4. I tentativi golpisti
02. Il golpe Borghese
Documento aggiornato al 30/11/2005
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 si attivò in Roma un tentativo di vero e proprio colpo di Stato, che tuttavia durò soltanto poche ore e fu subito interrotto, ben prima che si raggiungesse uno stato insurrezionale. In merito è stato accertato che:
1) Un gran numero di uomini era stato raccolto e organizzato da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
2) Sin dal 1969 il Fronte Nazionale aveva costituito gruppi clandestini armati e aveva stretto relazioni con settori delle Forze Armate e aveva alcuni rapporti con elementi collegati all’amministrazione statunistense ed ai comandi Nato, come dimostra l’attività di osservazione svolta per conto del comando Ftase di Verona all’esercitazione militare di Forte Foin, propedeutica al colpo di Stato.
3) Borghese stesso, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale e di numerosi alti Ufficiali delle Forze Armate e funzionari di diversi Ministeri, aveva predisposto un piano, che prevedeva l'intervento di gruppi armati su diversi obiettivi di alta importanza strategica; sin dal 4 luglio 1970 era stata costituita una "Giunta nazionale". Avrebbero dovuto essere occupati il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa, la sede della televisione e gli impianti telefonici e di radiocomunicazione; gli oppositori (e cioè gli esponenti politici dei diversi partiti rappresentanti in Parlamento), avrebbero dovuto essere arrestati e deportati. Il Principe Borghese avrebbe quindi letto in televisione un proclama, cui sarebbe seguito l'intervento delle Forze Armate a definitivo sostegno dell'insurrezione.
4) Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 il piano comincia ad essere attuato, con la concentrazione a Roma di alcune centinaia di congiurati e con iniziative analoghe in diverse città: militanti di Avanguardia Nazionale, comandati da Stefano Delle Chiaie (tra questi è indicata la presenza di Pierluigi Concutelli e di Guido Paglia) e con la complicità di funzionari, entrano nel Ministero degli Interni e si impossessano di armi e munizioni che vengono distribuite ai congiurati.
Un secondo gruppo di militanti si riunì in una palestra, in via Eleniana, per attendere la distribuzione delle armi, che sarebbe avvenuta a seguito dell'ordine di Sandro Saccucci (tenente dei paracadutisti stretto collaboratore di Borghese) e a opera del generale Ricci; tra le persone radunate, in parte già in armi, vi erano anche ufficiali dei Carabinieri.
Lo stesso Saccucci (che avrebbe dovuto assumere il comando del Sid) dirigeva personalmente un altro gruppo di congiurati, con il compito di arrestare uomini politici. Il generale Casero e il colonnello Lo Vecchio (i quali garantivano di avere l'appoggio del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, generale Fanali) avrebbero dovuto invece occupare il Ministero della Difesa.
Il maggiore Berti, già condannato per apologia di collaborazionismo e ciò nonostante giunto ad alti gradi del Corpo forestale dello Stato, conduceva una colonna di allievi della Guardia forestale, proveniente da Cittàducale presso Rieti, che attraversò Roma per attestarsi non lontano dagli studi RAI-TV di via Teulada.
Il colonnello Spiazzi (di cui si è già chiarito il ruolo nei Nuclei per la difesa dello Stato) si mosse con il suo reparto verso i sobborghi di Milano, con l'obiettivo di occupare Sesto San Giovanni, in esecuzione di un piano di mobilitazione reso operativa da una parola d'ordine.
Ma l'insurrezione, già in fase di avanzata esecuzione, fu improvvisamente interrotta. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine; ne sono tuttora ignote le ragioni, giacché Borghese rifiutò di spiegarle persino ai suoi più fidati collaboratori.
Questi, in sintesi, gli accadimenti di quel periodo, che devono essere integrati da numerose testimonianze e documenti reperiti nel corso delle ultime indagini sulla strategia della tensione.
