3. L'eversione di destra e le coperture istituzionali
08. I rapporti tra Ordine nuovo e i Servizi italiani e statunitensi
Documento aggiornato al 30/11/2005
Altrettanto numerosi sono i riferimenti a contatti tra Ordine Nuovo e ambienti informativi e militari; tali contatti devono collocarsi nel quadro della mobilitazione della destra eversiva al servizio dei progetti di destabilizzazione cui facevano riferimento le dichiarazioni di Spiazzi e di Vinciguerra già negli anni '80 e che ora sono andate delineando un quadro sempre più completo.
In particolare, come è emerso nel corso delle ultime attività della magistratura, il legame tra Ordine Nuovo, servizi segreti e rete informativa all’interno delle basi Nato (sostanzialmente riferibile agli Stati Uniti) è il nodo attorno al quale si è sviluppata, tra il 1969 ed il 1974, la strategia delle stragi fasciste, o – secondo una definizione diffusa e certamente non priva di fondamento – stragi di Stato.
Tra le tante dichiarazioni e testimonianze, appaiono significative le puntuali affermazioni di Graziano Gubbini, ordinovista perugino che tra il 1971 ed il 1972 si era trasferito in Veneto ed era entrato nelle formazioni ordinoviste locali. Questi riferisce di incontri con militari e di una riunione nella caserma di Montorio, cui Gubbini partecipò come rappresentante del centro Italia unitamente ad un rappresentate per il sud e per il nord per "dar vita ad una struttura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc. […] con finalità anticomuniste" [...] "L’operazione venne denominata "Operazione Patria" e prevedeva la costituzione di una struttura organizzata in modo analogo al F.N.L., con a disposizione basi, armi ed il nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una struttura mista di militari e civili che avrebbe potuto avvalersi dei supporti logistici e addestrativi dell’esercito". L'operazione si sarebbe arenata per la resistenza degli ordinovisti del centro e del sud alla consegna dell’elenco completo dei militanti dell’organizzazione.
Anche il gruppo perugino di O.N. risulta aver avuto contatti con il servizio di informazione tramite Maurizio Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE) , contatti non negati dagli interessati i quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato: "Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente, da un sedicente ufficiale dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell’ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant’altro fosse servito [...]".
Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell’esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo materiale, occorrerà ricordare quanto emerge dal documento Azzi sulla possibilità, confermata da più fonti, di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di Livorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l’industriale Magni.
Degna di grande rilievo, a proposito delle collusioni tra fascisti e ambienti militari – in particolare quelli di Pisa e di Livorno – è la testimonianza di Andrea Brogi, chiamato durante il servizio militare a svolgere un ruolo informativo di tipo cospirativo.
Brogi aveva militato in Ordine Nuovo e poi in Ordine Nero ed era uno dei fascisti più legati alla cellula eversiva di Cauchi, tra le più inquinate per i suoi legami con la massoneria – in particolare la P2 – i servizi segreti, i carabinieri e la federazione del Msi di Arezzo.
