4. I tentativi golpisti

08. La "Rosa dei Venti"

Documento aggiornato al 30/11/2005
L’evento eversivo noto con il nome di "Rosa dei Venti" si colloca, come molti episodi precedenti, a metà strada tra un tentativo golpistico e una ennesima provocazione volta a spostare più a destra gli equilibri politici nazionali.

Ciò che differenziò questo evento dagli altri è, tra l’altro, il fatto che, per una pura casualità, in questo caso il giudice iniziò a indagare prima che l’evento stesso giungesse a maturazione , con ciò cambiando ovviamente il corso degli eventi.

Le indagini, infatti, avevano preso il via nell’ottobre del 1973, quando un medico ligure, Giampaolo Porta Casucci si era presenato alla polizia e consegnò un piano di massima per la conquista del potere, completo di mappe e indicazioni per l'occupazione di edifici pubblici e strategici, e persino una lista di persone da eliminare.

Con l'avvio delle prime indagini si comprese che la scoperta non era da sottovalutare: tra i congiurati vi erano il generale Francesco Nardella, che dal 1962 al 1971 aveva diretto l'Ufficio guerra psicologica presso il comando alleato FTASE della Nato, e il suo successore in quello stesso incarico, il tenente colonnello Angelo Dominioni. Vi era infine il tenente colonnello Amos Spiazzi, vice comandante del secondo gruppo artiglieria da campagna e capo dell'Ufficio "I" del suo reparto.

Nel marzo 1974 l'istruttoria fece un salto di qualità quando cominciò a collaborare con il magistrato un giovane sindacalista, Roberto Cavallaro, che mediante coperture ad alto livello, presumibilmente al Sid, sarebbe stato inserito negli uffici della Magistratura militare a Verona senza averne alcun titolo. Questo stesso fatto era la prova dell'esistenza di potenti strutture occulte, in grado di "inventare" addirittura un magistrato militare.

Ma Cavallaro, e successivamente anche Amos Spiazzi, dissero molto di più.

In particolare, il 3 maggio 1974, in un confronto fra i due, il colonnello Spiazzi parlò di "una organizzazione di sicurezza interna delle FF.AA, organizzazione che non ha finalità eversive e tanto meno criminose, ma si propone di proteggere le istituzioni vigenti contro ipotetici avanzamenti da parte marxista. Questa organizzazione ha struttura gerarchica non però coincidente necessariamente con quella delle forze armate. Ovviamente all'interno di questo apparato ci si conosce non tanto per conoscenza personale, quanto per mezzo di segni convenzionali. Io non conosco neppure tutti i componenti di questo sistema e non so come e da chi vengono scelti. [...] questo organismo non si identifica nel Sid o in un altro servizio analogo".

Il confronto proseguì il giorno successivo e in quella sede Spiazzi aggiunse: "Non posso dire se l'apparato di sicurezza e la sua gerarchia parallela facciano parte del Sid e neppure posso dire che si tratti della vecchia struttura di Di [rectius: De, ndr.] Lorenzo. Per entrare in questa organizzazione parallela occorre avere determinati sentimenti e avere svolto determinate attività informative nelle caserme. Occorre essere antimarxisti. Non si chiede di entrare a farne parte perché il fatto di chiederne implica una conoscenza. Si viene osservati, valutati, specie in considerazione di determinate attività che si possono aver compiute. [...] Al vertice della gerarchia parallela stanno senz'altro dei militari. In sostanza si tratta di una gerarchia "I" parallela nel senso che può divergere (e in molti reggimenti in effetti diverge) dalla gerarchia "I" ufficiale. Questa gerarchia parallela prescinde da quella ufficiale nel senso che come avviene per gli ufficiali "I", i quali trasmettono le notizie più delicate non al comandante del corpo, bensì al loro superiore nella gerarchia "I", così analogamente in questa gerarchia parallela si dipende da superiori che possono non coincidere con quelli ufficiali. Non posso rispondere alla domanda se si tratta di una catena puramente informativa oppure anche operativa. [...] Certamente tale organismo è più occulto del Sid".