Anzitutto è necessario affermare che le acquisizioni documentali non giustificano assolutamente la valutazione minimizzante che hanno avuto in sede giudiziaria (sentenza Corte d'Assise di Roma 14 luglio 1978 e Corte di Assise di Appello del 14 novembre 1984 che condussero al noto esito globalmente assolutorio) ed anche da gran parte dell'opinione pubblica, apparsa spesso orientata da aspetti velleitari dell'operazione e dallo scarso spessore di molti dei suoi protagonisti, a definire l'episodio come un "golpe da operetta".
Per ciò che concerne la valutazione giudiziaria, scarsamente condivisibili appaiono innanzitutto le motivazioni con cui già in sede istruttoria furono prosciolti molti di coloro che si erano radunati, agli ordini del Fronte Nazionale; il proscioglimento fu infatti così motivato: "molte persone aderirono al Fronte Nazionale perchè illuse e confuse da ingannevole pubblicità.... Nei loro confronti non sono state avanzate istanze punitive nella presunzione che l'iscrizione, il gesto isolato e sporadico, il sostegno 'esterno', la convergenza spirituale di per sé rilevano, piuttosto che un permanente legame, un atteggiamento psicologico non incidente sulla 'condizione' processuale degli interessati"
Indipendentemente dalla fondatezza giuridica di tale dichiarata presunzione, va rilevato che tra le posizioni così archiviate ve ne erano alcune riferibili a soggetti che negli anni successivi compariranno in momenti di rilievo dell'eversione di destra, quali Carmine Palladino, Giulio Crescenzi, Stefano Serpieri, Gianfranco Bertoli (autore della strage di via Fatebenefratelli a Milano), Giancarlo Rognoni, Mauro Marzorati, Carlo Fumagalli, Nico Azzi.
Analogamente alcuni dati di fatto - pur non contestati - furono incomprensibilmente svalutati nella decisione della Corte d'Assise di primo grado, che accettò le più ridicole giustificazioni di condotte che apparivano ictu oculi di straordinaria gravità (come quella del Generale Berti nell'avere condotto un'intera colonna di militari armati di tutto punto e muniti di manette, acquistate senza autorizzazione ministeriale appena pochi giorni prima, fino a poche centinaia di metri dalla sede della radiotelevisione).
Esito di tale complessiva lettura minimizzante può ritenersi la finale ricostruzione della vicenda, cui approda la Corte di Assise di Appello romana nella già ricordata sentenza, affermando: "che i 'clamorosi' eventi della notte in argomento si siano concretati nel conciliabolo di quattro o cinque sessantenni nello studio di commercialista dell'imputato Mario Rosa, nella adunata semipubblica di qualche decina di persone nei locali della sede centrale del Fronte Nazionale (adunata cui potettero presenziare anche estranei al movimento, e cioè attivisti dell'M.S.I., incaricati dal loro partito di sorvegliare, senza neppure tanta discrezione, le attività di J. V. Borghese e dei suoi seguaci), nel dislocamento di uno sparuto gruppo di giovinastri in una zona periferica e strategicamente insignificante dell'agglomerato urbano, nel concentramento di un imprecisato numero di individui, alcuni certamente armati ma i più sicuramente non molto determinati, nella zona di Montesacro, in un cantiere impiantato dall'impresa di Remo Orlandini, e, da ultimo, nella riunione di cento o duecento persone, fra uomini e donne, senza armi in una palestra gestita dall'associazione paracadutisti nella via Eleniana di Roma".
