4. I tentativi golpisti
04. Le complicità nel golpe Borghese
Documento aggiornato al 30/11/2005
Il golpe Borghese, si è scoperto, avrebbe avuto un seguito con un successivo progetto eversivo del '73/'74, che avrebbe dovuto perseguire, sempre con modalità sostanzialmente insurrezionali, la realizzazione di un progetto di revisione costituzionale, che portasse all'istaurazione di una Repubblica presidenziale, caratterizzata da programmi socialmente avanzati, ma da forti limitazioni dei diritti sindacali, concentrazione dei mezzi di informazione e da una forte scelta atlantista; un progetto di "stabilizzazione" quindi da realizzarsi attraverso mezzi destabilizzanti (attentati sui treni e in luoghi pubblici, eliminazione di avversari politici, scontri di piazza) la cui responsabilità sarebbe stata apparentemente attribuibile alla sovversione di sinistra, sì da determinare una forte domanda d'ordine e quindi giustificare l'intervento delle Forze Armate.
In particolare, con specifico riferimento al tentativo insurrezionale del '70, recenti acquisizioni processuali, soprattutto dell'autorità giudiziaria di Milano e di Bologna, consentono una lettura dell'episodio che ne aggrava la rilevanza, avuto riguardo ad una più precisa individuazione di quanto si sarebbe dovuto verificare. Ad agire in supporto degli insorti non avrebbero dovuto essere solo manipoli di congiurati, raccolti intorno a ufficiali infedeli. In realtà la notte del 7 dicembre sarebbe stato impartito (come afferma lo stesso Spiazzi) l'ordine di mobilitazione delle strutture costituite nell'ambito degli uffici I dell'Esercito con funzione di contrasto di moti comunisti.
Si sarebbe trattato dunque della mobilitazione delle strutture miste, costituite da civili e militari, denominate Nuclei di difesa dello Stato, e di cui si è detto in altra parte della relazione.
Ciò sembra confermato dalle dichiarazioni di uno dei componenti di questa struttura, direttamente dipendente dallo Spiazzi (Enzo Ferro) e da quelle rese sin dal 1974 da altro componente (con ruoli di maggior rilievo) Roberto Cavallaro.
L'ordine, come riferito da Spiazzi, sarebbe stato impartito per radio, attraverso i codici del piano di mobilitazione; Spiazzi afferma che ricevendo, ne chiese conferma, ottenendola, e quindi si mosse; ricevette poi il contrordine, quando ormai aveva raggiunto le porte di Milano e fece ritorno in caserma.
Se queste furono le modalità di comunicazione dell'ordine di mobilitazione, è da presumere che anche gli altri Nuclei siano stati attivati, anche se la loro stessa esistenza è poi rimasta coperta dal segreto per oltre vent'anni.
E in effetti plurime fonti indicano che la mobilitazione ebbe luogo:
1. a Venezia, di civili e militari, d'innanzi al comando della Marina militare;
2. a Verona di civile e militari;
3. in Toscana e Umbria, dove i militanti erano stati dotati ciascuno di un'arma lunga e di una corta e gli obiettivi assegnati:
4. a Reggio Calabria, ove avrebbe dovuto aver luogo la distribuzione di divise dei Carabinieri.
Vale la pena riportare per esteso le testimonianze raccolte dalla magistratura ed in particolar modo quelle riportate nella sentenza-ordinanza del giudice Salvini:
A) Carlo Digilio: "A Venezia, nella seconda metà degli anni '60, io gravitavo più in un ambiente di destra generico in cui vi erano diversi esponenti dell'allora Fronte Nazionale del Principe Borghese e quindi si trattava di un ambiente meno radicale e più portato agli agganci con i militari.
Indubbiamente questo ambiente, a partire dalla fine degli anni '60, contava e viveva nell'attesa di un mutamento istituzionale.
Anche a Venezia era previsto che in caso di golpe la città fosse controllata quantomeno da seicento persone per il mantenimento dei servizi essenziali e il Fronte Nazionale si era mobilitato per reperire il maggior numero di simpatizzanti possibili anche negli ambienti istituzionali.
Come in altre città, per la notte del 7 dicembre era concordato il concentramento in punti determinati.
Il concentramento effettivamente ci fu, ma poco dopo giunse il contrordine, con vivo disappunto di tutti i presenti.
Erano presenti sia militari che civili come del resto credo in altre città d'Italia.
Posso precisare che a Venezia il punto di concentramento era l'Arsenale cioè lo spiazzo dinanzi al Comando della Marina Militare.