Il racconto di Brogi, a tratti, è soprendente: "Allorchè prestai servizio alla Smipar (la scuola dei paracadusisti di Pisa) ero militante del Fuan e negli ultimi cinque mesi della leva ebbi contatti con il Capitano De Felice il quale si qualificò come Ufficiale di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito. Io avevo già fatto la Scuola trasmissioni a S. Giorgio a Cremano e mi ero specializzato in tale materia, già peraltro perito industriale. In questo contesto funsi da collaboratore informativo e coevamente ero impiegato presso il centralino della Scuola. Confermo che fui in tal guisa impiegato dal 19.11.1972, io incorporato il 3.6.72. Contesto il contenuto e il tenore dell’appunto declassificato secondo cui "in seguito alla pendenza penale" fui "allontanato dal Centralino". Il De Felice continuò a fruire della mia collaborazione perché si disse in sintonia ideologica con me e ciò a me stette bene. Mi promise che mi avrebbe mandato a Camp Derby nei mesi e anni futuri. Senonchè io non ottenni la rafferma a causa di incidenti che accaddero a Pisa ma l’atteggiamento di De Felice non mutò. Finito il periodo di leva mi disse che ci dovevamo rivedere nei giuramenti successivi perché aveva delle proposte da farmi. Io mi recai in particolare a una cerimonia, la prima successiva dopo il mio congedo e in tale occasione lo rividi e lì mi disse che il nostro rapporto avrebbe avuto uno sviluppo. Infatti il De Felice, dopo un paio di mesi dalla cerimonia, mi cercò a casa, a Firenze, ma mi trovò solo la terza volta chiedendomi di vederlo perché aveva da propormi di lavorare "per la nostra causa" favorevole alla svolta autoritaria in virtù di un golpe militare. Io non mi presentai all’appuntamento perché inserito nel Gruppo aretino e perugino di Ordine Nuovo. Contesto il tenore e le circostanze di fatto recitate dal De Felice il 22.9.92: egli si esprimeva in funzione anticomunista e parlava sempre in funzione di "noi"; egli favoriva il nostro sviluppo ideologico all’interno della Caserma. Ritengo che su di noi camerati il De Felice non inviasse informative bensì lavorasse solo su quanti gli andavano riferendo sugli extraparlamentari di sinistra. (…) Confermo che il De Felice si definì elemento di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito e che mi propose, finito il militare, di lavorare per l’Ufficio I in quanto in tale settore "eravamo padroni della situazione". Dei miei reali rapporti con il De Felice ebbi a parlare con Cauchi, nonché con il Tuti e con Francesco Bumbaca, deceduto. Nel memoriale rimase distrutta una lista di Ufficiali dell’E. I. sia della Smipar che della Brigata Vannucci di Livorno che pur nei tempi precedenti il De Felice" [aveva] "avuto modo di leggere. Tali nominativi li aveva siglati perché risultati favorevoli alle nostre idee politiche: ricordo del Ten. Celentano della Smipar, del Ten. Meiville, del Mar.llo Iorio, aiutante in Smipar, uomo simbolo".
Secondo il giudice istruttore di Venezia, dr. Carlo Mastelloni, è assai verosimile che De Felice – il quale nel 1992 era diventato capo Ufficio Affari Territoriali e Presidiari in ambito Brigata Paracadutisti Folgore - abbia svolto doppio incarico informativo, privilegiando i suoi rapporti con il Sid. Il magistrato, inoltre, ha ritenuto la testimonianza di Brogi pienamente attendibile.
Giova ricordare – perché di pertinenza della Commissione – che nei confronti di De Felice non fu mai preso alcun provvedimento e che all’ufficiale, contro ogni minimo buon senso, fu rilasciato anche negli anni successivi il Nulla Osta di Sicurezza.
Lo stesso tenente Celentano è stato identificato dalla Digos di Venezia quale Enrico Celentano, diventato negli anni succesivi generale comandante della brigata Folgore, al centro di polemiche e interpellanze per la nota vicenda del cosiddetto "Zibaldone".
Anche questi due episodi – forse minori – dimostrano da un lato l’organicità tra settori degli apparati dello Stato e neofascisti, dall’altro l’assoluta inerzia degli apparati stessi di fare chiarezza e pulizia, in questo modo recando grave danno e offesa all’Istituzione stessa. Che avevano cercato maldestramente di difendere.
Sui rapporti tra la cellula neofascista aretina (il cosiddetto gruppo Cauchi) i servizi di sicurezza e la P2 rimandiamo al paragrafo relativo alla strage del treno Italicus.