Così come analogamente minimizzante appare la valutazione che nella medesima sede viene operata del Fronte Nazionale e del suo organizzatore: "La formazione creata e capeggiata da J.V. Borghese, con l'apporto determinante soprattutto di elementi legati, se non politicamente ed ideologicamente, almeno sentimentalmente al fascismo, ed al fascismo più deteriore, quello repubblichino, accolse nel suo seno esaltati, se non mentecatti, di ogni risma pronti a conclamare in ogni occasione la propria viscerale avversione al sistema della democrazia liberale, avversione condivisa dal loro capo, nonché ad alimentare deliranti segni di rivalsa e speranze e propositi illusori di rovesciare il regime creato dalle forze andate al potere dopo la disfatta del fascismo: conseguentemente è indubbio e risulta documentato in atti, che all'organizzazione del Fronte Nazionale appartennero individui che, in assenza di qualsiasi elemento che potesse conferire caratteri di concretezza ai loro discorsi, presero a farneticare di imminenti colpi di Stato, nei quali essi stessi e il movimento cui si erano affiliati avrebbero dovuto avere un ruolo determinate, o almeno significativo, a spingere le proprie sfrenate fantasie, apparse subito comiche alla generalità dei compari, un po' meno sprovveduti di loro, sino al punto di vagheggiare spartizioni di cariche per sé e per i propri amici e conoscenti nell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, a predisporre proclami da rivolgere al popolo dopo la auspicata instaurazione del fantasticato "ordine nuovo", ad immaginare come imminenti sovvertimenti istituzionali....".
Sorprendente appare che a valutazioni siffatte si sia potuto giungere nel 1984, cioè al termine del terribile quindicennio che ha insanguinato la Repubblica; e cioè dopo che una serie di eventi, con la tragicità della loro evidenza, avevano dimostrato la estrema pericolosità dei fenomeni, in cui la vicenda della notte dell'Immacolata veniva ad inserirsi, preannunciando in qualche modo episodi successivi, di cui molti degli aderenti al Fronte Nazionale furono, come già segnalato, i negativi protagonisti.
Vuol dirsi cioè che una valutazione giudiziaria così minimizzante dell'episodio avrebbe avuto senso se lo stesso fosse venuto ad inserirsi in un contesto storico sociale assolutamente pacifico; e cioè affatto diverso da quello che caratterizzò il Paese per l'intero decennio degli anni '70. In quel contesto la vicenda della notte dell'Immacolata non può meritare una così intensa sottovalutazione che stride, fino alla inverosimiglianza, con la stessa personalità del suo protagonista, (il Comandante Borghese), quale già all'epoca nota e quale meglio è venuta a precisarsi a seguito di più recenti acquisizioni: un uomo d'armi, avvezzo a responsabilità di elevato comando, esperto di guerra e di guerriglia, conoscitore degli aspetti apparenti e dei profili occulti del potere, sia in ambito nazionale che internazionale.
Appare francamente inverosimile – ed infatti così non è stato - che personalità siffatta si sia posta alla testa di un gruppo di "mentecatti" o di "giovinastri" quali alla autorità giudiziaria sono apparsi gli affiliati al Fronte Nazionale, per assumere i rischi di pesanti responsabilità senza alcun tornaconto personale ovvero senza alcuna concreta possibilità di successo.
Peraltro è estremamente probabile che anche gli esiti giudiziari della vicenda sarebbero stati diversi se intense e molteplici non fossero state le condotte di occultamento della verità anche da parte degli apparati. Le varie fasi del tentativo insurrezionale furono infatti costellate da contatti tra uomini del Fronte Nazionale e pubblici funzionari, in cui è difficile distinguere le condotte partecipative di questi ultimi da quelle di mero favoreggiamento successivo.
Con nota del 13 agosto 1971, infatti, il Sid comunicò all'autorità giudiziaria che le notizie in possesso del Servizio "portavano all'esclusione di collusioni, connivenze o partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di servizio". Sin dal 1974 emerse, invece, che il Sid aveva occultato rilevanti elementi di prova sugli avvenimenti della notte dell'Immacolata.
Erano infatti state raccolte, nell'immediatezza dei fatti (e per alcuni versi persino prima che essi accadessero), informazioni assai particolareggiate sulla organizzazione del colpo di Stato e sulla identificazione di coloro che - a diverso titolo - vi avevano avuto parte.
Tra queste informazioni ve ne erano di provenienza non meramente confidenziale, come le registrazioni dei colloqui avvenuti tra il Capitano del Sid Antonio Labruna e uno dei congiurati, Remo Orlandini, nonché registrazioni di conversazioni telefoniche raccolte sin dal giorno successivo al fallimento dell'iniziativa.