Anche di queste iniziative io riferii regolarmente a Verona (al comando Ftase) che quindi misi al corrente dei vari sviluppi.
Anche Soffiati partecipò all'analogo concentramento a Verona"[int. 6.4.1994, f. 6).
Ha aggiunto Digilio in altro interrogatorio: "Mi risulta che il Campolongo [il colonnello Antonio Campolongo, perito balistico del tribunale di Venezia, ndr] prima dei fatti della notte di Tora-Tora, del cd golpe Borghese, era il contatto veneziano dell’Ammiraglio Birindelli e considerato l’uomo che poteva gestire ben 600 elementi fra marinai e altri militari del Distretto di Venezia anche al fine di garantire con tale forza, dopo la presa di potere, la piena funzionalità dei mezzi di navigazione interlagunari e la sicurezza dei cittadini per evitare controinsorgenze.
Era peraltro il ‘deus ex machina’ di tutto l’armamento giacente nell’arsenale, potendo altresì contare sull’Associazione ex Marinai che aveva sede all’interno dello stesso arsenale.
Io ho potuto percepire un’enorme quantità di contatti fra il Morin e il Campolongo e peraltro la mia fonte sul Campolongo è stata il dr. Maggi, che aveva moltissimi contatti nell’ambiente militare".
B) Martino Siciliano: "Nel novembre del 1970 seppi da Pierluigi Mazzucco, ex presidente veneziano del Fuan, dirigente giovanile del Msi e in seguito consigliere provinciale del Partito, che a breve si sarebbe realizzato un colpo di Stato militare e civile in funzione antieversiva di sinistra.
Credo che Mazzucco avesse avuto la notizia dal padre, che era in contatto con il principe Borghese in quanto aveva anch’egli fatto parte della "X Mas".
Mazzucco era in possesso di carte, tra cui un elenco degli incarichi da assumere dopo la presa del potere, e inoltre dei tesserini di riconoscimento e bracciali tricolori aventi la stessa funzione.
Io avrei dovuto assumere la carica di questore di Venezia.
Per le armi avremmo dovuto rivolgerci all’Arma dei Carabinieri e in particolare alle locali caserme. Ciò, comunque, solo dopo la presa del potere e il segnale sarebbe stato dato dallo stesso Pierluigi Mazzucco.
Il nome in codice dell’operazione era "Operazione Tora Tora". La notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 fui avvisato per telefono da Pierluigi Mazzucco che vi era stato un contrordine e che l’operazione era stata annullata. Mi pregò pertanto di distruggere tutto il materiale in mio possesso, cosa che feci gettando tutto nel water.
Il discorso del colpo di Stato era avulso da Ordine Nuovo ed era interno al gruppo romualdiano".
C) Enzo Ferro: "Posso meglio spiegare la mobilitazione che ci doveva essere quella notte di sabato, poche settimane prima del mio congedo, nel Natale del 1970.
Il Maggiore (Spiazzi, ndr) ci disse di tenerci pronti in camerata, con gli abiti borghesi, e che poi avremmo dovuto essere portati nella zona di Porta Bra a Verona, nella sede dell'Associazione Mutilati e Invalidi di guerra, dove si stampava il giornaletto del Movimento di Opinione Pubblica.
Io ero molto agitato e preoccupato; Baia era con me ed era eccitato per quanto stava per accadere.
Ci fu detto chiaramente che dovevamo intervenire e che non potevamo tirarci indietro e che, giunti al punto di raccolta, saremmo stati armati e portati nella zona dove dovevamo operare come supporto al colpo di stato.
Tutte le cellule di civili e militari avrebbero dovuto intervenire. Tuttavia nella notte vi fu il contrordine, era verso l'una e trenta e ce lo comunicò direttamente il maggiore Spiazzi, dicendoci che il contrordine veniva direttamente da Milano. Non ne ho mai saputo il motivo, anche se all'epoca, se glielo avessi chiesto, forse lo avrei saputo".
D) Giuseppe Fisanotti (ordinovista di Verona legato al gruppo di Massagrande e Besutti, collaboratore di giustizia in molti processi): "Non ho partecipato alle mobilitazioni in occasione del cosidetto golpe Borghese del dicembre del 1970, del resto ero molto giovane avendo meno di 19 anni. Tuttavia negli anni successivi, mentre ancora risiedevo a Verona, sono stato un paio di volte messo in allarme in relazione ad analoghe mobilitazioni, tanto è vero che in casa mia tenevo, in vista di tali mobilitazioni, divise militari dell'Esercito, che mi erano state portate dai vari militanti di Ordine Nuovo.