In altro interrogatorio, e a precise contestazioni del giudice, lo Spiazzi confermava di far parte di una organizzazione occulta interna alle FF.AA. e aggiungeva: "L’organizzazione ha carattere di ufficialità, nel senso che è istituzionalizzata, pur con elasticità per quanto riguarda metodi e personale, di volta in volta definiti con disposizioni orali. [...] In sostanza l'organizzazione di cui ho più volte parlato nei precedenti interrogatori non è altro che l'organizzazione composta dagli ‘alter ego’ della struttura "I" ufficiale. L'organizzazione di cui trattasi è stata sempre un’organizzazione in funzione anticomunista".

Non è necessario rilevare la gravità dell'affermazione di Spiazzi allorché, pur in presenza di una struttura con carattere di ufficialità, parla di "disposizioni orali" e di "organizzazione in funzione anticomunista", due affermazioni che pongono la struttura nella più aperta illegalità.

Di estremo interesse, a questo proposito, è la deposizione del generale Siro Rosseti, dirigente del SIOS Esercito per l'Italia centrale, dinanzi al giudice Tamburino. Stretto tra l'esigenza di non mentire dinanzi al giudice e il desiderio di non rivelare di essere al corrente dell’esistenza di strutture occulte, egli esordisce dicendo: "Pertanto posso affermare di ignorare completamente l'esistenza di una struttura di sicurezza parallela rispetto a quella ufficiale, di gruppi civili fiancheggiatori delle FF.AA., di deviazioni nel senso dell'appoggio di parti politiche anticomuniste o comunque di iniziative ufficiose ed occulte dirette alla creazione e al mantenimento di un efficiente apparato anticomunista".

Ma subito dopo egli aggiunge: "Peraltro, nonché sorprendermi dell'esistenza di una siffatta organizzazione e di deviazioni in questo senso di elementi delle FF.AA. e del Servizio, la mia esperienza mi consente di affermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse. [...] Ho detto che mi sorprenderebbe che non esistesse una organizzazione parallela e occulta con specifica funzione politica anticomunista: ritengo peraltro che un simile apparato non potrebbe correre sulla linea ufficiale della catena informativa, dato che, in tale ipotesi, il rischio di individuazione sarebbe enorme. [...] Se si formula l'ipotesi, anche questa verosimile, che il vertice di questa organizzazione si trovi o comunque dipenda da una certa forza istituzionale, sarà altresì logico pensare che la scelta degli elementi periferici sia correlata alla conoscenza degli elementi stessi avvenuta anche attraverso contatti o incarichi inizialmente ufficiali.

Per ragioni analoghe ritengo che questa organizzazione occulta e non ufficiale non potrebbe avvalersi di altre strutture di sicurezza ufficiali eventualmente esistenti e collegate all'organizzazione difensiva multinazionale. In generale penserei che una qualche organizzazione di sicurezza ufficiale, specie se attribuiamo ad essa una certa qualificazione politica, potrebbe avere assolto alla funzione iniziale di individuare elementi idonei per la costituzione dell'organizzazione di cui sopra. [...] Il generale Miceli, se ha fatto qualcosa, ove non si tratti di errate valutazioni, di desiderio di lavare i panni in casa o di minimizzare responsabilità altrui, può avere operato soltanto se richiesto o innescato da centri di potere ben superiori; non si tratta quindi di un vertice ma semmai di un anello che deve immancabilmente portare ad altro. A mio avviso l'organizzazione è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare, delle finanze, dell'alta delinquenza organizzata, ecc.".

La deposizione del generale Rosseti appare interessante sotto molti aspetti. Dopo la scontata petizione di principio sulla sua personale sconoscenza della struttura o di qualsiasi struttura parallela a quella ufficiale, egli in pratica ne delinea la dipendenza ("da una certa forza internazionale") ritiene che almeno la fase dell'arruolamento sia avvenuta attraverso contatti ufficiali e ritiene che l'ente preposto alla ricerca degli elementi periferici non possa essere che un servizio di sicurezza.

Egli afferma poi che se il generale Miceli ha operato in questo ambito non può averlo fatto di propria iniziativa ma "richiesto o innescato da centri di potere ben superiori". Fino a questo punto il quadro delineato può adattarsi perfettamente alla struttura Stay Behind. L'ultima frase della testimonianza, con l'inquietante riferimento ad una capacità operativa in molti campi, compresa la mafia, sembra alludere a qualcosa di ben più ampio dell'organizzazione Gladio, almeno come essa è fino ad oggi nota.