Nel settembre 1974 il Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, impose al Sid (e per esso al nuovo direttore Casardi e a quello del Reparto D, Gian Adelio Maletti) di comunicare all'autorità giudiziaria le informazioni in possesso del servizio.
Furono quindi inviate tre distinte memorie, che riguardavano rispettivamente il Golpe Borghese, la "Rosa dei Venti" e ulteriori fatti di cospirazione dell'estate 1974, a seguito delle quali fu infine esibito il materiale (che all'epoca si ritenne integrale) raccolto dal Reparto D.
Già da questo materiale risultò evidente che il Servizio aveva seguito sin dalla nascita il Fronte Nazionale; risultano accuratamente descritti i contatti con i dirigenti di Ordine Nuovo (tra cui Pino Rauti) e di Avanguardia Nazionale (tra cui Stefano Delle Chiaie, definito "un tecnico della agitazione di massa e della cospirazione"); l'addestramento all'uso delle armi individuali; la preparazione del colpo di Stato; la disponibilità di armi e i collegamenti con settori delle Forze Armate (ivi compreso il ricorso alle caserme per l'approvvigionamento delle armi e munizioni in caso di necessità).
Nessuna contromisura risultò però essere stata predisposta e il disvelamento della condotta del Servizio al suo interno portò all'allontanamento del suo Direttore generale Miceli e al rafforzamento di Casardi e Maletti.
Fu però soltanto a seguito dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli (avvenuto in Roma il 21 marzo 1979) che si accertò come solo una parte delle informazioni fosse stata effettivamente posta a disposizione degli inquirenti: quelle concernenti il coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze Armate e dello stesso Servizio di informazione erano state in realtà in larga parte soppresse.
Nel colorito linguaggio del settimanale OP - che appare sempre di più un singolarissimo crocevia, un luogo fitto di intrecci di svariati "fiumi carsici" che attraversarono la vita del Paese - ciò verrà sintetizzato nella espressione "malloppone e malloppini" a segnalare che da un originario, grande rapporto erano state ricavate più modeste, purgate informative.
1) Un gran numero di uomini era stato raccolto e organizzato da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
2) Sin dal 1969 il Fronte Nazionale aveva costituito gruppi clandestini armati e aveva stretto relazioni con settori delle Forze Armate e aveva alcuni rapporti con elementi collegati all’amministrazione statunistense ed ai comandi Nato, come dimostra l’attività di osservazione svolta per conto del comando Ftase di Verona all’esercitazione militare di Forte Foin, propedeutica al colpo di Stato.
3) Borghese stesso, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale e di numerosi alti Ufficiali delle Forze Armate e funzionari di diversi Ministeri, aveva predisposto un piano, che prevedeva l'intervento di gruppi armati su diversi obiettivi di alta importanza strategica; sin dal 4 luglio 1970 era stata costituita una "Giunta nazionale". Avrebbero dovuto essere occupati il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa, la sede della televisione e gli impianti telefonici e di radiocomunicazione; gli oppositori (e cioè gli esponenti politici dei diversi partiti rappresentanti in Parlamento), avrebbero dovuto essere arrestati e deportati. Il Principe Borghese avrebbe quindi letto in televisione un proclama, cui sarebbe seguito l'intervento delle Forze Armate a definitivo sostegno dell'insurrezione.
4) Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 il piano comincia ad essere attuato, con la concentrazione a Roma di alcune centinaia di congiurati e con iniziative analoghe in diverse città: militanti di Avanguardia Nazionale, comandati da Stefano Delle Chiaie (tra questi è indicata la presenza di Pierluigi Concutelli e di Guido Paglia) e con la complicità di funzionari, entrano nel Ministero degli Interni e si impossessano di armi e munizioni che vengono distribuite ai congiurati.