Il contesto era quindi quello di una sintonia fra militari e civili nella prospettiva di un mutamento istituzionale.
Le mobilitazioni che dovevano esserci, che però non scattarono concretamente, si riferiscono al 1973/74".
E) Andrea Brogi (ordinovista del gruppo toscano): "Posso dire che alla fine del 1970 io facevo già parte del Movimento Politico Ordine Nuovo e che nella nostra zona non c'era un sostanziale distacco dalle strutture ufficiali del Msi e molti frequentavano sia l'uno che l'altro ambiente.
Di fatto io, che allora non ero nemmeno ventenne, mi trovai con altri diciassette militanti, fra cui diversi più vecchi e diversi dei quali non conoscevo, a Passignano, vicino al lago Trasimeno nei pressi del passaggio a livello la sera del 7 dicembre 1970 per intervenire sulla federazione provinciale del Pci e sui ripetitori della Rai.
C'erano altri due gruppi, uno a Umbertide e uno a Tuoro.
Il nostro gruppo disponeva di un'arma individuale, chi uno Sten, chi un moschetto 91 o una pistola. Io avevo ricevuto le mie due armi per l'occasione da Augusto Cauchi.
Preciso che ciascuno disponeva di un'arma lunga e di una corta.
Verso le quattro o le cinque del mattino arrivò l'ordine di ritirarsi senza che ce ne fosse spiegato il motivo.
Anni dopo, e cioè dopo il finanziamento di Gelli nei confronti di Augusto Cauchi tramite l'intermediazione dell'Ammiraglio Birindelli e del Cap. Pecorelli, ricevetti sugli avvenimnenti del 1970 una confidenza del Cauchi. Questi mi disse che, Gelli aveva fermato, nel 1970, i "ragazzi", cioè i civili di destra, e i militari sfruttando comunque la situazione per averne vantaggio e cioè per mantenere un forte credito anche dopo la sospensione del golpe".
F) Vincenzo Vinciguerra: "Prendo atto che l'Ufficio è interessato a focalizzare quanto io ho riferito nell'intervista a L'Espresso del 14.4.1991 circa la mobilitazione anche di elementi della 'ndrangheta calabrese in occasione del golpe Borghese.
Innanzitutto confermo l'episodio citato nell'intervista, precisando che ero a conoscenza dalla metà degli anni '70 di tale mobilitazione e che ulteriore conferma di questa l'ho ricevuta all'interno del carcere da una persona che vi era stata personalmente interessata.
La mobilitazione avvenne nella provincia di Reggio Calabria e si trattava di un gran numero di uomini armati.
Anche in Calabria venne fatto riferimento, da persona che non intendo nominare, alla possibilità di mobilitare 4000 uomini sempre appartenenti alla 'ndrangheta ove la situazione politica lo richiedesse.
Gli appartenenti alla 'ndrangheta, armati e mobilitati per l'occasione sull'Apromonte, erano stati messi a disposizione dal vecchio boss Giuseppe Nirta, estimatore di Stefano Delle Chiaie il quale era in grado, secondo lui, di "ristabilire l'ordine nel Paese".
G) Carmine Dominici: "Nel dicembre 1970, e cioè pochi mesi dopo tale fallito comizio, vi fu il tentativo noto appunto come "golpe Borghese". Anche a Reggio Calabria eravamo in piedi tutti pronti per dare il nostro contributo. Zerbi disse che aveva ricevuto delle divise dei Carabinieri e che saremmo intervenuti in pattuglia con loro, anche in relazione alla necessità di arrestare avversari politici che facevano parte di certe liste che erano state preparate. Restammo mobilitati fin quasi alle due di notte, ma poi ci dissero di andare tutti a casa.
Il contrordine a livello di Reggio Calabria venne da Zerbi".
H) Giacomo Lauro: "Nell'estate del 1970 l'avvocato Paolo Romeo si fece promotore di un incontro nella città di Reggio Calabria e precisamente nel quartiere Archi fra Junio Valerio Borghese ed il gruppo capeggiato allora da Giorgio De Stefano e Paolo De Stefano .... più volte alla 'ndrangheta fu richiesto di aiutare i disegni eversivi portati avanti da ambienti della destra extraparlamentare fra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte era sempre l'avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici (…) I De Stefano erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al programmato golpe Borghese, mentre invece furono contrari le cosche della Jonica tradizionalmente legate ad ambienti democristiani".
