1. Le origini della strategia della tensione

4. L’Office of policy coordination e le armi nella campagna elettorale

Documento aggiornato al 30/11/2005
Siamo ancora nell’ambito del governo unitario – Dc, Pci, Psi – quando la Cia decreta la nascita dell’Office of policy coordination (Opc) con lo scopo di aiutare "i movimenti clandestini anticomunisti sia con l’aiuto finanziario che militare", e il risultato di questa prima operazione si avrà di lì a poco con l’estromissione delle sinistre da parte del Presidente del Consiglio De Gasperi. Non era bastato, evidentemente, che il Pci avesse fornito i suoi esponenti più illustri all’esecutivo, né che Togliatti si fosse fatto promotore in prima persona della grande amnistia nei confronti dei militanti fascisti. Parimenti vano era stato l’impegno democratico delle sinistre nell’approvazione della Costituzione, con i comunisti in prima fila nel sostenere la necessità dell’unità nazionale, fino al voto favorevole – costato una lacerazione interna al partito e alla sinistra – sull’inclusione dei Patti Lateranensi nella Carta fondamentale della nazione.

La macchina americana si era ormai messa in moto, e nel 1948 i proclami anti-comunisti diventano azione, e scatta il primo nei numerosi piani messi in opera dalla Casa Bianca per contrastare il possibile buon risultato elettorale della sinistra. E’ il famoso "piano X": dieci milioni di dollari in armamenti per la campagna elettorale del 1948, a favore dei partiti di centro-destra, ma destinati in ultima analisi a "movimenti reazionari con caratteristiche anticomuniste".

Lungi dal considerare sufficiente la propaganda e l’investimento economico, per le elezioni del 1948 dagli USA arrivano dunque in Italia le armi, destinate a tutti coloro che, fuori dalle urne elettorali, intendono continuare la loro battaglia contro la sinistra. Un risultato a favore del Fronte popolare di Pci e Psi viene, quindi, preso in attenta considerazione, ma nessuno sbocco in tal senso è possibile, come afferma anche H. S. Hughes, già responsabile dell’Ufficio ricerche e analisi dell’OSS (Office of Strategic Service, poi divenuto Cia), secondo cui "alla fine di giugno del 1945 qualsiasi possibilità di una rivoluzione in Italia, seppure esisteva prima, era definitivamente perduta". Anche il sen. Cossiga, non ancora investito di cariche politiche di rilievo ricorda come ci si preparò a quel fatidico 18 aprile 1948:

"In Sardegna noi eravamo armati […] con armi corte in parte fornite dalle Forze dell’ordine e in parte acquistate sul libero mercato. Le bombe a mano ci furono fornite dall’Arma dei carabinieri. L’addestramento del gruppo, del commando di cui facevo parte venne seguito da un sottufficiale della San Marco del Sud.[…] Nulla posso dire per scienza diretta del fatto che la parte avversa fosse armata".


E’ facile ritenere che, in realtà, buona parte di queste armi facessero parte di quella abbondante partita arrivata da oltreoceano, ed è ancora più preoccupante che ai "ragazzi della Dc" le armi venissero fornite dalle Forze dell’ordine e dai carabinieri. Sarà questa, peraltro, una drammatica consuetudine, con i depositi istituzionali di armi e munizioni utilizzati come fonte di rifornimento da parte dei terroristi.
La testimonianza del sen. Cossiga, tuttavia, non è la sola a suffragare l’ipotesi che le armi di cui disponeva le forze vicine alla Dc provenissero dagli ambienti americani. Con la costituzione dei Comitati Civici di Luigi Gedda, infatti, vennero parallelamente attivati numerosi militanti incaricati di distribuire le armi ai civili considerati vicini alle posizioni della Chiesa, della Dc e degli americani. Così racconta Vito Talamini, nel 1946 capo squadra alla FIAT di Padova e militante dell’Azione Cattolica:

"Voglio ricordare che qualche mese prima dell’attentato a Togliatti fui chiamato da Gui, Lorenzi, Saggin, Riondato e don Piero Costa, assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Mi recai dunque presso il Collegio Barbarigo, dopo aver giorni prima preso accordi con i predetti a casa mia circa un servizio speciale e segreto – concernente una serie di trasporti di materiale di armamento, ufficialmente da qualificare "macchine da scrivere" – che avrei dovuto effettuare nel giro di più mesi, così come feci. […] Trasportai così con la mia vettura Lancia Augusta e sempre di sera: bombe a mano – nostre "balilla", fucili modello 91, mitra, pistole. Per ogni viaggio trasportavo quattro pacchi che andavo consegnando ai singoli parroci o cappellani. […] Io attingevo i pacchi dal cortile del Collegio Barbarigo con sede in via Rogati, retto all’epoca da un Monsignore molto quotato. Il Collegio dipendeva dalla curia Vescovile di Padova. […] Sapevo di operare per conto dei Comitati Civici di Padova, i quali stavano operando un sistema di organizzazione anticomunista."


Proseguendo nella sua deposizione Talamini, afferma trattarsi "di materiale aviolanciato di notte durante la guerra dagli alleati in zona Arcella di Padova, raccolto da frate Stanislao con alcuni giovani e indi convogliato al Collegio."
Analogamente, l’ex sen. Uberto Breganze, all’epoca Presidente diocesano dell’Azione Cattolica, così testimonia davanti al G.I. Mastelloni:

"Le armi dei partigiani bianchi furono custodite dagli stessi fino a quando gli organi centrali della Dc diedero direttive di consegnarle alle Forze dell’Ordine. Ciò avvenne dopo il 1948, dopo le elezioni. Senz’altro all’uopo intervenne il Ministro dell’interno Scelba per il tramite dei Prefetti".