Un secondo gruppo di militanti si riunì in una palestra, in via Eleniana, per attendere la distribuzione delle armi, che sarebbe avvenuta a seguito dell'ordine di Sandro Saccucci (tenente dei paracadutisti stretto collaboratore di Borghese) e a opera del generale Ricci; tra le persone radunate, in parte già in armi, vi erano anche ufficiali dei Carabinieri.
Lo stesso Saccucci (che avrebbe dovuto assumere il comando del Sid) dirigeva personalmente un altro gruppo di congiurati, con il compito di arrestare uomini politici. Il generale Casero e il colonnello Lo Vecchio (i quali garantivano di avere l'appoggio del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, generale Fanali) avrebbero dovuto invece occupare il Ministero della Difesa.
Il maggiore Berti, già condannato per apologia di collaborazionismo e ciò nonostante giunto ad alti gradi del Corpo forestale dello Stato, conduceva una colonna di allievi della Guardia forestale, proveniente da Cittàducale presso Rieti, che attraversò Roma per attestarsi non lontano dagli studi RAI-TV di via Teulada.
Il colonnello Spiazzi (di cui si è già chiarito il ruolo nei Nuclei per la difesa dello Stato) si mosse con il suo reparto verso i sobborghi di Milano, con l'obiettivo di occupare Sesto San Giovanni, in esecuzione di un piano di mobilitazione reso operativa da una parola d'ordine.
Ma l'insurrezione, già in fase di avanzata esecuzione, fu improvvisamente interrotta. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine; ne sono tuttora ignote le ragioni, giacché Borghese rifiutò di spiegarle persino ai suoi più fidati collaboratori.
Questi, in sintesi, gli accadimenti di quel periodo, che devono essere integrati da numerose testimonianze e documenti reperiti nel corso delle ultime indagini sulla strategia della tensione.
Anzitutto è necessario affermare che le acquisizioni documentali non giustificano assolutamente la valutazione minimizzante che hanno avuto in sede giudiziaria (sentenza Corte d'Assise di Roma 14 luglio 1978 e Corte di Assise di Appello del 14 novembre 1984 che condussero al noto esito globalmente assolutorio) ed anche da gran parte dell'opinione pubblica, apparsa spesso orientata da aspetti velleitari dell'operazione e dallo scarso spessore di molti dei suoi protagonisti, a definire l'episodio come un "golpe da operetta".
Per ciò che concerne la valutazione giudiziaria, scarsamente condivisibili appaiono innanzitutto le motivazioni con cui già in sede istruttoria furono prosciolti molti di coloro che si erano radunati, agli ordini del Fronte Nazionale; il proscioglimento fu infatti così motivato: "molte persone aderirono al Fronte Nazionale perchè illuse e confuse da ingannevole pubblicità.... Nei loro confronti non sono state avanzate istanze punitive nella presunzione che l'iscrizione, il gesto isolato e sporadico, il sostegno 'esterno', la convergenza spirituale di per sé rilevano, piuttosto che un permanente legame, un atteggiamento psicologico non incidente sulla 'condizione' processuale degli interessati"
Indipendentemente dalla fondatezza giuridica di tale dichiarata presunzione, va rilevato che tra le posizioni così archiviate ve ne erano alcune riferibili a soggetti che negli anni successivi compariranno in momenti di rilievo dell'eversione di destra, quali Carmine Palladino, Giulio Crescenzi, Stefano Serpieri, Gianfranco Bertoli (autore della strage di via Fatebenefratelli a Milano), Giancarlo Rognoni, Mauro Marzorati, Carlo Fumagalli, Nico Azzi.
Analogamente alcuni dati di fatto - pur non contestati - furono incomprensibilmente svalutati nella decisione della Corte d'Assise di primo grado, che accettò le più ridicole giustificazioni di condotte che apparivano ictu oculi di straordinaria gravità (come quella del Generale Berti nell'avere condotto un'intera colonna di militari armati di tutto punto e muniti di manette, acquistate senza autorizzazione ministeriale appena pochi giorni prima, fino a poche centinaia di metri dalla sede della radiotelevisione).