Sullo specifico ruolo della criminalità organizzata - in particolare di Cosa Nostra e ‘ndrangheta - nel tentativo golpista si rimanda al paragrafo relativo al ruolo della mafia e della massoneria deviata nell’eversione, nel quale è proposta una trattazione più accurata.
Gli avvenimenti oggetto di esame appaiono non già un "golpe da operetta", quanto il punto di emersione di un ampio intreccio di forze cospirative che furono occultamente attive per un lungo periodo; e che, analizzato nelle sue diverse componenti, rende leggibili una pluralità di avvenimenti anteriori e successivi, che altrimenti sarebbero destinati a restare oscuri e quindi inconoscibili nelle loro nascoste ragioni.
Va peraltro riconosciuto che in questa ricostruzione resta irrisolto quello che sin dall'inizio apparve come uno dei nodi principali posti in sede analitica dagli avvenimenti del dicembre 1970; e che attiene alle ragioni per cui il tentativo insurrezionale, che può ritenersi il frutto di un'ampia cospirazione, rientrò quasi immediatamente dopo l'iniziale attivazione. Si è già detto che il contrordine venne dato dallo stesso Borghese che non ne ha mai voluto spiegare le ragioni nemmeno ai suoi più fidati collaboratori. In merito resta aperta l’alternativa tra due ipotesi:
La prima suppone che all'ultimo momento solidarietà promesse o sperate sarebbero venute meno, determinando in Borghese il convincimento che il tentativo insurrezionale diveniva a quel punto velleitario e senza possibilità di successo. Sicchè lo stesso fu rapidamente abbandonato, fidando nella probabile impunità assicurata dalle "coperture", che poi puntualmente scattarono.
Una seconda lettura più articolata ipotizzerebbe invece in Borghese o in suoi inspiratori l'intenzione, sin dall'origine, di non portare a termine il tentativo insurrezionale. Qust'ultimo anche nella sua iniziale attivazione sarebbe stato concepito soltanto come un greve messaggio ammonitore inviato ad amici e nemici, all'interno e all'esterno, con finalità dichiaratamente stabilizzanti. Si sarebbe trattato in altri termini di un ulteriore avanzamento della logica della minaccia autoritaria, già sperimentata con il "tintinnare di sciabole", che come si è visto fortemente condizionò la crisi politica dell'estate del 1964.
Paolo Aleandri riferì alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2 l'interpretazione che ne era stata data da uno dei protagonisti, Fabio De Felice, a Gelli molto vicino.
Il contrordine, secondo il De Felice, sarebbe giunto proprio da Gelli, essendo venuta meno la disponibilità dell'Arma dei Carabinieri e non essendo stato assicurato l'appoggio finale degli Usa; Alfredo De Felice, poi, aveva aggiunto che la mobilitazione non aveva una reale possibilità di riuscita e il fantasma di una svolta autoritaria era stato utilizzato da Licio Gelli come una sorta d'arma di ricatto. Queste indicazioni hanno trovato conferma nelle dichiarazioni di Andrea Brogi, il quale riferisce informazioni provenienti da Augusto Cauchi, del quale risultano i diretti rapporti con Gelli. Un parziale riscontro, poi, è rappresentato dalle dichiarazioni di Enzo Generali, già aderente al Msi e ad Ordine Nuovo, nonché amico del principe Borghese e di Guido Giannettini, il quale ha riferito che verso la "metà di gennaio 1969", a circa due anni di distanza dalla notte di Tora-Tora e nel corso di una conversazione a Madrid con l’ingegner Otto Skorzeny (l’ufficiale tedesco che aveva organizzato la liberazione di Mussolini a Campo Imperatore, ndr) aveva appreso "che in Italia le cose, per la destra nazionale, sarebbero andate meglio in quanto si stava preparando un qualcosa di concreto con la partecipazione di militari di alto grado e personalità politiche dell’area di centro – centro destra: mi citò in proposito il nome del Principe Borghese che era l’uomo che lo aveva reso edotto della elaborazione del Golpe, dell’Ammiraglio Birindelli, Comandante dell’area Sud della Nato, i predetti appoggiati da quadri dello Stato Maggiore Marina (…) nonché il ruolo del Servizio Segreto Militare e l’avallo di politici di spicco della Democrazia Cristiana di cui non fece i nomi. Il progetto era quello di far cessare autoritativamente l’esperienza del centro sinistra in Italia e di riassestare l’ordine interno privilegiando l’industria. Lo Skorzeny era amico di Borghese e da lui aveva mediato le informazioni sul progetto del Golpe. I due si vedevano in Spagna (…) lo Skorzeny mi addusse che egli aveva promesso al Borghese l’appoggio degli industriali tedeschi" (cfr. dep. 28.2.90).