Parallelamente alla rete di connessioni e di contatti, nel corso degli anni, si è sviluppata anche una intensa attività di copertura da parte dei servizi in favore degli estremisti di destra. Il quadro che i più recenti accertamenti hanno riassunto riprendendo le fila di precedenti istruttorie e approfondito con nuove acquisizioni, sgombra il campo dall'equivoco nel quale si incorre allorché si affronta il tema della responsabilità dei servizi stessi, fino a svuotare di contenuto politico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L’equivoco riguarda la asserita, congenita incapacità e la cronica disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria se solo questo fosse stato il reale intendimento con cui l’attività di servizio veniva svolta e non piuttosto la sua strumentalità a disegni e progetti politici intrisi dalla teoria della "Guerra rivoluzionaria", là dove si affermava che la guerra contro il comunismo doveva essere combattuta con ogni mezzo e che bisognava combattere anche quelle forze che potremmo definire espressione dell’anticomunismo democratico le quali, per la loro intrinseca debolezza e ingenuità politica, avrebbero rappresentato un obiettivo ostacolo alla lotta contro la sovversione, tanto più che alcuni atteggiamenti dialoganti avrebbero finito con il legittimare un’area politica la quale, al contrario, andava totalmente criminalizzata.
Come s’è ampiamente visto, la quantità e la qualità degli ufficiali dei servizi segreti, delle forze di polizia, delle forze armate impegnata in questo tipo di attività è stata tale da non permettere – come è stato fatto per lungo tempo - la fuorviante definizione di servizi o apparati "deviati", che prevederebbe l’inaffidabilità democratica di un piccolo settore, rispetto ad un corpo sano.
Purtroppo, negli anni della strategia della tensione, i rapporti erano inversi e la condizione per poter accedere a incarichi delicati e strategici era, appunto, l’adesione all’impianto ideologico dell’oltranzismo atlantico.
Non a caso, nel corso delle vecchie istruttorie, sono stati scoperti depistaggi sistematici, coperture e connivenze con i terroristi fascisti, attività filo-golpiste, nonché una presenza costante di uomini iscritti alla loggia P2. Gli stessi vertici dei servizi segreti o alte personalità degli altri apparati sono stati più volte coinvolti – e talvolta condannati – nelle indagini sull’eversione.
Si può e si deve quindi parlare più correttamente di uso deviato dei servizi segreti e degli altri apparati dello Stato.
Le coperture per l’espatrio di Giannettini e di Pozzan, le falsità dibattimentali suggerite a Labruna, le risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi possono essere ricordati.
Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti ed in Avanguardia Nazionale. La fonte "Tritone", interna a O.N. di Padova riferì tempestivamente sul contenuto di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti come l’attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di una programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese.
L’istruttoria milanese ha poi portato alla luce – come vedremo meglio in seguito - il gravissimo episodio della chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte "Turco" negli atti del servizio) proprio nel momento in cui questi stava per "scaricarsi la coscienza" riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre alla intrinseca gravità di tale fatto, è allarmante il modo in cui l’intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiali che tenevano i contatti con Gianni Casalini ne informarono il responsabile del centro CS di Padova, colonnello Bottallo, che non investì l’ufficio D della questione anche per timore "che le notizie contenute potessero essere distorte". Agli atti del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì il contenuto del colloquio con una relazione al generale comandante la divisione, relazione che non fu mai trasmessa alla polizia giudiziaria e scomparve dagli atti della divisione, ma che fu tempestivamente seguita, secondo l’appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte.
La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da Maletti, che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminiello (anch’egli della P2) o dallo stesso Labruna tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all’arma territoriale di chiunque avesse continuato a svolgere accertamenti sul personaggio. Anche nell’episodio della fonte Casalini scatta una catena di comando di matrice piduistica che ha una sua determinante articolazione nel gruppo di ufficiali che facevano allora capo alla divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a Roma, Bologna, Venezia, Palermo e tenute in così scarsa considerazione dalla Corte di Assise che ha escluso la cospirazione politica per la loggia P2, e alle affermazioni fatte a suo tempo in proposito dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’appunto rinvenuto tra le carte di Maletti si chiude con l’indicazione di conferimento del compito di "procedere" al capitano Del Gaudio (anch’egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti) ottenendo così la sterilizzazione di una importante fonte investigativa.
Per le sue false dichiarazioni in merito all’appunto e all’incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all’esito dell’istruttoria nata dallo stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano.