Esito di tale complessiva lettura minimizzante può ritenersi la finale ricostruzione della vicenda, cui approda la Corte di Assise di Appello romana nella già ricordata sentenza, affermando: "che i 'clamorosi' eventi della notte in argomento si siano concretati nel conciliabolo di quattro o cinque sessantenni nello studio di commercialista dell'imputato Mario Rosa, nella adunata semipubblica di qualche decina di persone nei locali della sede centrale del Fronte Nazionale (adunata cui potettero presenziare anche estranei al movimento, e cioè attivisti dell'M.S.I., incaricati dal loro partito di sorvegliare, senza neppure tanta discrezione, le attività di J. V. Borghese e dei suoi seguaci), nel dislocamento di uno sparuto gruppo di giovinastri in una zona periferica e strategicamente insignificante dell'agglomerato urbano, nel concentramento di un imprecisato numero di individui, alcuni certamente armati ma i più sicuramente non molto determinati, nella zona di Montesacro, in un cantiere impiantato dall'impresa di Remo Orlandini, e, da ultimo, nella riunione di cento o duecento persone, fra uomini e donne, senza armi in una palestra gestita dall'associazione paracadutisti nella via Eleniana di Roma".
Così come analogamente minimizzante appare la valutazione che nella medesima sede viene operata del Fronte Nazionale e del suo organizzatore: "La formazione creata e capeggiata da J.V. Borghese, con l'apporto determinante soprattutto di elementi legati, se non politicamente ed ideologicamente, almeno sentimentalmente al fascismo, ed al fascismo più deteriore, quello repubblichino, accolse nel suo seno esaltati, se non mentecatti, di ogni risma pronti a conclamare in ogni occasione la propria viscerale avversione al sistema della democrazia liberale, avversione condivisa dal loro capo, nonché ad alimentare deliranti segni di rivalsa e speranze e propositi illusori di rovesciare il regime creato dalle forze andate al potere dopo la disfatta del fascismo: conseguentemente è indubbio e risulta documentato in atti, che all'organizzazione del Fronte Nazionale appartennero individui che, in assenza di qualsiasi elemento che potesse conferire caratteri di concretezza ai loro discorsi, presero a farneticare di imminenti colpi di Stato, nei quali essi stessi e il movimento cui si erano affiliati avrebbero dovuto avere un ruolo determinate, o almeno significativo, a spingere le proprie sfrenate fantasie, apparse subito comiche alla generalità dei compari, un po' meno sprovveduti di loro, sino al punto di vagheggiare spartizioni di cariche per sé e per i propri amici e conoscenti nell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, a predisporre proclami da rivolgere al popolo dopo la auspicata instaurazione del fantasticato "ordine nuovo", ad immaginare come imminenti sovvertimenti istituzionali....".
Sorprendente appare che a valutazioni siffatte si sia potuto giungere nel 1984, cioè al termine del terribile quindicennio che ha insanguinato la Repubblica; e cioè dopo che una serie di eventi, con la tragicità della loro evidenza, avevano dimostrato la estrema pericolosità dei fenomeni, in cui la vicenda della notte dell'Immacolata veniva ad inserirsi, preannunciando in qualche modo episodi successivi, di cui molti degli aderenti al Fronte Nazionale furono, come già segnalato, i negativi protagonisti.
Vuol dirsi cioè che una valutazione giudiziaria così minimizzante dell'episodio avrebbe avuto senso se lo stesso fosse venuto ad inserirsi in un contesto storico sociale assolutamente pacifico; e cioè affatto diverso da quello che caratterizzò il Paese per l'intero decennio degli anni '70. In quel contesto la vicenda della notte dell'Immacolata non può meritare una così intensa sottovalutazione che stride, fino alla inverosimiglianza, con la stessa personalità del suo protagonista, (il Comandante Borghese), quale già all'epoca nota e quale meglio è venuta a precisarsi a seguito di più recenti acquisizioni: un uomo d'armi, avvezzo a responsabilità di elevato comando, esperto di guerra e di guerriglia, conoscitore degli aspetti apparenti e dei profili occulti del potere, sia in ambito nazionale che internazionale.