"Lo Skorzeny aggiunse che il Borghese gli aveva chiesto di intervenire all’esito del Golpe presso l’amministrazione Usa, nella fattispecie presso il Sottosegretario dell’Aeronautica amico dello Skorzeny, per il riconoscimento della nuova struttura sorta a seguito del Golpe e rappresentativa delle forze del Centro Destra Italiano" (cfr. dep. 14.3.90).
In particolare, con specifico riferimento al tentativo insurrezionale del '70, recenti acquisizioni processuali, soprattutto dell'autorità giudiziaria di Milano e di Bologna, consentono una lettura dell'episodio che ne aggrava la rilevanza, avuto riguardo ad una più precisa individuazione di quanto si sarebbe dovuto verificare. Ad agire in supporto degli insorti non avrebbero dovuto essere solo manipoli di congiurati, raccolti intorno a ufficiali infedeli. In realtà la notte del 7 dicembre sarebbe stato impartito (come afferma lo stesso Spiazzi) l'ordine di mobilitazione delle strutture costituite nell'ambito degli uffici I dell'Esercito con funzione di contrasto di moti comunisti.
Si sarebbe trattato dunque della mobilitazione delle strutture miste, costituite da civili e militari, denominate Nuclei di difesa dello Stato, e di cui si è detto in altra parte della relazione.
Ciò sembra confermato dalle dichiarazioni di uno dei componenti di questa struttura, direttamente dipendente dallo Spiazzi (Enzo Ferro) e da quelle rese sin dal 1974 da altro componente (con ruoli di maggior rilievo) Roberto Cavallaro.
L'ordine, come riferito da Spiazzi, sarebbe stato impartito per radio, attraverso i codici del piano di mobilitazione; Spiazzi afferma che ricevendo, ne chiese conferma, ottenendola, e quindi si mosse; ricevette poi il contrordine, quando ormai aveva raggiunto le porte di Milano e fece ritorno in caserma.
Se queste furono le modalità di comunicazione dell'ordine di mobilitazione, è da presumere che anche gli altri Nuclei siano stati attivati, anche se la loro stessa esistenza è poi rimasta coperta dal segreto per oltre vent'anni.
E in effetti plurime fonti indicano che la mobilitazione ebbe luogo:
1. a Venezia, di civili e militari, d'innanzi al comando della Marina militare;
2. a Verona di civile e militari;
3. in Toscana e Umbria, dove i militanti erano stati dotati ciascuno di un'arma lunga e di una corta e gli obiettivi assegnati:
4. a Reggio Calabria, ove avrebbe dovuto aver luogo la distribuzione di divise dei Carabinieri.
Vale la pena riportare per esteso le testimonianze raccolte dalla magistratura ed in particolar modo quelle riportate nella sentenza-ordinanza del giudice Salvini:
A) Carlo Digilio: "A Venezia, nella seconda metà degli anni '60, io gravitavo più in un ambiente di destra generico in cui vi erano diversi esponenti dell'allora Fronte Nazionale del Principe Borghese e quindi si trattava di un ambiente meno radicale e più portato agli agganci con i militari.
Indubbiamente questo ambiente, a partire dalla fine degli anni '60, contava e viveva nell'attesa di un mutamento istituzionale.
Anche a Venezia era previsto che in caso di golpe la città fosse controllata quantomeno da seicento persone per il mantenimento dei servizi essenziali e il Fronte Nazionale si era mobilitato per reperire il maggior numero di simpatizzanti possibili anche negli ambienti istituzionali.
Come in altre città, per la notte del 7 dicembre era concordato il concentramento in punti determinati.
Il concentramento effettivamente ci fu, ma poco dopo giunse il contrordine, con vivo disappunto di tutti i presenti.
Erano presenti sia militari che civili come del resto credo in altre città d'Italia.
Posso precisare che a Venezia il punto di concentramento era l'Arsenale cioè lo spiazzo dinanzi al Comando della Marina Militare.
Anche di queste iniziative io riferii regolarmente a Verona (al comando Ftase) che quindi misi al corrente dei vari sviluppi.
Anche Soffiati partecipò all'analogo concentramento a Verona"[int. 6.4.1994, f. 6).