Ma sulle collusioni tra servizi segreti e gruppo ordinovista del Triveneto esistono altre acquisizioni documentali e testimoniali che dimostrano una gravissima organicità tra servizi segreti e terroristi fascisti, tanto più gravi se si considera che la cellula veneta – come emerge processualmente – è responsabile della strage di piazza Fontana, di quella dell’attentato alla questura di Milano e, stando ai documenti finora resi pubblici, probabilmente anche di quella di piazza della Loggia.
In particolare, come è emerso nel corso delle ultime attività della magistratura, il legame tra Ordine Nuovo, servizi segreti e rete informativa all’interno delle basi Nato (sostanzialmente riferibile agli Stati Uniti) è il nodo attorno al quale si è sviluppata, tra il 1969 ed il 1974, la strategia delle stragi fasciste, o – secondo una definizione diffusa e certamente non priva di fondamento – stragi di Stato.
Tra le tante dichiarazioni e testimonianze, appaiono significative le puntuali affermazioni di Graziano Gubbini, ordinovista perugino che tra il 1971 ed il 1972 si era trasferito in Veneto ed era entrato nelle formazioni ordinoviste locali. Questi riferisce di incontri con militari e di una riunione nella caserma di Montorio, cui Gubbini partecipò come rappresentante del centro Italia unitamente ad un rappresentate per il sud e per il nord per "dar vita ad una struttura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc. […] con finalità anticomuniste" [...] "L’operazione venne denominata "Operazione Patria" e prevedeva la costituzione di una struttura organizzata in modo analogo al F.N.L., con a disposizione basi, armi ed il nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una struttura mista di militari e civili che avrebbe potuto avvalersi dei supporti logistici e addestrativi dell’esercito". L'operazione si sarebbe arenata per la resistenza degli ordinovisti del centro e del sud alla consegna dell’elenco completo dei militanti dell’organizzazione.
Anche il gruppo perugino di O.N. risulta aver avuto contatti con il servizio di informazione tramite Maurizio Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE) , contatti non negati dagli interessati i quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato: "Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente, da un sedicente ufficiale dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell’ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant’altro fosse servito [...]".
Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell’esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo materiale, occorrerà ricordare quanto emerge dal documento Azzi sulla possibilità, confermata da più fonti, di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di Livorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l’industriale Magni.
Degna di grande rilievo, a proposito delle collusioni tra fascisti e ambienti militari – in particolare quelli di Pisa e di Livorno – è la testimonianza di Andrea Brogi, chiamato durante il servizio militare a svolgere un ruolo informativo di tipo cospirativo.
Brogi aveva militato in Ordine Nuovo e poi in Ordine Nero ed era uno dei fascisti più legati alla cellula eversiva di Cauchi, tra le più inquinate per i suoi legami con la massoneria – in particolare la P2 – i servizi segreti, i carabinieri e la federazione del Msi di Arezzo.
Il racconto di Brogi, a tratti, è soprendente: "Allorchè prestai servizio alla Smipar (la scuola dei paracadusisti di Pisa) ero militante del Fuan e negli ultimi cinque mesi della leva ebbi contatti con il Capitano De Felice il quale si qualificò come Ufficiale di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito. Io avevo già fatto la Scuola trasmissioni a S. Giorgio a Cremano e mi ero specializzato in tale materia, già peraltro perito industriale. In questo contesto funsi da collaboratore informativo e coevamente ero impiegato presso il centralino della Scuola. Confermo che fui in tal guisa impiegato dal 19.11.1972, io incorporato il 3.6.72. Contesto il contenuto e il tenore dell’appunto declassificato secondo cui "in seguito alla pendenza penale" fui "allontanato dal Centralino". Il De Felice continuò a fruire della mia collaborazione perché si disse in sintonia ideologica con me e ciò a me stette bene. Mi promise che mi avrebbe mandato a Camp Derby nei mesi e anni futuri. Senonchè io non ottenni la rafferma a causa di incidenti che accaddero a Pisa ma l’atteggiamento di De Felice non mutò. Finito il periodo di leva mi disse che ci dovevamo rivedere