Appare francamente inverosimile – ed infatti così non è stato - che personalità siffatta si sia posta alla testa di un gruppo di "mentecatti" o di "giovinastri" quali alla autorità giudiziaria sono apparsi gli affiliati al Fronte Nazionale, per assumere i rischi di pesanti responsabilità senza alcun tornaconto personale ovvero senza alcuna concreta possibilità di successo.
Peraltro è estremamente probabile che anche gli esiti giudiziari della vicenda sarebbero stati diversi se intense e molteplici non fossero state le condotte di occultamento della verità anche da parte degli apparati. Le varie fasi del tentativo insurrezionale furono infatti costellate da contatti tra uomini del Fronte Nazionale e pubblici funzionari, in cui è difficile distinguere le condotte partecipative di questi ultimi da quelle di mero favoreggiamento successivo.
Con nota del 13 agosto 1971, infatti, il Sid comunicò all'autorità giudiziaria che le notizie in possesso del Servizio "portavano all'esclusione di collusioni, connivenze o partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di servizio". Sin dal 1974 emerse, invece, che il Sid aveva occultato rilevanti elementi di prova sugli avvenimenti della notte dell'Immacolata.
Erano infatti state raccolte, nell'immediatezza dei fatti (e per alcuni versi persino prima che essi accadessero), informazioni assai particolareggiate sulla organizzazione del colpo di Stato e sulla identificazione di coloro che - a diverso titolo - vi avevano avuto parte.
Tra queste informazioni ve ne erano di provenienza non meramente confidenziale, come le registrazioni dei colloqui avvenuti tra il Capitano del Sid Antonio Labruna e uno dei congiurati, Remo Orlandini, nonché registrazioni di conversazioni telefoniche raccolte sin dal giorno successivo al fallimento dell'iniziativa.
Nel settembre 1974 il Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, impose al Sid (e per esso al nuovo direttore Casardi e a quello del Reparto D, Gian Adelio Maletti) di comunicare all'autorità giudiziaria le informazioni in possesso del servizio.
Furono quindi inviate tre distinte memorie, che riguardavano rispettivamente il Golpe Borghese, la "Rosa dei Venti" e ulteriori fatti di cospirazione dell'estate 1974, a seguito delle quali fu infine esibito il materiale (che all'epoca si ritenne integrale) raccolto dal Reparto D.
Già da questo materiale risultò evidente che il Servizio aveva seguito sin dalla nascita il Fronte Nazionale; risultano accuratamente descritti i contatti con i dirigenti di Ordine Nuovo (tra cui Pino Rauti) e di Avanguardia Nazionale (tra cui Stefano Delle Chiaie, definito "un tecnico della agitazione di massa e della cospirazione"); l'addestramento all'uso delle armi individuali; la preparazione del colpo di Stato; la disponibilità di armi e i collegamenti con settori delle Forze Armate (ivi compreso il ricorso alle caserme per l'approvvigionamento delle armi e munizioni in caso di necessità).
Nessuna contromisura risultò però essere stata predisposta e il disvelamento della condotta del Servizio al suo interno portò all'allontanamento del suo Direttore generale Miceli e al rafforzamento di Casardi e Maletti.
Fu però soltanto a seguito dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli (avvenuto in Roma il 21 marzo 1979) che si accertò come solo una parte delle informazioni fosse stata effettivamente posta a disposizione degli inquirenti: quelle concernenti il coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze Armate e dello stesso Servizio di informazione erano state in realtà in larga parte soppresse.
Nel colorito linguaggio del settimanale OP - che appare sempre di più un singolarissimo crocevia, un luogo fitto di intrecci di svariati "fiumi carsici" che attraversarono la vita del Paese - ciò verrà sintetizzato nella espressione "malloppone e malloppini" a segnalare che da un originario, grande rapporto erano state ricavate più modeste, purgate informative.