Ha aggiunto Digilio in altro interrogatorio: "Mi risulta che il Campolongo [il colonnello Antonio Campolongo, perito balistico del tribunale di Venezia, ndr] prima dei fatti della notte di Tora-Tora, del cd golpe Borghese, era il contatto veneziano dell’Ammiraglio Birindelli e considerato l’uomo che poteva gestire ben 600 elementi fra marinai e altri militari del Distretto di Venezia anche al fine di garantire con tale forza, dopo la presa di potere, la piena funzionalità dei mezzi di navigazione interlagunari e la sicurezza dei cittadini per evitare controinsorgenze.
Era peraltro il ‘deus ex machina’ di tutto l’armamento giacente nell’arsenale, potendo altresì contare sull’Associazione ex Marinai che aveva sede all’interno dello stesso arsenale.
Io ho potuto percepire un’enorme quantità di contatti fra il Morin e il Campolongo e peraltro la mia fonte sul Campolongo è stata il dr. Maggi, che aveva moltissimi contatti nell’ambiente militare".
B) Martino Siciliano: "Nel novembre del 1970 seppi da Pierluigi Mazzucco, ex presidente veneziano del Fuan, dirigente giovanile del Msi e in seguito consigliere provinciale del Partito, che a breve si sarebbe realizzato un colpo di Stato militare e civile in funzione antieversiva di sinistra.
Credo che Mazzucco avesse avuto la notizia dal padre, che era in contatto con il principe Borghese in quanto aveva anch’egli fatto parte della "X Mas".
Mazzucco era in possesso di carte, tra cui un elenco degli incarichi da assumere dopo la presa del potere, e inoltre dei tesserini di riconoscimento e bracciali tricolori aventi la stessa funzione.
Io avrei dovuto assumere la carica di questore di Venezia.
Per le armi avremmo dovuto rivolgerci all’Arma dei Carabinieri e in particolare alle locali caserme. Ciò, comunque, solo dopo la presa del potere e il segnale sarebbe stato dato dallo stesso Pierluigi Mazzucco.
Il nome in codice dell’operazione era "Operazione Tora Tora". La notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 fui avvisato per telefono da Pierluigi Mazzucco che vi era stato un contrordine e che l’operazione era stata annullata. Mi pregò pertanto di distruggere tutto il materiale in mio possesso, cosa che feci gettando tutto nel water.
Il discorso del colpo di Stato era avulso da Ordine Nuovo ed era interno al gruppo romualdiano".
C) Enzo Ferro: "Posso meglio spiegare la mobilitazione che ci doveva essere quella notte di sabato, poche settimane prima del mio congedo, nel Natale del 1970.
Il Maggiore (Spiazzi, ndr) ci disse di tenerci pronti in camerata, con gli abiti borghesi, e che poi avremmo dovuto essere portati nella zona di Porta Bra a Verona, nella sede dell'Associazione Mutilati e Invalidi di guerra, dove si stampava il giornaletto del Movimento di Opinione Pubblica.
Io ero molto agitato e preoccupato; Baia era con me ed era eccitato per quanto stava per accadere.
Ci fu detto chiaramente che dovevamo intervenire e che non potevamo tirarci indietro e che, giunti al punto di raccolta, saremmo stati armati e portati nella zona dove dovevamo operare come supporto al colpo di stato.
Tutte le cellule di civili e militari avrebbero dovuto intervenire. Tuttavia nella notte vi fu il contrordine, era verso l'una e trenta e ce lo comunicò direttamente il maggiore Spiazzi, dicendoci che il contrordine veniva direttamente da Milano. Non ne ho mai saputo il motivo, anche se all'epoca, se glielo avessi chiesto, forse lo avrei saputo".
D) Giuseppe Fisanotti (ordinovista di Verona legato al gruppo di Massagrande e Besutti, collaboratore di giustizia in molti processi): "Non ho partecipato alle mobilitazioni in occasione del cosidetto golpe Borghese del dicembre del 1970, del resto ero molto giovane avendo meno di 19 anni. Tuttavia negli anni successivi, mentre ancora risiedevo a Verona, sono stato un paio di volte messo in allarme in relazione ad analoghe mobilitazioni, tanto è vero che in casa mia tenevo, in vista di tali mobilitazioni, divise militari dell'Esercito, che mi erano state portate dai vari militanti di Ordine Nuovo.
Il contesto era quindi quello di una sintonia fra militari e civili nella prospettiva di un mutamento istituzionale.
Le mobilitazioni che dovevano esserci, che però non scattarono concretamente, si riferiscono al 1973/74".
E) Andrea Brogi (ordinovista del gruppo toscano): "Posso dire che alla fine del 1970 io facevo già parte del Movimento Politico Ordine Nuovo e che nella nostra zona non c'era un sostanziale distacco dalle strutture ufficiali del Msi e molti frequentavano sia l'uno che l'altro ambiente.