nei giuramenti successivi perché aveva delle proposte da farmi. Io mi recai in particolare a una cerimonia, la prima successiva dopo il mio congedo e in tale occasione lo rividi e lì mi disse che il nostro rapporto avrebbe avuto uno sviluppo. Infatti il De Felice, dopo un paio di mesi dalla cerimonia, mi cercò a casa, a Firenze, ma mi trovò solo la terza volta chiedendomi di vederlo perché aveva da propormi di lavorare "per la nostra causa" favorevole alla svolta autoritaria in virtù di un golpe militare. Io non mi presentai all’appuntamento perché inserito nel Gruppo aretino e perugino di Ordine Nuovo. Contesto il tenore e le circostanze di fatto recitate dal De Felice il 22.9.92: egli si esprimeva in funzione anticomunista e parlava sempre in funzione di "noi"; egli favoriva il nostro sviluppo ideologico all’interno della Caserma. Ritengo che su di noi camerati il De Felice non inviasse informative bensì lavorasse solo su quanti gli andavano riferendo sugli extraparlamentari di sinistra. (…) Confermo che il De Felice si definì elemento di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito e che mi propose, finito il militare, di lavorare per l’Ufficio I in quanto in tale settore "eravamo padroni della situazione". Dei miei reali rapporti con il De Felice ebbi a parlare con Cauchi, nonché con il Tuti e con Francesco Bumbaca, deceduto. Nel memoriale rimase distrutta una lista di Ufficiali dell’E. I. sia della Smipar che della Brigata Vannucci di Livorno che pur nei tempi precedenti il De Felice" [aveva] "avuto modo di leggere. Tali nominativi li aveva siglati perché risultati favorevoli alle nostre idee politiche: ricordo del Ten. Celentano della Smipar, del Ten. Meiville, del Mar.llo Iorio, aiutante in Smipar, uomo simbolo".
Secondo il giudice istruttore di Venezia, dr. Carlo Mastelloni, è assai verosimile che De Felice – il quale nel 1992 era diventato capo Ufficio Affari Territoriali e Presidiari in ambito Brigata Paracadutisti Folgore - abbia svolto doppio incarico informativo, privilegiando i suoi rapporti con il Sid. Il magistrato, inoltre, ha ritenuto la testimonianza di Brogi pienamente attendibile.
Giova ricordare – perché di pertinenza della Commissione – che nei confronti di De Felice non fu mai preso alcun provvedimento e che all’ufficiale, contro ogni minimo buon senso, fu rilasciato anche negli anni successivi il Nulla Osta di Sicurezza.
Lo stesso tenente Celentano è stato identificato dalla Digos di Venezia quale Enrico Celentano, diventato negli anni succesivi generale comandante della brigata Folgore, al centro di polemiche e interpellanze per la nota vicenda del cosiddetto "Zibaldone".
Anche questi due episodi – forse minori – dimostrano da un lato l’organicità tra settori degli apparati dello Stato e neofascisti, dall’altro l’assoluta inerzia degli apparati stessi di fare chiarezza e pulizia, in questo modo recando grave danno e offesa all’Istituzione stessa. Che avevano cercato maldestramente di difendere.
Sui rapporti tra la cellula neofascista aretina (il cosiddetto gruppo Cauchi) i servizi di sicurezza e la P2 rimandiamo al paragrafo relativo alla strage del treno Italicus.
Parallelamente alla rete di connessioni e di contatti, nel corso degli anni, si è sviluppata anche una intensa attività di copertura da parte dei servizi in favore degli estremisti di destra. Il quadro che i più recenti accertamenti hanno riassunto riprendendo le fila di precedenti istruttorie e approfondito con nuove acquisizioni, sgombra il campo dall'equivoco nel quale si incorre allorché si affronta il tema della responsabilità dei servizi stessi, fino a svuotare di contenuto politico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L’equivoco riguarda la asserita, congenita incapacità e la cronica disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria se solo questo fosse stato il reale intendimento con cui l’attività di servizio veniva svolta e non piuttosto la sua strumentalità a disegni e progetti politici intrisi dalla teoria della "Guerra rivoluzionaria", là dove si affermava che la guerra contro il comunismo doveva essere combattuta con ogni mezzo e che bisognava combattere anche quelle forze che potremmo definire espressione dell’anticomunismo democratico le quali, per la loro intrinseca debolezza e ingenuità politica, avrebbero rappresentato un obiettivo ostacolo alla lotta contro la sovversione, tanto più che alcuni atteggiamenti dialoganti avrebbero finito con il legittimare un’area politica la quale, al contrario, andava totalmente criminalizzata.