Erano quindi certamente i c.d. partigiani bianchi a detenere le armi ben oltre la Liberazione. A distanza di tre anni dal 25 aprile 1945, infatti, elementi civili vicini, e/o appartenenti, alla Dc sono ancora in possesso di armi e munizioni, nel caso le elezioni del 18 aprile 1948 non fossero andato nel verso auspicato dagli americani e dal Vaticano. Che questo fosse lo scopo, infatti, è abbondantemente documentato anche negli atti giudiziari cui si fa qui riferimento. Ancora il sen. Breganze, riferisce che "i partigiani avevano conservato delle armi. A Vicenza erano parecchi e l’armamento era custodito nelle case degli stessi partigiani bianchi. Nei giorni immediatamente precedenti al 18 aprile del 1948 vi era una grossa preoccupazione per una avanzata eventuale del fronte Popolare e perciò bisognava illuminare le coscienze sui pericoli della vittoria del Fronte e sull’utilità del successo delle forze democratiche".
E’ da notare, per inciso, che l’indagine del Cons. Mastelloni origina da una curiosa denuncia sporta nel 1969 dal signor Giuseppe Falcone, ufficiale di fanteria in congedo, il quale affermò che tra gli oggetti sottratti dalla sua abitazione vi era anche un mitra "Beretta" che egli deteneva dal 1948. La denuncia, per sé non particolarmente rilevante, assume importanza, viceversa, per due ordini di motivi. Il primo è la motivazione che Falcone adduce per giustificare il possesso del mitra, che si ricollega a quanto ora esposto circa l’armamento in dotazione di militari e civili nel dopoguerra. Così espone Falcone nella sua denuncia:

"Nell’anno 1948 in previsione delle elezioni politiche che si presentavano abbastanza difficoltose ebbi incarico, in qualità di comandante di Presidio di Sacile, dal Commando del V Comiliter di Udine, di armare alcuni civili fidati nella zona di Sacile, Vittorio Veneto, Valcellina e limitrofi, di un certo quantitativo di armi. Detti armi anche all'attuale Arcivescovo di Udine - Mons. Zaffonato - allora Vescovo di Vittorio Veneto. Tutta questa zona era sotto il mio controllo diretto. Ad elezioni ultimate - prosegue Falcone - ritirai le armi e le versai alla Sezione Staccata di Artiglieria di Conegliano. Avevo con me e mi serviva nei diversi giri di ispezione un mitra "Beretta" con alcune cartucce. Detto mitra, al quale ero affezionato, ritenni di non versarlo e tenermelo in casa".


Tale ultima affermazione, peraltro, consente di prefigurare ulteriori ipotesi circa l’illegittimo possesso di armi e munizioni da parte di militari e civili per conto di un partito politico, al fine di contrastare la parte avversa. Che un ufficiale di fanteria, si permetta di trattenere fino al 1969 – cioè fino al furto subito – il mitra Beretta in dotazione nel 1948, solo perché vi era "affezionato" appare decisamente poco credibile, e la circostanza potrebbe, viceversa, implicare che i gruppi filoatlantici abbiano continuato a detenere armi ben oltre lo svolgimento - e al di là dell’obiettivo - delle elezioni del 1948.
A segnalare, in ogni caso, la rilevanza dell’episodio, contribuisce il rinvenimento di un appunto trasmesso dal Ministro della Difesa Luigi Gui al Capo della Polizia nell’agosto 1969, con il quale vengono riportate le dichiarazioni di Falcone relative al possesso e alla detenzione del mitra nel periodo 1948-1969. Non è compito di questa relazione indagare sulle modalità di trasmissione della notizia, ma appare di tutta evidenza che il transito delle dichiarazioni di Falcone da un’anonima caserma dei Carabinieri di Conegliano Veneto (TV) al Ministro della Difesa e da questi al Capo della Polizia, non può non essere considerato come un evento eccezionale. A maggiore ragione, se di questa vicenda si interessano i vertici della sicurezza nazionale nell’agosto-settembre del 1969, quando sono già scoppiate le prime bombe dimostrative e mancano solo tre mesi alla strage di Piazza Fontana.

Che, dunque, nel corso del 1948, in chiara funzione anticomunista - e non certo antisovietica - gli americani si adoperino per far avere ai propri fiduciari armi e munizioni, appare realtà acclarata, come accertato è il ruolo svolto dal Vaticano nella gestione, attraverso i suoi uomini più fidati, di questi gruppi armati. La costituzione dei Comitati Civici, infatti, rispondeva all’esigenza di poter liberamente operare in campo politico per contrastare un possibile – e, alla luce dei risultati del 1946, probabile – successo del Fronte Popolare delle sinistre. L’impedimento, per gli uomini di Pio XII, risiedeva nelle disposizioni del Concordato del 1929 che, tassativamente, precludevano all’Azione Cattolica la possibilità di svolgere attività e propaganda in favore dei partiti politici. Con il sistematico adeguamento dei propri strumenti alla realtà, il Vaticano dispone così la creazione di strutture "politiche", nominalmente differenti dall’Azione Cattolica, ma in tutto e per tutto coincidenti, tanto che "fu lo stesso Vaticano a sostenere le spese per la nuova organizzazione e per la conseguente propaganda" […] delegando sostanzialmente i vescovi per la nomina dei singoli presidenti dei Comitati civici diocesani".
 
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"Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere"... [Leggi]
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