D'altro canto, dagli interrogatori di Spiazzi sembra delinearsi una struttura che corre parallela agli uffici "I" dell'Esercito, quindi una struttura analoga ma non coincidente con la Stay Behind.

La struttura delineata da Spiazzi, e da lui confermata anche in sede di audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Loggia P2 assume quindi un carattere tutto militare e con una marcata e ostentata funzione di selezione anticomunista all'interno delle forze armate. Se e come questa struttura fosse coinvolta nel piano insurrezionale consegnato da Porta Casucci alla Polizia, il giudice Tamburino non poté chiarirlo perché un’illegittima pronuncia della Corte di Cassazione lo sollevò dalle indagini per farle confluire nell'istruttoria in corso a Roma sul golpe c.d. "Borghese".

L'intervento della Corte di Cassazione impedì al Giudice di poter chiarire, con maggiore certezza, collocazione e compiti della struttura delineata. Quello che comunque già allora poteva fondatamente ritenersi era che tale organismo fosse qualcosa di ben più serio di una mera deviazione dei servizi segreti, anzi chiari indizi lasciavano ritenere che la struttura avesse solidi legami in sede Nato.

D'altro canto, il tenente colonnello Spiazzi nonostante ricoprisse un grado non molto elevato aveva il NOS "Cosmic", cioè aveva accesso al massimo livello di segretezza, nulla osta ottenibile solo con l'autorizzazione della Nato.

La magistratura romana unificò l'istruttoria padovana con quella sul Golpe Borghese, da tempo in corso a Roma. Una decisione che avrebbe sortito effetti positivi se fosse stata finalizzata a collocare i due eventi in un unico contesto, in modo da esaminare le connessioni tra i due episodi, valorizzando l'ipotesi che ambedue fossero successive attivazioni di un unico piano eversivo che probabilmente prevedeva l'uso spregiudicato di frange estremiste convinte di partecipare ad un atto golpistico di tipo tradizionale, mentre altri settori dello stesso vertice eversivo avevano l'intenzione di utilizzare la manovalanza di destra al fine di promuovere atti violenti da attribuire alla sinistra, provocando così uno spostamento a destra dell'elettorato e dell'asse politico nazionale.

Per poter percorrere questa ipotesi indagativa, i giudici romani avrebbero dovuto valorizzare le testimonianze di Cavallaro e Spiazzi.

Quest'ultimo, in particolare, aveva rivelato che l’ordine di prendere contatto con i congiurati gli fu dato, con una telefonata in codice, dal maggiore Mauro Venturi, segretario del colonnello Marzollo. La telefonata avvenne, secondo la sua testimonianza, tra il 25 e il 30 aprile 1973. Usando un codice di mobilitazione numerico di riferimento a cinque numeri, che veniva adoperato nelle esercitazioni Nato, e che aveva classifica di segretezza "cosmic", Venturi gli trasmise l'ordine di contattare gli industriali genovesi Lercari e Tubino (già avvertiti dal generale Ricci). Sempre con lo stesso mezzo, Venturi ordinò a Spiazzi di recarsi alla Piccola Caprera per incontrare un uomo del Sid che gli avrebbe fornito ulteriori istruzioni.

In pratica è questo l'atto di avvio ufficiale della fase operativa del complotto. La telefonata fu fatta, secondo alcune testimonianze, dalla caserma dei Carabinieri di Conegliano Veneto, che il maggiore Venturi aveva comandato prima di assumere l'incarico ai centri Cs di Roma.

Secondo i giudici romani non ci sarebbero state prove sufficienti che la telefonata sia realmente avvenuta e sia stata fatta da Venturi. Questa divergenza di valutazione fornì il pretesto per impedire uno sviluppo autonomo dell'istruttoria della Rosa dei Venti e tutta l'attività eversiva del gruppo veneto fu fatta naufragare nel gran calderone del golpe Borghese e dei suoi tentativi successivi.

Al di là della maggiore o minore buona fede dei giudici romani, è evidente che, negando l'attivazione dei gruppi paralleli da parte del Sid, era preclusa in partenza ogni possibilità di scoprire i veri termini del piano eversivo, e tutto veniva ricondotto nei tranquilli binari di un "complotto di pensionati".
 
Cos'è Archivio900?
"Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere"... [Leggi]
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