiglio dei Ministri del 30 marzo il Presidente del Consiglio diede notizia dell'arrivo della lettera di Moro a Cossiga, ma trattandosi di "cosa delicata" ritenne che non fosse il caso di discuterne quel giorno, riservandosi di convocare il Consiglio se ci fossero state decisioni da prendere. Ma non ce ne furono, e il Consiglio non tornò a riunirsi che il 14 aprile. Quel giorno il Ministro degli Interni Cossiga riferì sugli incontri con i colleghi tedesco, austriaco e svizzero; nella successiva riunione del 21 aprile assicurò che le indagini proseguivano, nei Consigli dei Ministri del 28 aprile e del 5 maggio l'argomento non venne trattato, nel Consiglio dei Ministri del 9 maggio infine venne commemorata la figura dell'onorevole Moro e, in luogo di indire celebrazioni pubbliche non gradite dalla famiglia, fu dichiarata l'intenzione di istituire borse di studio in suo onore.
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3) Vanno ulteriormente precisate le responsabilità specifiche delle gravi deficienze ed omissioni sul piano operativo, a cominciare dalla inadeguatezza dei mezzi messi a disposizione dei magistrati inquirenti (il telefono a gettoni!) come ampiamente si documenta nella relazione conclusiva della Commissione.
4) Ci si può chiedere se non ci fu una valutazione squilibrata dell'evento; venne dato in effetti il massimo risalto al sequestro come attentato allo Stato democratico, nella sua figura complessiva di ordinamento giuridico fondato sulla certezza e imparzialità del diritto; venne dato il massimo risalto all'attentato alla persona dell'on. Moro come individuo appartenente alla specie umana, e come cittadino meritevole di tutela come ogni altro cittadino ingiustamente minacciato o colpito; venne dato il minimo rilievo al significato peculiarissimo dell'attentato alla persona dell'on. Moro come portatore di un ruolo e di un disegno politico assolutamente cruciali e determinanti in quella particolare fase della vita del nostro Paese, ben al di là della rilevanza della stessa carica pubblica che egli in quel momento materialmente rivestiva, con la conseguenza di graduare e proporzionare la risposta operativa e politica dello Stato ai primi due significati della sfida, e di lasciare invece senza adeguata risposta la terza, che pur era, dal punto di vista degli attentatori, la più importante e la ragione stessa dell'attacco.
5) Ci si può chiedere infine se non ci fu una inadeguata percezione non tanto e non solo delle connessioni internazionali del terrorismo, quanto del quadro internazionale in cui la vicenda veniva a collocarsi, e da cui traeva il suo pieno significato.
Su questi ultimi due punti, a cui non mancano accenni, tuttavia non sufficienti, nella relazione di maggioranza, si intendono suggerire qui alcune riflessioni.