Come s’è ampiamente visto, la quantità e la qualità degli ufficiali dei servizi segreti, delle forze di polizia, delle forze armate impegnata in questo tipo di attività è stata tale da non permettere – come è stato fatto per lungo tempo - la fuorviante definizione di servizi o apparati "deviati", che prevederebbe l’inaffidabilità democratica di un piccolo settore, rispetto ad un corpo sano.
Purtroppo, negli anni della strategia della tensione, i rapporti erano inversi e la condizione per poter accedere a incarichi delicati e strategici era, appunto, l’adesione all’impianto ideologico dell’oltranzismo atlantico.
Non a caso, nel corso delle vecchie istruttorie, sono stati scoperti depistaggi sistematici, coperture e connivenze con i terroristi fascisti, attività filo-golpiste, nonché una presenza costante di uomini iscritti alla loggia P2. Gli stessi vertici dei servizi segreti o alte personalità degli altri apparati sono stati più volte coinvolti – e talvolta condannati – nelle indagini sull’eversione.
Si può e si deve quindi parlare più correttamente di uso deviato dei servizi segreti e degli altri apparati dello Stato.
Le coperture per l’espatrio di Giannettini e di Pozzan, le falsità dibattimentali suggerite a Labruna, le risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi possono essere ricordati.
Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti ed in Avanguardia Nazionale. La fonte "Tritone", interna a O.N. di Padova riferì tempestivamente sul contenuto di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti come l’attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di una programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese.
L’istruttoria milanese ha poi portato alla luce – come vedremo meglio in seguito - il gravissimo episodio della chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte "Turco" negli atti del servizio) proprio nel momento in cui questi stava per "scaricarsi la coscienza" riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre alla intrinseca gravità di tale fatto, è allarmante il modo in cui l’intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiali che tenevano i contatti con Gianni Casalini ne informarono il responsabile del centro CS di Padova, colonnello Bottallo, che non investì l’ufficio D della questione anche per timore "che le notizie contenute potessero essere distorte". Agli atti del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì il contenuto del colloquio con una relazione al generale comandante la divisione, relazione che non fu mai trasmessa alla polizia giudiziaria e scomparve dagli atti della divisione, ma che fu tempestivamente seguita, secondo l’appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte.
La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da Maletti, che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminiello (anch’egli della P2) o dallo stesso Labruna tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all’arma territoriale di chiunque avesse continuato a svolgere accertamenti sul personaggio. Anche nell’episodio della fonte Casalini scatta una catena di comando di matrice piduistica che ha una sua determinante articolazione nel gruppo di ufficiali che facevano allora capo alla divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a Roma, Bologna, Venezia, Palermo e tenute in così scarsa considerazione dalla Corte di Assise che ha escluso la cospirazione politica per la loggia P2, e alle affermazioni fatte a suo tempo in proposito dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’appunto rinvenuto tra le carte di Maletti si chiude con l’indicazione di conferimento del compito di "procedere" al capitano Del Gaudio (anch’egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti) ottenendo così la sterilizzazione di una importante fonte investigativa.
Per le sue false dichiarazioni in merito all’appunto e all’incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all’esito dell’istruttoria nata dallo stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano.
Ma sulle collusioni tra servizi segreti e gruppo ordinovista del Triveneto esistono altre acquisizioni documentali e testimoniali che dimostrano una gravissima organicità tra servizi segreti e terroristi fascisti, tanto più gravi se si considera che la cellula veneta – come emerge processualmente – è responsabile della strage di piazza Fontana, di quella dell’attentato alla questura di Milano e, stando ai documenti finora resi pubblici, probabilmente anche di quella di piazza della Loggia.