Di fatto io, che allora non ero nemmeno ventenne, mi trovai con altri diciassette militanti, fra cui diversi più vecchi e diversi dei quali non conoscevo, a Passignano, vicino al lago Trasimeno nei pressi del passaggio a livello la sera del 7 dicembre 1970 per intervenire sulla federazione provinciale del Pci e sui ripetitori della Rai.
C'erano altri due gruppi, uno a Umbertide e uno a Tuoro.
Il nostro gruppo disponeva di un'arma individuale, chi uno Sten, chi un moschetto 91 o una pistola. Io avevo ricevuto le mie due armi per l'occasione da Augusto Cauchi.
Preciso che ciascuno disponeva di un'arma lunga e di una corta.
Verso le quattro o le cinque del mattino arrivò l'ordine di ritirarsi senza che ce ne fosse spiegato il motivo.
Anni dopo, e cioè dopo il finanziamento di Gelli nei confronti di Augusto Cauchi tramite l'intermediazione dell'Ammiraglio Birindelli e del Cap. Pecorelli, ricevetti sugli avvenimnenti del 1970 una confidenza del Cauchi. Questi mi disse che, Gelli aveva fermato, nel 1970, i "ragazzi", cioè i civili di destra, e i militari sfruttando comunque la situazione per averne vantaggio e cioè per mantenere un forte credito anche dopo la sospensione del golpe".
F) Vincenzo Vinciguerra: "Prendo atto che l'Ufficio è interessato a focalizzare quanto io ho riferito nell'intervista a L'Espresso del 14.4.1991 circa la mobilitazione anche di elementi della 'ndrangheta calabrese in occasione del golpe Borghese.
Innanzitutto confermo l'episodio citato nell'intervista, precisando che ero a conoscenza dalla metà degli anni '70 di tale mobilitazione e che ulteriore conferma di questa l'ho ricevuta all'interno del carcere da una persona che vi era stata personalmente interessata.
La mobilitazione avvenne nella provincia di Reggio Calabria e si trattava di un gran numero di uomini armati.
Anche in Calabria venne fatto riferimento, da persona che non intendo nominare, alla possibilità di mobilitare 4000 uomini sempre appartenenti alla 'ndrangheta ove la situazione politica lo richiedesse.
Gli appartenenti alla 'ndrangheta, armati e mobilitati per l'occasione sull'Apromonte, erano stati messi a disposizione dal vecchio boss Giuseppe Nirta, estimatore di Stefano Delle Chiaie il quale era in grado, secondo lui, di "ristabilire l'ordine nel Paese".
G) Carmine Dominici: "Nel dicembre 1970, e cioè pochi mesi dopo tale fallito comizio, vi fu il tentativo noto appunto come "golpe Borghese". Anche a Reggio Calabria eravamo in piedi tutti pronti per dare il nostro contributo. Zerbi disse che aveva ricevuto delle divise dei Carabinieri e che saremmo intervenuti in pattuglia con loro, anche in relazione alla necessità di arrestare avversari politici che facevano parte di certe liste che erano state preparate. Restammo mobilitati fin quasi alle due di notte, ma poi ci dissero di andare tutti a casa.
Il contrordine a livello di Reggio Calabria venne da Zerbi".
H) Giacomo Lauro: "Nell'estate del 1970 l'avvocato Paolo Romeo si fece promotore di un incontro nella città di Reggio Calabria e precisamente nel quartiere Archi fra Junio Valerio Borghese ed il gruppo capeggiato allora da Giorgio De Stefano e Paolo De Stefano .... più volte alla 'ndrangheta fu richiesto di aiutare i disegni eversivi portati avanti da ambienti della destra extraparlamentare fra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte era sempre l'avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici (…) I De Stefano erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al programmato golpe Borghese, mentre invece furono contrari le cosche della Jonica tradizionalmente legate ad ambienti democristiani".
Sullo specifico ruolo della criminalità organizzata - in particolare di Cosa Nostra e ‘ndrangheta - nel tentativo golpista si rimanda al paragrafo relativo al ruolo della mafia e della massoneria deviata nell’eversione, nel quale è proposta una trattazione più accurata.
Gli avvenimenti oggetto di esame appaiono non già un "golpe da operetta", quanto il punto di emersione di un ampio intreccio di forze cospirative che furono occultamente attive per un lungo periodo; e che, analizzato nelle sue diverse componenti, rende leggibili una pluralità di avvenimenti anteriori e successivi, che altrimenti sarebbero destinati a restare oscuri e quindi inconoscibili nelle loro nascoste ragioni.
Va peraltro riconosciuto che in questa ricostruzione resta irrisolto quello che sin dall'inizio apparve come uno dei nodi principali posti in sede analitica dagli avvenimenti del dicembre 1970; e che attiene alle ragioni per cui il tentativo insurrezionale, che può ritenersi il frutto di un'ampia cospirazione, rientrò quasi immediatamente dopo l'iniziale attivazione. Si è già detto che il contrordine venne dato dallo stesso Borghese che non ne ha mai voluto spiegare le ragioni nemmeno ai suoi più fidati collaboratori. In merito resta aperta l’alternativa tra due ipotesi:
La prima suppone che all'ultimo momento solidarietà promesse o sperate sarebbero venute meno, determinando in Borghese il convincimento che il tentativo insurrezionale diveniva a quel punto velleitario e senza possibilità di successo. Sicchè lo stesso fu rapidamente abbandonato, fidando nella probabile impunità assicurata dalle "coperture", che poi puntualmente scattarono.
Una seconda lettura più articolata ipotizzerebbe invece in Borghese o in suoi inspiratori l'intenzione, sin dall'origine, di non portare a termine il tentativo insurrezionale. Qust'ultimo anche nella sua iniziale attivazione sarebbe stato concepito soltanto come un greve messaggio ammonitore inviato ad amici e nemici, all'interno e all'esterno, con finalità dichiaratamente stabilizzanti. Si sarebbe trattato in altri termini di un ulteriore avanzamento della logica della minaccia autoritaria, già sperimentata con il "tintinnare di sciabole", che come si è visto fortemente condizionò la crisi politica dell'estate del 1964.
Paolo Aleandri riferì alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2 l'interpretazione che ne era stata data da uno dei protagonisti, Fabio De Felice, a Gelli molto vicino.
Il contrordine, secondo il De Felice, sarebbe giunto proprio da Gelli, essendo venuta meno la disponibilità dell'Arma dei Carabinieri e non essendo stato assicurato l'appoggio finale degli Usa; Alfredo De Felice, poi, aveva aggiunto che la mobilitazione non aveva una reale possibilità di riuscita e il fantasma di una svolta autoritaria era stato utilizzato da Licio Gelli come una sorta d'arma di ricatto. Queste indicazioni hanno trovato conferma nelle dichiarazioni di Andrea Brogi, il quale riferisce informazioni provenienti da Augusto Cauchi, del quale risultano i diretti rapporti con Gelli. Un parziale riscontro, poi, è rappresentato dalle dichiarazioni di Enzo Generali, già aderente al Msi e ad Ordine Nuovo, nonché amico del principe Borghese e di Guido Giannettini, il quale ha riferito che verso la "metà di gennaio 1969", a circa due anni di distanza dalla notte di Tora-Tora e nel corso di una conversazione a Madrid con l’ingegner Otto Skorzeny (l’ufficiale tedesco che aveva organizzato la liberazione di Mussolini a Campo Imperatore, ndr) aveva appreso "che in Italia le cose, per la destra nazionale, sarebbero andate meglio in quanto si stava preparando un qualcosa di concreto con la partecipazione di militari di alto grado e personalità politiche dell’area di centro – centro destra: mi citò in proposito il nome del Principe Borghese che era l’uomo che lo aveva reso edotto della elaborazione del Golpe, dell’Ammiraglio Birindelli, Comandante dell’area Sud della Nato, i predetti appoggiati da quadri dello Stato Maggiore Marina (…) nonché il ruolo del Servizio Segreto Militare e l’avallo di politici di spicco della Democrazia Cristiana di cui non fece i nomi. Il progetto era quello di far cessare autoritativamente l’esperienza del centro sinistra in Italia e di riassestare l’ordine interno privilegiando l’industria. Lo Skorzeny era amico di Borghese e da lui aveva mediato le informazioni sul progetto del Golpe. I due si vedevano in Spagna (…) lo Skorzeny mi addusse che egli aveva promesso al Borghese l’appoggio degli industriali tedeschi" (cfr. dep. 28.2.90).
"Lo Skorzeny aggiunse che il Borghese gli aveva chiesto di intervenire all’esito del Golpe presso l’amministrazione Usa, nella fattispecie presso il Sottosegretario dell’Aeronautica amico dello Skorzeny, per il riconoscimento della nuova struttura sorta a seguito del Golpe e rappresentativa delle forze del Centro Destra Italiano" (cfr. dep. 14.3.90).